«Ho perso i capelli a causa della malattia, ma ora mi metto in posa senza paura»- Corriere.it – .

«Ho perso i capelli a causa della malattia, ma ora mi metto in posa senza paura»- Corriere.it – .
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Ha imparato a sfoggiare parrucche colorate, cerchietti e foulard, preferibilmente abbinati a scarpe e borsetta. A 18 anni dalla diagnosi, esce anche a capo scoperto. Senza imbarazzo, con un sorriso. Invitando gli altri a identificarsi con la sua condizione, “a normalizzarla”. Alessandra Sbarra, 45 anni, psicologaè un presidente di quattro mandati di Asaa, l’Associazione per la Consapevolezza dell’Alopecia Areata. Aveva 27 anni quando il suo parrucchiere ha notato la prima zona calva. E tanti capelli, scuri, ricci, fino alla nuca. In meno di un mese li aveva persi tutti. E poco dopo è stato il suo turno di capelli, ciglia e sopracciglia. «Mi sono guardata allo specchio – racconta – e non sapevo più chi fossi. Fino ad allora Ero stata una ragazza allegra e affascinante, prestare attenzione all’aspetto esterno. Dopo lo tsunami iniziale, la rabbia e la rielaborazione del lutto per la perdita della mia immagine, posso esserlo ancora oggi». «Sono stata – svela – rossa, mora, ho scelto capelli folti o cortissimi. Poi sono tornata al mio colore naturale: il castano scuro. Non l’ho ancora provato – scherza – il biondo e il fucsia».

schiaffeggialo

L’alopecia areata, conosciuta anche con l’antico nome Area Celsi, ne è una malattie genetiche e autoimmunii cui meccanismi di attivazione non sono chiari. Poco conosciuta, finì sotto i riflettori lo scorso anno quando, alla cerimonia degli Oscar, una sfortunata battuta su Jada Pinkett provocò la reazione del marito e attore Will Smith, che aveva schiaffeggiato il collega Chris Rock. L’alopecia colpisce circa 145 milioni di persone nel mondo, pari al 2% della popolazione, indipendentemente da sesso, colore della pelle, abitudini alimentari, igiene e comportamento personale. Può manifestarsi in diverse forme ea qualsiasi età, anche se si manifesta più frequentemente tra i 20 ei 40 anni. Il suo decorso è imprevedibile, non ha cure ma terapie per tenere a bada le recidive. Dal greco alopex, volpe, la malattia prende il nome da questo animale che perde il pelo a chiazze in autunno e in primavera. A differenza della volpe, Sbarra rivendica il giusto per non avere un fermo immagine: “Non ho scelto io questa malattia, ma posso decidere come gestirla”. Ad esempio con l’ironia.

Come Mina

Anche adesso che ha un ruolo importante all’interno dell’associazione nata nel 2008 dalla volontà di un gruppo di auto aiuto formatosi spontaneamente, Sbarra guarda oltre le differenze che porta dentro di sé. A”Ascolto, esperienza, serenità e benessere interiore per le persone affette da alopecia e le loro famiglie. E occorre sensibilizzare l’opinione pubblica, facendo informazione e promuovendo progetti volti a dare visibilità alla malattia». Sbarra è una delle 12 persone con alopecia areata raffigurate nel mostra fotografica “Mettiti nei miei panni”, promosso da Asaa, Comune di Bologna ed esposto fino al 3 giugno presso la Scuderia di Piazza Verdi, nella zona universitaria. Di fronte a all’obbiettivo di Andrea Brintazzoli, Alessandra è diventata Mina, “la più grande cantante italiana e icona di stile”. Al suo fianco Frida Kahlo, David Bowie e altre star che hanno riconosciuto i testimonial del progetto dedicato alle persone affette da alopecia areata totale e universale. «La scelta di Mina – spiega la psicologa – di abbandonare la scena pubblica all’apice del successo e continua a fare musica di spalle rappresenta a mio avviso un esempio di grande forza. Per questo ho voluto indossare le sue scarpe, invitando l’osservatore a mettersi le mie. Questo era ed è lo scopo della mostra: raggiungere chi non soffre di alopecia, superare gli stereotipi che ancora si nascondono negli occhi degli altri (ma anche nei nostri) e renderlo riconoscibile, nominabile, legittimato nella sua esistenza come vera e propria patologia, e non solo come un banale disagio estetico».

L’autostoppista pazzo

“Il mancato riconoscimento da parte del sistema sanitario nazionale dell’alopecia come malattia rara, unitamente alla forte influenza dei canoni estetici convenzionali che la società odierna ci impone – conclude Sbarra – fa sì che percorso personale di adattamento e accettazione del tuo stato. Come faccio io? La tratto come un’autostoppista pazza a cui ho dovuto offrire un passaggio. Se prima vedevo solo lei, ora viaggiamo insieme guardando la bellezza dentro e fuori dal finestrino. Mi chiamo Alessandra e sono fatta così».

 
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