KERRY KING – Dall’Inferno mi rialzo – .

KERRY KING – Dall’Inferno mi rialzo – .
KERRY KING – Dall’Inferno mi rialzo – .

votazione
7.0

Streaming non ancora disponibile

Come abbiamo già avuto modo di dire nel nostro podcast dedicato a questo album e al ritorno sulle scene degli Slayer (qui il link), non c’è nulla che deluda le aspettative nell’album d’esordio di Kerry King, ma inevitabilmente non ce ne sono troppe. momenti di esaltante sorpresa.
Semplicemente, come era logico aspettarsi, “From Hell I Rise” è l’album che ci saremmo potuti aspettare dagli stessi Slayer nel 2024: il songwriting è in puro stile King, proprio come su “Repentless”, lo stile di Bostaph è inconfondibile e ha anche ha caratterizzato un terzo delle uscite della band, con buona pace di chi pensava “niente Lombardo, niente Cacciatrice” (e chi scrive ammette di essere di questa scuola…), mentre i restanti componenti della band svolgono il loro compito senza pecche.
Al basso troviamo un tonante Kyle Sanders (Hellyeah), mentre alla seconda (ma spesso prima, per la precisione) chitarra non è proprio l’ultima arrivata, visto che si tratta di Phil Demmel. E qui è inutile fare paragoni con Hanneman, visto che Gary Holt ha già dimostrato che si può duettare con King in diversi modi, senza destare sgomento tra i fan.
Mark Osegueda, infine, è la scelta potenzialmente più divisiva, almeno in termini di apprezzamento: la sua caratteristica voce è sfruttata in registri molto diversi, insegue frequentemente la cattiveria di Araya, ma molto spesso prevale una direzione quasi thrashcore, anche giocosa, ma efficace (” Residue”, o “Trophies Of The Tyrant”, forse il pezzo più divergente del lotto).
Una volta finito l’organigramma, e viste le premesse, sulle canzoni c’è poco da dire: la capacità di scrivere canzoni c’è, e sarebbe sinceramente scorretto sottolineare la prevalenza del mestiere sulle idee brillanti (“Where I Reign” , “Toxic” ) in un musicista che definì le coordinate del genere oltre quarant’anni fa, o gli evidenti riferimenti agli Slayer, che tuttavia danno gioia in diversi brani: dall’iniziale “Diablo”, un midtempo che evoca molti ricordi, passando attraverso la ritmatissima ” Idle Hands”, la struttura portante rimane la stessa fino alla fine dell’album, ovviamente con particolare riferimento al lato più furioso della band di Huntington Park, da sempre prerogativa di Kerry: nomen presagioascoltate “Rage”, dove appare anche una certa intransigenza del thrash teutonico.
Tutto sommato, se vi aspettavate un miracolo, espresso come un nuovo “Reign In Blood” o come la scoperta di un suono inedito, sensazionale, di nuova rivelazione da parte di Kerry King, rimarrete gravemente delusi; se invece prevale la consapevolezza del percorso intrapreso negli anni dagli Slayer, si tratta sicuramente di un disco che può essere ascoltato più volte. E niente di grave se, visti gli altri accadimenti, sarà anche l’unico a fare coming out solo in nome di Kerry King.

 
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