Atlas, la recensione del film Netflix con Jennifer Lopez – .

Se c’è un argomento che è stato al centro dell’attenzione dell’intrattenimento nell’ultimo anno, al di là dei soliti noti, questo è sicuramente ilintelligenza artificiale. Dalla sua applicazione ai pericoli preoccupanti, dagli scioperi di settore alle polemiche sui titoli di testa di Secret Invasion, da Il creatore da Gareth Edwards a quest’ultimo Atlante di Brad Peyton. L’intelligenza artificiale è uno di quei temi che dalle Sorelle Wachowski a Steven Spielberg, da Alex Garland a Spike Jonze, ha sempre incuriosito e ispirato i cineasti contemporanei, soprattutto per la plasticità e la relativa versatilità del soggetto, adattabile ai contesti più diversi in maniera mix di generi dominato però dalla fantascienza.

Atlas, Jennifer Lopez affronta Smith

Il fatto è che il futuro è sempre più vicino e oggi, più di ieri, l’AI incuriosisce e stuzzica il mondo, trovando già applicazione concreta in tanti ambiti diversi. Il tema è sostanzialmente più attuale che mai e ci riguarda ormai da vicino, anche se l’evoluzione dell’intelligenza artificiale ha recentemente superato la fase embrionale. Il dominio dei “robot” sugli uomini è ancora, per così dire, lontano, e la visione apocalittica e schopenaueriana Matrice o quello minaccioso di Io Robot di Alex Proyas sono ancora oscuri miraggi. Al netto di questo, però, anche Atlante con Jennifer Lopez guarda con estremo fascino quelle stesse paure e quelle stesse persone cosa succede se dei registi del passato, e nonostante sia derivativo sotto ogni punto di vista, la verità è che sa far funzionare più o meno tutti gli elementi in gioco con discrezione.

A caccia di IA

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Jennifer Lopez in primo piano

Il futuro in cui è ambientato Atlante non ha coordinate, ma la storia inizia a Los Angeles. Come immaginato negli scritti di Isaac Asimov (che viene citato direttamente) e poi riproposto nei decenni da molto altro cinema, tv e letteratura, l’Uomo convive da anni con i bot. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale ha infatti permesso l’introduzione di questi robot in ogni ambito della società e della vita quotidiana, operando in ambienti sanitari, culturali, della difesa e domestici. All’improvviso, un’intelligenza artificiale di nome Harlan (un freddissimo ma convincente Simu Liu) creato da Val Shepherd comincia a modificare i codici dei bot che cominciano a ribellarsi all’umanità, dando inizio ad un vero e proprio massacro globale. Viene creata l’ICN (Conferenza Internazionale delle Nazioni) per occuparsi di Harlan e del suo esercito, poi un giorno il leader terrorista AI fugge nello spazio, promettendo di tornare e “finire ciò che ha iniziato“.

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Un’immagine dal film di Brad Peyton

28 anni dopo, Atlas (J-Lo), la figlia di Val, è un’analista dell’ICN che riesce a scoprire il nascondiglio di Harlan e viene inviata dal generale Jake Boothe (Mark Strong) in missione sul campo, affidata alle cure del colonnello Elias Banks. (Storno K. Brown). L’obiettivo è catturare Harlan sul pianeta GR-39, e per farlo l’ICN ha sviluppato innovativi mecha IA per uso militare con i quali ogni soldato è però costretto a interfaccia a livello neuronale. Atlas, però, non si fida più delle intelligenze artificiali, trovandosi costretto a collaborare con una di loro per sopravvivere in territorio ostile.

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Una scena del film Netflix

Se l’incipit te lo ricorda Il creatoreattenzione: il film di Edwards è una chiara musa cinematografica di Atlas, da cui “ruba” l’idea del terrorismo AI e di una guerra totale tra robot e umani. Non c’è altro paragone, però, perché il lavoro di Peyton comincia allora a guardare oltre, allo spazio, al Ultronal videogioco (Pianeta perso da Capcom), rivelandosi un ottimo mix di ispirazioni. La storia è di per sé derivativa nello sviluppo e nella trama, ma lo è anche nella scrittura dei dialoghi tra la protagonista e la sua nuova IA, Smith, che il film sia nella marcia giusta da un punto di vista introspettivo e riflessivo, lasciando poi il compito di intrattenere all’azione e all’esplorazione.

In da mecha

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Jennifer Lopez in una sequenza di Atlas

Cosa c’è di sorprendente Atlante è la sua grande capacità di sapersi muovere adeguatamente nella propria derivazione. Al di là dei titoli già citati ma anche oltre il cinema, la fantascienza con J-Lo pesca da manga e anime l’attrazione per i mecha e una nomenclatura già nota (“neuronal link”) per abbinare esoscheletri simili a quelli di Avatar con concetti sfruttati in lungo e in largo da Evangelion A margine Pacifico. Diviso in tre atti ben distinti, il film trova il suo maggior punto di forza nel corpo centrale dell’opera, quando Atlas si trova all’interno del mecha e deve interfacciarsi con il programma AI che lo ospita. Lo scontro-dialogo tra i due apre interrogativi interessanti sul possibile ponte che la collaborazione uomo-intelligenza artificiale potrebbe creare verso un domani di comprensione e non di guerra, dove nessuno è mero nemico o strumento e dove l’integrazione è l’unica scelta possibile. Nel frattempo queste riflessioni (per nulla scontate e anzi gestite opportunamente) Atlas e Smith si muovono tra i diversi e sconcertanti biomi di un pianeta totalmente inospitalecominciando a conoscersi tra diffidenza e sarcasmo.

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Un’immagine dal film di fantascienza disponibile su Netflix

Il film si completa con buone sequenze d’azione (l’atterraggio sul GR-39, la prima fuga, la battaglia finale) che però soffrono di singhiozzi. La CGI non è sempre di alto livello, a tratti leggermente artificiale ma comunque capace di regalare allo spettatore dei fantasiosi e coinvolgenti scorci alieni, tra inquadrature di ispirazione cinematografica e videoludica e inquadrature in soggettiva. All’uscita del deludente La madre su Netflix (leggi la recensione), ci siamo interrogati su queste stesse pagine sulle scelte di J-Lo in termini di genere, sperando di trovare progetti più validi o di ritornare a un cinema più classico, tra dramma e commedia. Atlante dimostra la buona volontà di Lopez di adattarsi a generi diversi e di proporre qualcosa di appagante che, anche senza pretese o ambizioni intellettuali, senza chissà quale originalità o innovazione, riesca a suo modo a convincere.

Conclusioni

Atlas è uno di quei titoli capaci di sguazzare nella propria natura derivativa, sapendo perfettamente come restare a galla. Guardate The Creator e il genere mecha tra Oriente e Occidente, Big Hero 6 e Ultron, i videogiochi Capcom e Avatar, eppure resta in piedi, diverte e piace, nonostante la CGI non sempre di ottima qualità e l’azione di bravura soddisfacente ma non soddisfacente. ottimale. L’obiettivo era parlare di intelligenza artificiale e di integrazione tra uomo e macchina in un lungometraggio di genere che sfruttasse gli insegnamenti di Asimov e la nomenclatura giapponese in un esplosivo prodotto in streaming di fantascienza con raffinati picchi introspettivi e riflessivi. Considerando il cinema di Brad Peyton e l’ultima incursione nel genere di J-Lo, possiamo dirci sinceramente sorpresi e abbastanza soddisfatti.

Perché ci piace

  • Riflessione sull’intelligenza artificiale.
  • Il rapporto tra Atlas e Smith, i loro dialoghi.
  • L’idea di combinare il fascino dei mecha con le domande sull’intelligenza artificiale.
  • Alcune scene d’azione ben confezionate…

Cosa c’è che non va

  • … Al netto della CGI che non sempre è all’altezza.
  • Il terzo atto è inferiore ai precedenti.
  • Mark Strong e Sterling K. Brown non sono stati affatto sfruttati.
 
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