Intervista al curatore Edoardo De Cobelli – .

Edoardo De Cobelli (Bergamo, 1992) è critico d’arte, curatore e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca – Dottorato di ricerca in Patrimonio Immateriale nell’innovazione socioculturale. È direttore artistico di Spazio Volta, parte del team curatoriale della Quadriennale di Roma 2020-2024, curatore del Premio San Fedele e coordinatore per la Lombardia del progetto Una Boccata d’Arte, promosso dalla Fondazione Elpis. La sua pratica curatoriale si accompagna ad un progetto culturale più ampio che promuove la scena artistica contemporanea nel nome di rigenerazione urbanacon particolare attenzione ai luoghi che possono rivestire interesse storico o culturale, come l’ex fontana romanica e l’ex chiesa di San Rocco, sede di Spazio Volta.

Intervista a Edoardo De Cobelli

Per diventare curatore spesso non esiste un percorso prestabilito e varia molto a seconda delle esperienze personali di ognuno. Raccontami il tuo percorso formativo e da dove è nata l’esigenza che ti ha portato ad esplorare questa pratica.
I miei studi si sono spostati in modo non lineare tra economia e storia dell’arte prima di arrivare all’arte contemporanea. Quando ho finito il corso, altri colleghi, che avevano già iniziato a organizzare progetti dell’accademia, erano attivi da tempo e ho avuto l’impressione che si conoscessero già tutti.
Inizialmente, come molti, non pensavo di fare il curatore; Ho iniziato scrivendo e lavorando nelle gallerie, ma pian piano, iniziando a conoscere gli artisti, ho capito che mi interessava fare progetti con loro.
In un certo senso il sistema spesso ti porta a diventare curatore anche se non lo sei. Il ruolo nasconde, in un cono d’ombra, una serie di figure professionali molto importanti che non hanno sufficiente visibilità, come il produttore, l’allestitore (che ora si sta facendo strada in parte anche come allestitore), il cancelliere e il coordinatore . Spesso si finisce per fare il curatore perché sembra l’unica scelta, ma non ce n’è bisogno, e chi legge questa rubrica dovrebbe sapere che ci sono tanti altri ruoli molto interessanti, che anche musei e gallerie faticano a trovare. Ad essere onesti, penso che dovresti scrivere una rubrica sui produttori.

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Franco Mazzucchelli, intervento pubblico, Piazza Vecchia, Bergamo, 2023, veduta dell’installazione. © Piercarlo Quecchia © DSL Studio

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Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin, veduta dell’installazione allo Spazio Volta, 2022

Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin, veduta dell'installazione allo Spazio Volta, 2022, 3/7

Giovanni Chiamenti, Interspecies Kin, veduta dell’installazione allo Spazio Volta, 2022

Jacopo Benassi, SERENATA AGITATA, Una Boccata d'Arte, Gardone Riviera, 2023. Poto Henrik Blomqvist 4/7

Jacopo Benassi, SERENATA AGITATA, Una Boccata d’Arte, Gardone Riviera, 2023. Poto Henrik Blomqvist

COLPO di scena, Tomboys Don't Cry, Centre d'Art Bastille, Grenoble, 2024 5/7

COLPO di scena, Tomboys Don’t Cry, Centre d’Art Bastille, Grenoble, 2024

Ritratto di Edoardo De Cobelli 6/7

Ritratto di Edoardo De Cobelli

This must be the place, vista dell'installazione presso il flagship store Composit, Milano, 2022, © Michele Stroppa 7/7

This must be the place, vista dell’installazione presso il flagship store Composit, Milano, 2022, © Michele Stroppa

Che significato ha per te la parola ‘cura’ e come si esprime nell’arte contemporanea?
Non mi piace partire dall’etimologia della parola, ma è vero che l’organizzazione di mostre porta con sé tante forme di cura. Ma la cura, in definitiva, è una, quella dell’idea dell’artista. L’idea dell’artista crea un team naturale composto dal curatore, dall’artista stesso e dalle persone intorno, in cui ognuno cerca in ogni modo di rendere possibile quella visione. Credo che anche l’idea preceda l’artista e l’io, l’ego – dell’uno o dell’altro – sia poi un ostacolo, anche se è un grande motivatore.

Nella tua esperienza e visione, quale rapporto si dovrebbe instaurare tra artista e curatore?
Questo modo di lavorare spesso fa nascere una forte intesa con gli artisti, anche tra persone molto diverse tra loro. È una forma di amicizia in senso artistico; quando si condivide la visione, a volte non c’è nemmeno bisogno di dire le cose, si tende a capire. L’arte tende ad unire e riunire, uno dei suoi maggiori punti di forza.
Rimango molto legato agli artisti con cui ho collaborato, ma non c’è nessun tipo di rapporto che si dovrebbe instaurare, a ciascuno il suo. Anche quando la relazione finisce, però, una parte della vostra vita è stata trascorsa insieme, un mese, due, forse di più e non si tratta mai solo di un rapporto di lavoro. Curare ed essere artista difficilmente possono essere definiti lavori e tutti lo facciamo per altri motivi, il primo dei quali è prendersi cura gli uni degli altri.

Parlami di un progetto che hai creato, un riassunto dei tuoi interessi e delle tue ricerche. Cosa ti interessa esplorare attraverso il tuo lavoro?
Il progetto più rappresentativo di questi anni è Spazio Volta, lo spazio indipendente che ho fondato a Bergamo quattro anni fa, in città alta. Ora sto restaurando la chiesa sopra lo spazio e spero che possa aprire a settembre. Stavo lavorando alla programmazione dell’ex chiesa di San Paolo Converso a Milano quando ho deciso di aprire lo spazio e Converso ha avuto una grande influenza sulla mia visione della curatela e della progettazione culturale.
Oltre a muovermi in spazi non convenzionali nella pratica curatoriale, la mia ricerca teorica si muove in due direzioni. Il primo è il complesso rapporto tra arte contemporanea e antropologia, in particolare nel caso delle culture precolombiane, che solitamente si muove secondo modalità di appropriazione culturale. Presto andrò in Argentina per sviluppare un progetto con il Museo nazionale di antropologia, che troverà un ritorno anche al MUDEC di Milano.
La seconda direzione è una riflessione sulla possibilità di uno statuto dell’opera d’arte senza pubblico, un’idea un po’ complessa che spero di tradurre in un saggio per l’estate.

L’arte è sempre stata parte integrante di ogni cultura e società. Nel mondo contemporaneo, quale ruolo sociale ritieni abbia un curatore e quali sono le sue sfide?
Se parliamo di ruoli socialmente rilevanti, il curatore assume una posizione contraddittoria. Da un lato egli si inserisce in un sistema (inteso come sistema capitalistico) non solo riproducendone i meccanismi, ma oliandoli e amplificandoli e di conseguenza assorbendone il valore potenzialmente sovversivo; dall’altro è la figura che meglio può utilizzare lo spazio radicale di libertà offerto dall’arte per mettere granelli di sabbia negli ingranaggi della cultura e della società. Tende ad occupare il primo ruolo. Anche nei casi in cui i curatori sono molto bravi, come Marco Scotini che da anni porta avanti ricerche sulla disobbedienza, si ritrovano a replicare e consolidare dinamiche sociali e di mercato. In questo caso mi occupo della dimensione aziendale di NABA – Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano. È un problema? Onestamente non lo so, ma certamente il ruolo sociale del quadro teorico è smorzato dal contesto utilizzato per trasmetterlo. Uno dei progetti più interessanti che ho visto negli ultimi dieci anni è stato infatti realizzato da un pescatore, che con l’arte non ha nulla a che vedere. Paolo Fanciulli gettò sul fondo della costa maremmana decine di massi scolpiti per impedire la pesca a strascico sui fondali. Le sculture diventano parte di un museo sottomarino. Paolo è uno dei migliori curatori che abbia conosciuto, ovviamente senza saperlo. Secondo me i giovani curatori di CAMPO (il programma di formazione curatoriale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ndr) dovrebbero fare un viaggio da lui, non dai musei.

C’è un progetto recente di una giovane figura curatoriale che ammiri? Quale?
Ammiro Agnes Gryczkowska, dalla bella mostra Il sorgere del sole | Dom Set dallo Schinkel Pavillion 2021 a quello attuale di Lafayette Anticipations. In Italia, nell’ambito della sperimentazione giovane, hanno fatto un buon lavoro Sara von Bussel e Manuela Nobile Guardami IIIuna mostra notturna in una sauna milanese, perché abbinavano la sperimentazione visiva a sensazioni corporee come il calore e l’umidità.

Ritratto di Edoardo De Cobelli
Ritratto di Edoardo De Cobelli

Qual è una delle mostre che ti ha colpito di più tra quelle che hai visto nell’ultimo anno? Perché?
Pochi. In termini di mostre museali, penso alla retrospettiva di Emilio Prini al MACRO di Roma, per la sfida che ha affrontato. Per citarne una oltreoceano, la prima mostra personale istituzionale della pittrice Sasha Gordon all’ICA di Miami. Assolutamente fantastico, spero che mantenga il successo che sta avendo.

Quali sono alcuni giovani artisti che ti piacciono particolarmente o con cui collaboreresti, e perché?
Mi piacerebbe collaborare con Bekhbaatar Enkhtur. Parla di sogni e miti, utilizzando materiali organici molto tattili come l’argilla o la cera. È molto sincero. Suggerisco invece ad altri di guardare il lavoro di Martina Rota e di invitarla. Tra i più grandi sogno di collaborare con Nicolas Lamas e, beh… Cyprien Gaillard.

Guardando la storia dell’arte, c’è una corrente, un movimento, un artista o un lavoratore d’arte del Novecento a cui ti senti particolarmente vicino?
La mostra a Pescara del 1975 di Gino De Dominicis Quando non si parlerà più di immortalità del corpo (ingresso riservato agli animali).

Quali sono i libri che hanno più segnato il tuo percorso professionale o personale e perché?
L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica di Benjamin e L’uomo senza contenuti di Agamben per l’estetica; Fenomenologia degli stili di Barilli e Dopo la fine dell’art da Arthur Danto per la storia dell’arte; Lacan… Non lo so, la lista sarebbe davvero lunga. Hanno tutti avuto un enorme impatto su di me. Sono tutti uomini, me ne rendo conto adesso mio malgrado. Ma gli studenti dovrebbero iniziare leggendo L’informe di Rosalind Krauss e Inferni artificiali di Claire Bishop per la critica d’arte, per poi tornare indietro nel tempo. Lettura personale: Q di Lutero Blisset.

Viola Cenacchi

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