Anarchia nell’UKR | Mangialibri dal 2005, mai a dieta – .

Se solo i treni ucraini potessero parlare, racconterebbero tante storie sui loro passeggeri e su quelle carrozze di terza classe con le lenzuola sovietiche sempre umide, le sterminate pianure innevate e quel buio che sembrava divorare tutto nonostante il treno viaggiasse est, verso l’alba del sole. Ancora più notevole era la variopinta galleria di attori caratteristici che affollavano quel treno notturno da Sumy a Luhans’k: ex detenuti, prostitute che derubavano i clienti dopo averli drogati e controllori in prova che erano già ubriachi prima del fischio d’inizio. Al centro della storia c’è il protagonista-autore che a volte paga il biglietto, ma più spesso lo evita perché sa muoversi all’interno delle carrozze, evitando abilmente i controllori. Soprattutto durante una gita notturna Žadan incontra un giovane studente dell’accademia di polizia e viene colto da un dubbio lancinante: perché i poliziotti non possono fare sesso tra loro? Forse metteranno del bromuro nel loro kompot per aiutarli a soffocare i loro impulsi? Serhij Žadan, classe 1974, poeta, scrittore, musicista e attivista ucraino, ha dichiarato in un’intervista di voler scrivere un libro sull’anarchismo. Lui stesso non sa perché ha detto questa frase: non voleva nemmeno scrivere un libro su questo argomento. E questo però – conclude – non è un motivo per non scriverlo…

Può l’anarchismo essere poetico? Ciò che Serhij Žadan sembra dire è che l’anarchismo può essere solo poetico. Diviso in sei parti, questo libro, così difficile da definire, sembra coniugare forma e contenuto in un divertissement in cui si ritrovano i generi più diversi: dall’autobiografia a una sorta di manifesto anarchico, dal diario di viaggio al reportage storico, dai racconti grotteschi alla fiaba di periferia. È come se Žadan avesse voluto scrivere un romanzo di formazione senza romanzo e con un’educazione destinata a diventare distruzione di ogni forma di potere oppressivo, compresa la gabbia del genere letterario. La materia prima sono i ricordi stessi dell’autore, nonostante lui stesso affermi che “tornare nei luoghi dove sei cresciuto è quasi come tornare in un crematorio dove ti hanno già bruciato una volta”. Eppure l’autore non può fare a meno di ricordare, come un bambino che gratta la crosta di una ferita recente anche se sa che sanguinerà di nuovo, ma non può farci niente perché è troppo divertente. Sono così tanti i temi, i personaggi, i ricordi che si affollano in queste pagine piene di ironia, divertimento e stranezza che è davvero difficile ridurre tutto nello spazio di una recensione. Ciò che colpisce è l’impatto di Žadan in tutto ciò che racconta, che assume una dimensione così ironica da diventare una sorta di antiepica. Ogni sua azione ha una dimensione umana e straordinaria. La sua goffa sostituzione della bandiera rossa sovietica con una bandiera ucraina. La sua passione per i gagliardetti e i suoi scontri con il postino. L’enorme Hotel Kharkiv, dove potevi trascorrere tutta la vita senza mai andartene, nemmeno da morto. Il bizzarro Šura e il suo viziato pugile St’opa. Fare sesso con una ragazza ubriaca che implora di non toccarsi i capelli con la preoccupazione di cambiare lato di Sticky Fingers prima che il prezioso vinile si autodistrugga. Come indicato dal titolo stesso del libro, c’è molta musica in queste pagine apparentemente non correlate. In effetti, una possibile chiave di lettura sta proprio nella quarta parte: i “dieci brani che vorrei ascoltare alla mia commemorazione funebre”, in cui ogni brano è collegato a un ricordo, una storia, una stravaganza. Forse lo stesso volume è una lunga playlist (più che un’improvvisazione jazz) della memoria in cui il suono delle parole e il loro significato sono allo stesso tempo musica e testi di tante canzoni che stimolano l’immaginazione dello stesso Žadan. Davvero notevole lo sforzo traduttivo di Giovanna Brogi e Mariana Prokopovyč, che sono riuscite a conferire al testo una tessitura sonora e musicale, restituendo sicuramente qualcosa del flusso prosodico dell’originale in italiano. Da non perdere la postfazione: le postfazioni sono sempre un gesto di particolare gentilezza verso il lettore e sembrano dire “prenditi una tua opinione sul libro”, poi se vuoi sentire qualcosa di più… sono qui. L’auspicio che questo libro possa contribuire a rendere più visibile anche la letteratura ucraina tra le letterature europee è assolutamente condivisibile (visto che non ha nulla da invidiarle). Opportuna la scelta di indicare i toponimi secondo la trascrizione ucraina e non secondo quella russa, anche se più comune.

 
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