Quello italiano è l’ultimo esercito occidentale rimasto in Niger (e non partirà) – .

Quello italiano è l’ultimo esercito occidentale rimasto in Niger (e non partirà) – .
Quello italiano è l’ultimo esercito occidentale rimasto in Niger (e non partirà) – .

Dopo l’espulsione del contingente francese e l’annuncio della cessazione “con effetto immediato” della cooperazione militare con gli Stati Uniti lo scorso marzo, i militari italiani della missione bilaterale MISIN sono gli ultimi rimasti nella nazione del Sahel e stanno negoziando con la giunta militare per non dover abbandonare un Paese strategico per la questione dei flussi migratori e per l’equilibrio e l’influenza nell’area, una delle più importanti dell’Africa. Da quanto risulta, la giunta militare del Niger non ha mai espresso la volontà di allontanare la missione italiana dal Paese e lo scorso marzo il presidente della giunta militare di transizione del Niger, Abdourahmane Tchiani, ha ricevuto il direttore dell’Agenzia per l’informazione e la sicurezza esterna (AISE ) – i servizi segreti italiani all’estero – generale Giovanni Caravelli. In un comunicato, l’agenzia di stampa nigeriana riferisce che l’Italia è l’unico Paese europeo ad aver continuato normalmente e senza interruzioni la cooperazione con il Niger dopo il colpo di stato del 26 luglio 2023. Si precisa che «Caravelli ha portato un messaggio di solidarietà da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Giorgia Meloni, confermando la volontà di rafforzare la cooperazione tra i due Paesi”. La presenza italiana a Niamey è considerata importante probabilmente non solo ai fini nazionali, visto che lo consente monitorare le mosse e la penetrazione in tutti i settori di Russia, Cina e Turchia che stanno diventando predominanti nel territorio. Per questo motivo non è da escludere – anche se non è confermato – che la presenza italiana in Niger sia stata concordata con gli alleati del blocco euro-atlantico.

L’Italia è presente in Niger dal 2018 con il Missione di sostegno bilaterale nella Repubblica del Niger (Misin), il cui obiettivo è “aumentare le capacità volte a contrastare il fenomeno dei traffici illeciti e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo territoriale da parte delle autorità nigeriane e del G5 Paesi del Sahel”. Attualmente la missione conta circa 250 soldati addestrano l’esercito e la gendarmeria ed è coordinato dal Comando Operativo Interforze (Covi), guidato dal Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo. La missione bilaterale, sin dalla sua istituzione, ha addestrato circa 9.100 soldati nigeriani presso i centri di addestramento di Niamey, Agadez e Arlit, ma ha anche ha finanziato numerosi progetti nel campo della sanità e dell’istruzione. Recentemente lo stesso generale Figliuolo, in un’audizione davanti alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, ha spiegato che «l’Italia ha una posizione di interlocutore privilegiato nel Paese, che continua ad essere crocevia di tutti i flussi migratori sia dal Sahel che dal dal Corno d’Africa” e che “il Niger costituisce un’area di priorità e di interesse nazionale, per questo motivo e nella considerazione che un’eventuale uscita dei paesi occidentali dal Paese lascerebbe margini di manovra per l’espansione del presenza di altri attori nella regione, anche maligni, riteniamo sia di primaria importanza consolidare la nostra presenza con la missione bilaterale MISIN”.

Dopo l’espulsione delle truppe americane che occupavano due basi nel Paese, una nella capitale e una ad Agadez, a circa 920 chilometri da Niamey, le uniche presenze militari straniere in Niger rimarranno quelle italiana e russa. Infatti, soprattutto dopo il colpo di stato del 2023, il Niger e altri stati del Sahel hanno iniziato a farlo allontanarsi radicalmente dalla sfera di influenza occidentale stabilire una cooperazione militare con Mosca. In seguito al colpo di stato, i soldati della guardia presidenziale annunciarono di aver deposto l’allora presidente del Niger Mohamed Bazoum, creando il Consiglio nazionale per la protezione del Paese. Secondo il maggiore colonnello Amadou Abdramane, il colpo di stato si è reso necessario “a causa della crescente insicurezza, corruzione e cattive condizioni economiche in cui si trova il Paese”. Con la deposizione di Bazoum – appoggiata dagli Stati Uniti – Washington perde uno dei pochi alleati rimasti nell’area del Sahel, dopo che i governi di Mali e Burkina Faso erano già stati rovesciati da due colpi di stato antioccidentali, portando alla espulsione delle truppe francesi e riavvicinamento alla Russia.

Dal 2020 ad oggi si sono verificati sette colpi di stato che hanno scosso l’Africa centro-occidentale, tutti caratterizzati dall’intento di allontanare le potenze occidentali dall’area per volgere lo sguardo verso nuove alleanze. Non è un caso che istruttori militari russi siano arrivati ​​in Niger all’inizio di aprile, portando attrezzature con cui addestrare le forze nigerine e rafforzare le difese del Paese. Inoltre, alla fine di marzo, il presidente golpista Tchiani ha avuto un colloquio con il presidente russo Putin. In effetti, le nazioni africane vedono come più vantaggiosa la cooperazione con nazioni come Russia e Cina, con le quali, dicono, possono cooperare su un piano di maggiore parità, mentre le nazioni occidentali sono spesso accusate di ingerenza negli affari interni. Da quest’ultimo punto di vista l’Italia potrebbe non essere percepita come una minaccia e per questo motivo la sua presenza militare è ancora tollerata dalla giunta nigeriana. Resta da capire come si potrà in futuro conciliare la cooperazione con Roma con quella di Mosca, sempre più presente in Niger per addestrare i militari e rafforzare la sicurezza del Paese, sostituendosi così a Washington nella lotta congiunta al terrorismo. In ogni caso, l’Italia rappresenta attualmente l’ultimo avamposto occidentale nell’area del Sahel, segno del declino dell’influenza atlantica sul continente africano.

[di Giorgia Audiello]

 
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