Robin Zeng, il capitalista più potente del mondo – Corriere.it – .

Robin Zeng, il capitalista più potente del mondo – Corriere.it – .
Robin Zeng, il capitalista più potente del mondo – Corriere.it – .

Lasci perdere Elon Musk. L’uomo più importante del capitalismo mondiale si chiama Yu Qun Zeng, Robin Zeng per gli amici occidentali. Facendo la differenza nelle nostre vite, ma di lui si sa poco. Ha 55 anni, risiede ufficialmente a Hong Kong, ha un dottorato in fisica dell’Accademia cinese delle scienze, ha patrimonio stimato tra i trenta e i quaranta miliardi di dollari (37° al mondo) e fondatore, presidente con poteri esecutivi e azionista di maggioranza di Contemporary Amperex Technology Ltd (Catl). La sua azienda controlla oltre un terzo del mercato mondiale delle batterie elettriche e il principale fornitore dei giganti del capitalismo del 20° secolo come Ford o BMW e dei campioni del 21° secolo come Tesla.

Il boom dell’auto cinese lascia l’Italia alle spalle

Tutto questo è tremendamente importante. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), lo scorso anno la spesa mondiale per l’acquisto di auto elettriche ha sfiorato i 500 miliardi di dollari. È stato un aumento del 50% rispetto al 2021. Quest’anno avrà sicuramente una crescita forse ancora maggiore. Mentre noi in Italia giochiamo a sognare i biocarburanti, negli ultimi mesi del 2022 la quota di auto immatricolate che funzionano solo con batterie elettriche in Europa (per non parlare delle ibride) ha superato di gran lunga quelle a diesel. Queste ultime erano la tecnologia dominante fino a pochi anni fa, un fiore all’occhiello dell’industria europea capace di presidiare ancora nel 2014 oltre il 53% del mercato automobilistico. Oggi il diesel distrutto dagli scandali Volkswagen, che hanno truccato i test sulle emissioni per nascondere l’obsolescenza del suo modello di fronte alle sfide climatiche. Auto con a batteria al litio oggi rappresentano la maggior parte dei modelli venduti in Europa, ma l’Europa niente: la metà dei quasi trenta milioni di modelli oggi in circolazione si trova in Cina. Qualunque cosa dicano le direttive europee, tra qualche anno le auto nuove alimentate solo a benzina o diesel saranno una rarità.

Siamo di fronte a una rivoluzione che non è solo tecnologica o di modello industriale. Investe anche i flussi commerciali dell’Europa (Italia inclusa) e si interroga sul nostro destino di società avanzata: senza nemmeno riesumare ciò che ha rappresentato produrre automobili per l’Italia nel 1900, basti pensare che questo settore vale direttamente più di un decimo di tutta l’industria europea. Oltre, ovviamente, a tutte le attività connesse.

Eppure siamo sul punto di diventare dipendenti dal misterioso e brillante Robin Zeng. Un imprenditore con un dottorato in fisica il cui nome cinese rivela solo riferimenti a brevetti sul web. Un uomo che ha fondato la prima azienda di batterie al litio in giovanissima età, lo ha venduto a una multinazionale giapponese di elettronicapoi ha lanciato uno spin-off che oggi è il campione mondiale di tecnologia del momento.

Ora dai un’occhiata alle implicazioni nel grafico sopra (di Mercer). Mostra i flussi commerciali delle vendite di automobili tra la Cina e l’Unione Europea negli ultimi anni. In passato, l’Europa aveva un enorme surplus, vendendo automobili per cinque o sei miliardi di euro al trimestre ai cinesi (compresi i componenti italiani per le auto tedesche) e importando quasi nulla. Oggi l’Europa è ancora redditizia, ma la Cina esporta auto elettriche a batteria nell’UE per un valore circa dieci volte superiore a quello che accade nella direzione opposta. Siamo chiaramente in deficit commerciale sulla nuova tecnologia che sta guadagnando terreno in un settore un tempo dominato dall’Europa. Rimaniamo in surplus solo nelle tecnologie in declino. Intanto – rileva Brad Setser del Council on Foreign Relations – la Cina è passata dall’esportare auto nel mondo per 15 miliardi di dollari a trimestre nel 2021 a esportarne 70 miliardi oggi.

Quanto a noi – Italiani ed Europei – siamo così in ritardo che non capiamo nemmeno cosa sta succedendo intorno a noi. Non solo, sei dei primi dieci produttori di batterie elettriche sono cinesi, tre sudcoreani e uno giapponese. Ancora più importante è il modo in cui si stanno muovendo in Europa. Negli ultimi anni, quattro di questi produttori hanno annunciato oltre undici miliardi di euro di investimenti green field (ovvero fabbriche dal nulla) in un solo Paese dell’Unione Europea: l’illiberale, filorussa Ungheria, permeabile alla Cina del l’autocrate Viktor Orbán. Di quel regime si percepiscono autoritarismo, complicità con il Cremlino, cleptocrazia. Gli investitori cinesi e coreani godono della facilità di fare affari, delle leggi e quindi dei costi del lavoro semi-schiavituali, forti riduzioni fiscali e nessun rischio politico per le società di proprietà delle banche pubbliche di Pechino. Cos Orban lavora per rendere l’Ungheria il fulcro delle batterie elettriche in Europa, da cui dipenderanno grandi gruppi come Volkswagen, BMW o Daimler. Va da sé che gli investimenti sono guidati da un progetto da 7,3 miliardi del Catl di Robin Zang, anche lui. In tre o quattro anni, l’Ungheria corrotta e opaca di Orban ha attratto dall’estero più investimenti tecnologici di quanti ne abbia mai avuti l’Italia nella sua storia. Possiamo deprecare molti dei metodi dell’autocrate di Budapest – giustamente – ma le classi dirigenti italiane non hanno avuto la lucidità nel leggere i grandi cambiamenti tecnologici di questo secolo. Le relative competenze saranno accumulate in Ungheria, non in Italia.

Ora guarda il secondo grafico, sopra. Rappresenta la classifica delle prime venti posizioni dell’Indice di Complessità Economica. Sviluppato da Cesar Hidalgo (Massachusetts Institute of Technology) e Ricardo Hausman (Harvard), questo indice riassume le capacità produttive di ciascun paese sulla base della conoscenza accumulata dalla sua popolazione rispetto a quella presente in altri paesi. L’Italia è scesa dalla 13esima posizione nel 2001, alla 17esima nel 2011, alla 19esima nel 2021. Recentemente è stata superata dall’Ungheria, ma anche da Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca. Ma in realtà tutti i principali paesi dell’Europa occidentale hanno perso terreno negli ultimi vent’anni. In crescita le economie dell’Asia orientale come Singapore, Taiwan o la Corea del Sud e precisamente quelle dell’Europa centro-orientale. E quello che sappiamo di questa classifica è che più un paese sale, più tende ad avere un reddito pro capite più alto (tenendo conto del diverso costo della vita nei diversi luoghi). E viceversa se scende. In effetti, questo effetto diventa sempre più pronunciato man mano che il contenuto tecnologico di un’economia diventa sempre più importante in questa epoca.

Eppure un recente studio di Andrea Orame e Daniele Pianeselli della Banca d’Italia mostra come nel nostro Paese le aziende non si sono preparate alla rivoluzione elettrica depositando diversi brevetti o fondendosi tra loro. Fiat-Chrysler tra il 2013 e il 2018 non ha prodotto un solo modello a batteria, mentre anche nell’Europa arretrata ne sono state prodotte molte dozzine. E l’Aie dimostra che l’Italia non solo ha pochi modelli elettrici in circolazione, ma ha anche un numero di punti di ricarica inferiore alla media mondiale in proporzione al numero di auto presenti.

Sono livelli di sottosviluppo, inaccettabili. Continuiamo così e verrà un momento in cui non potremo più definirci uno dei Paesi più avanzati. Ma l’Italia è solo un caso particolarmente eclatante di un malessere che attraversa tutta l’Europa occidentale. E le batterie sono l’esempio di un più ampio ritardo tecnologico-industriale in questa parte del mondo. Per questo non capisco il senso di rinunciare a possibili investimenti tagliando il piano di rilancio o disegnando le nuove regole europee poco adatte a questi anni. Il punto è saper investire almeno un po’ della chiaroveggenza di Robin Zang.

Questo testo è tratto dalla newsletter di Federico Fubini Qualunque cosa ci voglia.

 
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