A Cannes ‘Parthenope’, il consueto virtuosismo barocco di Paolo Sorrentino – Primocanale.it – .

CANNES – Come sappiamo Paolo Sorrentino è ossessionato dai temi della giovinezza e della bellezza che gli hanno fruttato consensi, premi e perfino un Oscar. Non è quindi una sorpresa trovarli abbinati nell’Partenope‘, il secondo film consecutivo dopo ‘Era la mano di Dio‘ è ambientato a Napoli, la sua città natale, che ci mostra lussureggiante, sensuale, grondante di desiderio e disperatamente bella. Tutto attraverso la figura della protagonista che prende il nome della leggendaria sirena la cui romantica morte è legata alla fondazione della città greca che precedette la moderna Napoli e che come lei nasce sulla riva del mare dove la sua omonima trovò la fine, secondo la leggenda che si annegò quando le sue canzoni non riuscirono a sedurre Ulisse.

Il film racconta e segue la vita di Partenope dalla nascita nel 1950 ad oggi. Un lungo viaggio, un’esistenza spinta dalla passione, dall’amore, soprattutto dalla libertà, che segue l’onda dell’istinto, cambiando spesso rotta e meta, passando per l’inesorabile velocità della giovinezza che si materializza in una splendente estate caprese, poi universitaria, sogni, delusioni e domande esistenziali. La sua curiosità è pari solo alla voglia di imparare: “Non so niente, ma amo tutto”, dice. Ci sono genitori distratti, un triangolo amoroso, un suicidio che la perseguiterà per il resto della sua vita, un’attrice anziana che vaga per casa in scene che potrebbero provenire da ‘Viale del tramonto‘, un’epidemia di colera, un’insegnante di recitazione cupa, una scrittrice americana alcolizzata e depressa, il primo uomo che incontra che non vuole fare sesso con lei, un vescovo losco e osceno, un boss della camorra, uno scontroso professore di antropologia, saggio ed esigente e molti altri personaggi.

Interpretata dall’esordiente Celeste Della Porta, enigmatica ma sexy, indipendente ma disponibile, Partenope è la metafora di una città che seduce senza mai rinunciare alla propria anima ma anche l’incarnazione di una spudorata fantasia maschile in un film che risuona con gli echi della nostalgia, riconquistando il sentimento di libertà giovanile e rifiutandosi di rifuggire dalle incertezze dell’età adulta. Ma non è una semplice storia di formazione. È la ricerca artistica di una regista che, raccontando la storia di una donna che ritrova la sua interiorità – sia al di là della bellezza sia attraverso di essa – parte alla ricerca delle verità sul modo in cui vediamo il mondo e noi stessi.

Poi ovviamente c’è il Napoli. Più che in ‘Era la mano di Dio’ Sorrentino ci mostra i suoi spaccati, i panorami, i luoghi e la sua umanità come aveva fatto con Roma inLa grande bellezza’. Il suo sguardo è lo stesso di Partenope che parte dal mare e inizialmente la scruta con ammirazione e incanto. Un fascino che diminuisce con la crescita della sua consapevolezza che la porta a vedere le ombre così come le luci, a percepire i sapori e gli odori, altre sfumature di bellezza ma anche di marciume tanto che in una certa misura sembra che il il film è anche un requiem per il suo fascino sbiadito.

Solo che il gusto del regista per le immagini stravaganti lo spinge a soddisfare i suoi peggiori istinti, cadendo, come spesso gli è capitato in passato, nel surrogato di Fellini.. C’è molto da apprezzare in “Parthenope” prima che l’eccesso prenda il sopravvento e il personaggio al centro smetta di essere intrigante e diventi semplicemente una sirena con un’aria misteriosa che non capisce cosa sta succedendo intorno a lei. Così, mentre ‘Era la mano di Dio’ brillava dei ricordi giovanili di Sorrentino, la natura profondamente personale e l’intimità di quel film sono qui soffocate dall’ostentazione. Gli aspetti artistici, come sempre, non vengono discussi ma la protagonista diventa sempre più lontana e inconoscibile quanto più tempo passiamo con lei. Insomma, si privilegia l’estetica ma l’estetica da sola non può reggere un film di 136 minuti.

 
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