“Asti come vorrei te” per il diabetologo Luigi Gentile – .

“Asti come vorrei te” per il diabetologo Luigi Gentile – .
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Luci che abbagliano e ombre che nascondono opportunità. È la sintesi della visione della città di Luigi Gentile, per 22 anni responsabile della diabetologia del cardinale Massaia. Nelle implicazioni delle sue parole non ci sono giudizi, ma solo riflessioni sulla sua città d’origine, punto di partenza e di arrivo dopo ogni viaggio intorno al mondo, dettato dai suoi impegni scientifici. E con questi occhi, nutriti di confronti, consolida il suo giudizio su una città che ama incondizionatamente e sulla quale, da medico nell’animo, applica il metodo scientifico, come se fosse un organismo vivente in cui le persone contribuiscono a costruire lo scheletro fatto di strade ed edifici.

Cosa rende Asti così bella?

La grande capacità di fare rete. La mia percezione è che qui sia molto più semplice che in tante altre città: si può creare, c’è spazio per una comunità di pratica”.

Cosa intendi?

«Un esempio: anni fa a Torino è emersa la necessità di realizzare uno studio sui legami tra diabete e altre patologie. Lo abbiamo fatto ad Asti. Questo studio ha fatto storia e avrebbe potuto essere fatto qui grazie alla facilità di creare collaborazione tra ospedali, medici di base e università. Queste sono dinamiche evidenti per gli astigiani, ma non lo sono: altrove non funziona così, non c’è questa semplicità”.

La sua premessa è che anche nell’ombra ci sono opportunità. In queste situazioni, quali potrebbero essere le ombre?

«In passato abbiamo organizzato ad Asti le giornate del diabete. Si trasformarono in un laboratorio di idee e l’evento assunse ben presto una rilevanza nazionale. A quel punto, paradossalmente, non è stato più possibile organizzarli qui perché mancava la logistica”.

Più in generale, quali sono le ombre della città?

«Serve il coraggio di essere ambiziosi e avere una visione sfidante, serve saper comunicare la propria eccellenza. Forse ci manca questo aspetto della comunicazione”.

Ci sono eccellenze?

Sì, penso anche solo al mondo medico: ci sono stimati professionisti in tutte le discipline che sono punti di riferimento da ogni parte d’Italia”.

Adesso la sanità è in crisi un po’ ovunque, queste eccellenze sono accessibili a tutti?

«Non vivo più queste dinamiche dall’interno ma credo che questo momento, globalmente complesso, nasconda dentro di sé opportunità straordinarie. In medicina non abbiamo mai avuto le possibilità che abbiamo oggi: innovazione, terapie scientifiche, tecnologiche. Dobbiamo ripensare l’organizzazione. Anche in questo caso è necessario fare rete”.

C’è qualcosa nella tua città che ti ha mai fatto arrabbiare?

Nessuna rabbia, direi rammarico. Parlo divinamente di Asti ad amici e conoscenti, creo grandi aspettative. Ebbene qui non è possibile prenotare un taxi come in qualsiasi altra città. E alcuni amici me ne hanno parlato con stupore. Anche in questo caso è un problema di logistica, ma forse la cosa che si ricorda tra tutte le bellezze della città è quella virgola.

Asti, città all’avanguardia dal tuo punto di vista, ha quindi bisogno di uscire dal suo guscio e imparare a gestire le “grandi cose”?

«Sì, dobbiamo cambiare la nostra visione. Asti deve essere un centro con tutte le bellezze a portata di mano – penso al Museo Alfieriano, la mecca per chi fa studi di questo tipo – ma bisogna allargare i confini, bisogna uscire dalla visione frammentata”.

Dovrebbe farlo la politica?

«Credo che ognuno nel proprio territorio possa farcela mettendo a fattor comune le proprie forze, non dicendo “ad Asti sono più bravi” ma assumendosi le proprie responsabilità».

A proposito di centro, i negozi sono sempre più vuoti, c’è una fuga degli astigiani?

«Serve una spinta e bisogna inventarsi qualcosa di diverso. Non giudico, osservo e mi chiedo: “Come potremmo fare di meglio?”.

Cosa farebbe per la città?

«Forse vorrei più possibilità di parcheggio. Mi muovo a piedi, ho la fortuna di poterlo fare e vorrei che chi arriva da fuori potesse avere questa stessa possibilità di divertimento”.

Le persone al centro della rete. Ma come sono gli Astigiani?

«C’è un limite di fondo nel non mettersi in mostra. Penso a quando sono riuscita a far incontrare Paolo Conte con un amico. Alcuni passanti si sono accorti che stavano per fotografarci e si sono arrabbiati moltissimo con la futura autrice dello scatto: “Se può restare qui tranquillo è perché lo lasciamo in pace”, le hanno detto. Poi è stato lo stesso Conte a chiederci se volevamo una fotografia”.

 
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