Io non ci compro, ecco perché leggete il libro di Michele Antonio Fino – .

Io non ci compro, ecco perché leggete il libro di Michele Antonio Fino – .
Io non ci compro, ecco perché leggete il libro di Michele Antonio Fino – .

Esce oggi 14 maggio per Mondadori il libro di Michele Antonio Fino, docente dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. “Io non lo bevo – Gustare il vino consapevolmente senza marketing né mode” è un tentativo meritorio di restituire verità a una narrazione a volte troppo “corrotta”, cercando di sfatare i falsi miti che ruotano attorno al vino. Ma non solo.

Non lo compro Non è una guida, Non è un resoconto di viaggio, e nemmeno un racconto personale. L’Autore lo chiarisce subito. Molto più semplicemente è un vademecum per tutti coloro che amano il vino «ma non riescono più a orientarsi tra etichette, slogan, inviti, che faticano a capire se sono animati dalla voglia di condividere o di vendere». Fare sfatare, insomma, e demolire alcune credenze sul vino tanto errate quanto radicate nel sentire comune, stimolando nel lettore un approccio (più) critico. Del resto, se è vero (come è) che il vino è in assoluto il prodotto agricolo che sviluppa il maggior valore aggiunto, bisogna tenere sempre gli occhi ben aperti per non finire vittime inconsapevoli di “chi vuole raccontacelo” e basta.

Non “fidarsi” del tutto delle narrazioni a cui ci si espone, anche quando queste sembrano essere le più credibili e appassionate, è un esercizio decisamente complicato per tutti. Soprattutto se parliamo di vino, una bevanda che ha una storia incredibile e porta con sé un carico di valori universalmente (o quasi) riconosciuti, caposaldo (per noi) irrinunciabile della nostra cultura.

Il vino si fa così da sempre, o almeno così da millenni (un po’ come la carbonara). E invece no: esiste un prima e un dopo Pasteur, il chimico e microbiologo francese a cui si deve un cambiamento epocale nella prospettiva dell’enologia moderna. È “solo” nel 1860, infatti, che il “tini in ebollizione“acquista significato diverso come diretta conseguenza della celebrazione delle reazioni microbiologiche. Le stesse pratiche precedentemente ripetute (quasi) pedissequamente trovano (finalmente) senso nel lavoro dei lieviti funzionale a trasformare in alcol gli zuccheri naturalmente presenti nell’uva.

Vino e salute

C’è una narrazione molto forte che, trascurando le implicazioni in termini di salute, riconosce al vino poteri “benefici” che in realtà potrebbero manifestarsi solo in caso di assunzione massiccia (che però ops, porterebbe a sua volta a conseguenze negative per la salute). In altre parole, la nicotina riduce anche il rischio di emicrania in alcuni soggetti, ma i vantaggi non superano di certo gli svantaggi. Consumare vino comporta sicuramente un aumento dei rischi: se li conosciamo e accettiamo il loro verificarsi, bene! L’importante è bere il vino consapevolmente. Soprattutto, è importante che non ci sia nessuno che voglia convincerci del contrario semplicemente non parlando di questi rischi.

Vino contadino e naturale

Altro mito (da sfatare), altra razza. Il “vino contadino”, anzi parliamone al plurale. Dapprima inteso – nello stile di Soldati – come il risultato di un lavoro artigianale e di una produzione numericamente limitata, senza l’ausilio di macchinari enologici (mai!) e addirittura senza etichetta (che dava ulteriore autorevolezza al “viaggiatore della domenica” desideroso di proporre qualcosa di veramente speciale per gli amici di ritorno dalle escursioni enogastronomiche). Quindi – da Veronelli – nel senso di “genuino”, in aperto contrasto con la manipolazione e la standardizzazione del vino industriale. Infine, purtroppo fraintendendo e sovrapponendo livelli semantici, come il vino prodotto senza mezzi né conoscenze tecniche, fino all’attuale perversione da cui, solo più recentemente, anche i protagonisti della prima ora del movimento naturale (che non aveva altro merito reazionario Di spingere altri produttori più o meno convenzionali per ridurre al minimo gli interventi, senza ritocchi e/o effetti speciali). Come a dire: non è più accettabile fare confusione”la peggiore sciatteria” con pregi di presunta derivazione territoriale (tanto che il territorio è ormai a passpartout).

L’etichetta, questa sconosciuta

Come ogni manuale che si rispetti, c’è spazio anche per una parte ancora più – direi – didattica, che abbandona la prospettiva irriverente del sfatare per offrire notizie (essenziali) al lettore. È il caso del capitolo “Come leggere un’etichetta per capire cosa è veramente importante”. Un tema che, del resto, anche il prof. Fino ha affrontato con lucidità su queste pagine: prima nel commentare l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sull’etichettatura, poi in relazione alla tanto chiacchierata deroga italiana al regolamento europeo sull’etichettatura.

Conoscevi, ad esempio, il significato del simbolo “e” subito dopo il contenuto espresso in ml della bottiglia? Oppure perché quel numero alla base delle bottiglie di vetro, seguito dal simbolo del millimetro e poi dalla capacità nominale della bottiglia (ad esempio 70 mm 75 cl)? O ancora, sapevate che la dicitura “contiene solfiti” va riportata in etichetta ogni volta che il totale dei solfiti, al momento dell’imbottigliamento, supera i 10 mg per litro? Ecco, l’attenzione a queste tematiche, troppo spesso campo minato per il “consumatore medio generale” (cit.), è fondamentale per consentire scelte di acquisto più consapevoli.

Non lo compro
Michele A.Fino
204 pagine, Mondadori Editore
19 euro

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

NEXT Paride Vitale, la presentazione del nuovo libro “D’amore e d’Abruzzo” al MAXXI (con Victoria Cabello) – .