Quando tutta la città rimase orfana, un libro per rileggere il Grande Torino in omaggio solo sabato con Repubblica – .

Quando tutta la città rimase orfana, un libro per rileggere il Grande Torino in omaggio solo sabato con Repubblica – .
Quando tutta la città rimase orfana, un libro per rileggere il Grande Torino in omaggio solo sabato con Repubblica – .

Settantacinque anni sono un tempo vasto, ma anche un momento. Ci sono ancora anziani che ricordano perfettamente quel giorno, il cielo diventato inchiostro, il vento forte, il terribile temporale sulla città. Come se il coperchio del mondo si fosse improvvisamente richiuso. Ci sono persone che non hanno mai dimenticato. Il disastro di Superga fu come uno di quei lampi tra la coltre di nuvole verso la collina, un lampo di notizia che riempì di sgomento la città. La voce si sparse in un attimo, anche se allora esistevano solo radio e giornali. Fu un passaparola incredibile e velocissimo: «Il Toro è morto!»

La gente, incredula e sgomenta, disse proprio così, come se il Toro fosse una creatura umana, una persona e non una squadra di calcio. Il Toro è morto. I testimoni che ancora ricordano descrivono le ore e i giorni successivi come uno straniamento dalla realtà, quasi più che un incubo: un fluttuare altrove, nelle terre dell’impossibile.

Il silenzio insieme al pianto, il cordoglio, poi l’enorme partecipazione popolare ai funerali, le bare nel corteo cittadino, la messa in Cattedrale, l’addio impossibile. E gli avvenimenti dei giorni a venire: lo scudetto assegnato alla memoria, anche se la stagione non era ancora finita, quel tricolore cucito sulle maglie dei ragazzi che sarebbero scesi in campo indossando le divise dei caduti. Un evento emotivo e storico di incomparabile importanza.

Tutti in questa città, compresi i tifosi della Juventus, si sentivano orfani. Tutti avevano perso in qualche modo un padre, un figlio, un fratello. L’ha detto bene Giampiero Boniperti, Simbolo della Juventus che fu amico di tanti di quei leggendari giocatori granata: Toro e Juve non esistevano più, in quei momenti, ma un’unica sofferenza infinita, ha detto Boniperti.

La tragedia di Superga, il 4 maggio 1949, con l’aereo granata che si schiantò contro il muro della basilica, di ritorno da un breve viaggio a Lisbona, uccise giocatori, dirigenti, giornalisti e membri dell’equipaggio. Toccò a Vittorio Pozzo salire per primo sulla collina per riconoscere i poveri resti.

In quel momento iniziò una solitudine infinita per le famiglie dei morti, e tra tutti gli appassionati di calcio si rafforzò la convinzione che il destino non solo esiste, ma sa attaccare qualcuno in particolare. Purtroppo la vicenda Granata avrebbe confermato questa percezione, con altri giorni di tragico lutto: come la morte di Gigi Meroniinvestito da un’auto in centro città, come l’ictus che si è portato via Giorgio Ferrini, capitano storico. Eppure, proprio questo sentimento tragico e allo stesso tempo glorioso, questa vocazione quasi romantica del Toro e dell’essere granata, ha segnato la differenza nel tempo tra il Torino e il resto del mondo.

Anche lo scudetto del 1976, il primo e unico dopo Superga, vinto dalla formidabile squadra di Pulici e Graziani, allenata da Gigi Radice, aveva questa profondità senza pari: qualcosa che ha a che fare con la storia, non solo con il calcio. Qualcosa capace di andare ben oltre vittorie e sconfitte: ali che volano in un altro cielo.

Ecco perché Repubblica ha deciso di raccontare e celebrare quel giorno particolare, e quel tempo che non passa mai. Il libro che hai tra le mani è uno di quelli che restano, perché racconta una storia senza tempo. Lo racconta soprattutto a chi non c’era, cioè ai lettori più giovani, perché la grandezza dello sport è anche un ricordo condiviso: è la radice della quercia.

In questo volume potrete leggere le parole scritte dai grandi autori storici del nostro giornale, a cominciare dai maestri Gianni Brera, Giorgio Bocca, Gianni Mura e Mario Fossati. Le loro parole sono il nodo stretto tra i secoli e il presente. Ma nel volume c’è anche altro. Ci sono viaggi nella memoria, come quello di Cassano d’Adda sulle tracce del mito Valentino Mazzolae c’è la commovente testimonianza del figlio Sandro, colui che con la maglia dell’Inter e della Nazionale sarebbe diventato uno dei più grandi campioni del dopoguerra, uno degli eroi dell’indimenticabile Mondiale messicano del ’70: Italia-Germania 4 – 3, e poi Pelé.

Noi abbiamo chiesto Eraldo Pecci per raccontarci cosa furono le mitiche Superga granata per gli atleti che vinsero lo scudetto ventisette anni dopo: tra loro c’era anche Pecci, naturalmente, e le sue parole (da vero scrittore, non solo da campione da stadio) ne sono una testimonianza nuovo e profondo. Poiché la tragedia di Superga è anche una narrazione, abbiamo chiesto allo scrittore Dario Voltolini una storia di fantasia sul 4 maggio 1949, che è anche il titolo della sua opera.

Nel nostro libro c’è la cronaca di quella tragedia, accanto al significato umano che l’evento rappresentò per Torino e per l’Italia intera. Ci siamo ricordati chi erano quei formidabili campioni, a cominciare da capitan Mazzola o dal memorabile terzino sinistro Virgilio Marosonascerebbe un terzino capace di attaccare come gli altri.

Ci siamo infine chiesti cosa resta dello spirito del Grande Torino nel Toro e nel calcio di oggi: non uno sterile esercizio di nostalgia, ma un confronto tra epoche per continuare a valorizzare ciò che conta davvero: la tradizione, l’essenza profonda e il sentimento per un squadra diversa da tutte le altre.

 
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