Paesi molto bassi. Il nuovo governo olandese annuncia la deportazione degli immigrati clandestini – .

Paesi molto bassi. Il nuovo governo olandese annuncia la deportazione degli immigrati clandestini – .
Paesi molto bassi. Il nuovo governo olandese annuncia la deportazione degli immigrati clandestini – .

“Speranza, coraggio e orgoglio”. Si chiama così il programma del nuovo governo che sta nascendo nei Paesi Bassi, dopo sei mesi di trattative dalle elezioni del 22 novembre che hanno incoronato come primo partito il PVV, Partito per la Libertà, forza sovranista guidata da Geert Wilders, alleato di Matteo Salvini e Marine Le Pen nel gruppo Identità e Democrazia, la punta più estrema della destra europea. Dopo tanti tentativi falliti in passato, Wilders, islamofobo e anti-immigrati, è riuscito ad aprire le porte al potere, anche se per farlo ha dovuto rinunciare a essere primo ministro. Il programma è stato firmato da una coalizione che comprende i liberali del VVD, Partito per la Libertà e la Democrazia, guidato dal primo ministro uscente Mark Rutte, e poi il Partito dei Contadini, nato dalle proteste anti-Green Deal, e un partito centrista. Ma tutti i maggiori partiti olandesi sono coinvolti in questa storia, che parla di inasprimento delle regole sul diritto d’asilo con deportazioni anche forzate di chi è senza permesso e di intenzioni di accendere un altro fuoco in Medio Oriente, spostando l’ambasciata olandese da Tel Aviv a Gerusalemme, in perfetto stile Donald Trump, uno degli amici più cari di Wilders. Tutti sono coinvolti perché il primo ministro della nuova formazione sarà addirittura un socialista.

Si chiama Ronald Plasterk, biologo, ex ministro, politico in pensione ma esponente di spicco del Partito laburista guidato dall’ex commissario europeo e padre del Green deal Frans Timmermans, che ora non sa nascondere la rabbia e l’imbarazzo. Plasterk ha anche condotto una fase di negoziati nella nuova coalizione. “Con questo governo le divisioni salgono al potere. Grandi parole sulla previdenza sociale, ma alla fine è minacciata la sicurezza di milioni di lavoratori. Il nostro Paese ha bisogno di una politica che faccia rete. Questo governo fa il contrario”, è il primo commento di Timmermans alla nascita del nuovo esecutivo. L’ex commissario e candidato primo ministro alle elezioni di novembre è evidentemente sulla difensiva, dato che la nomina di Plasterk rischia di spaccare il partito laburista, secondo nei sondaggi. Si prende il suo tempo. Ma lo stupore è arrivato fino a Bruxelles, nel gruppo dei Socialisti & Democratici al Parlamento europeo. «Stiamo cercando di capire», dice una fonte, riflettendo su come sia possibile che uno di loro sia disposto a diventare primo ministro di un governo di estrema destra olandese, anche a un mese dalle elezioni europee.

E c’è imbarazzo anche nel gruppo Renew Europe, che da tempo si aspettava che i suoi ‘cugini’ olandesi potessero aver dato i natali a questa strana creatura politica, frutto di tempi in cui l’UE si ritrova con movimenti nazionalisti sempre più numerosi. più alto nei sondaggi e alle urne. Due mesi fa, mentre nei Paesi Bassi erano già in corso le trattative tra Wilders e i liberali, la presidente del gruppo Renew Europe, la francese Valerie Hayer, una macroniana di ferro ovviamente, sperava che ciò non accadesse e ci disse a Bruxelles che “ non c’è la possibilità che nasca questo governo”. La realtà ha prevalso sugli incantesimi. E ora Emmanuel Macron dovrà anche inventare una narrazione da campagna elettorale per spiegare perché i suoi alleati liberali olandesi vanno di pari passo con Wilders, il che è come fare accordi con Marine Le Pen. E oggi dichiara la sua “totale disapprovazione e preoccupazione per l’evoluzione della discussione per la formazione del governo nei Paesi Bassi”. “Il partito PVV è l’opposto di ciò che difendiamo in termini di economia, Stato di diritto, valori, clima, Europa. Il compromesso con l’estrema destra non è accettabile”, ha sottolineato Hayer, convocando per il 10 giugno, il giorno dopo il voto, un incontro di tutti i partiti che compongono il gruppo alla Camera europea.

Perché, guardando il programma del nuovo governo, si vede subito l’impronta nazionalista, soprattutto nella parte che riguarda l’immigrazione. Ieri, dopo la chiusura delle trattative, ultimo giorno per evitare nuove elezioni, i liberali sono stati gli ultimi ad annunciare l’accordo. Sul dossier migranti hanno dovuto cedere molto, smentendo le proposte legislative recentemente approvate dal governo Rutte. È il caso della legge sulla distribuzione dei migranti sul territorio nazionale, che prevede l’obbligo di accoglienza per i Comuni. Ad idearlo è stato il segretario di Stato uscente Eric van der Burg, esponente di spicco dei liberali olandesi. Verrà ritirato, come concordato con Wilders e gli altri partiti del nuovo esecutivo.

Al suo posto verranno inasprite le norme sul diritto di asilo, abolendo i permessi a tempo indeterminato e limitando anche quelli temporanei. I richiedenti asilo le cui domande saranno respinte saranno “deportati il ​​più possibile, anche con la forza”, si legge nel programma del governo. Ma non andrà meglio per chi otterrà il riconoscimento dell’asilo. Innanzitutto saranno pochi, perché il programma prevede di “limitare drasticamente” il numero di coloro che ne avranno diritto. Chi riuscirà ad ottenerlo non avrà più la priorità per l’edilizia sociale e non potrà più beneficiare del ricongiungimento familiare automatico. Si prevede addirittura un giro di vite sul numero degli studenti internazionali, introducendo un tetto massimo, istituendo sempre più corsi solo in olandese e aumentando le tasse universitarie per gli studenti extracomunitari. E infine: insegnamento obbligatorio sulla Shoah e “regolamentazione dei richiami amplificati alla preghiera”, gli appelli del muezzin all’Islam.

Un altro punto caratterizzante della nuova coalizione di destra riguarda il Medio Oriente. L’accordo di governo prevede di verificare “quando spostare l’ambasciata a Gerusalemme, al momento opportuno”. Sebbene tutto faccia pensare che lo spostamento da Tel Aviv non avverrà immediatamente, mentre è in corso la guerra a Gaza, è chiaro che il semplice annuncio potrebbe rivelarsi incendiario in una situazione già compromessa dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre, se non prima. Ma anche qui si riconosce l’impronta di Wilders, in linea con quanto fatto da Trump nel suo primo mandato alla Casa Bianca, con il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, riconosciuta capitale dello Stato ebraico tra proteste palestinesi e stupore dell’Atlantico alleati.

Sull’Ucraina, invece, il nuovo governo è in linea con la Nato, che tra l’altro accoglierà tra pochi mesi il primo ministro olandese uscente Rutte al posto di comando di segretario generale, dopo l’era Stoltenberg, il cui mandato è in scadenza. “I Paesi Bassi continuano a sostenere l’Ucraina politicamente, militarmente, finanziariamente e moralmente contro l’aggressione russa”, si legge nell’accordo, con il quale la coalizione si impegna anche a spendere il 2% del PIL per la difesa. Stare al fianco di Kiev si conferma la chiave principale per arrivare al potere: questo vale per Wilders, è stato così anche per la Meloni. Fatto questo, gli altri alleati non passano inosservati sul resto del programma, a cominciare dall’immigrazione.

Per il resto l’accordo prevede il potenziamento del nucleare, con la costruzione di quattro grandi centrali; l’eliminazione dell’obbligo di installazione di pompe di calore per la sostenibilità ambientale; l’abolizione dei sussidi per le auto elettriche; tagli strutturali per 2,4 miliardi di euro alla cooperazione allo sviluppo; la riduzione dell’indennità di disoccupazione da due a un anno e mezzo.

Si tratta dell’Olanda, bellezza, un paese piccolo ma influente nell’UE, che con la sua forte posizione sui mercati e sui centri finanziari spesso indica la strada verso altri Stati dell’UE. Del resto, l’ex premier Rutte è stato il primo tra i partiti politici dell’establishment a stringere un accordo forte con la Meloni, precedendo addirittura von der Leyen e partendo dal tema che accomuna tutti: il giro di vite sull’immigrazione.

 
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