Il contributo svizzero al restauro dell’Urna del Bottarone a Firenze – .

L’Urna del Bottarone è un’opera etrusca in alabastro policromo datata tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C.

tvsvizzera.it

Grazie ad un prestito di oltre 98.000 franchi concesso dall’Ufficio Federale della Cultura, il Museo Archeologico Nazionale di Firenze ha potuto restaurare un’opera etrusca di straordinaria importanza.

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28 aprile 2024 – 10:00

“Qui mettiamo tutta la passione possibile nel nostro lavoro. Ma quando avremo il nuovo laboratorio di restauro grazie ai fondi svizzeri, tutto sarà sicuramente più semplice». Lo dice Barbara Arbeid, archeologa del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, guardando l’Urna del Bottarone.

L’Urna del Bottarone è un’urna cineraria attualmente in fase di restauro. Mentre il laboratorio di cui parla il dottor Arbeid è quello che presto sorgerà all’interno del Museo di Firenze. In entrambi i casi c’è un’influenza svizzera. Perché sia ​​il restauro dell’opera archeologica che la realizzazione del laboratorio sono stati finanziati dall’Ufficio federale della cultura della Confederazione Svizzera grazie a un bando vinto dal Museo fiorentino.

Patrimonio etrusco

“Il Museo archeologico nazionale di Firenze è il più grande museo archeologico a nord di Roma e uno dei più importanti d’Italia”, spiega il direttore del museo Mario Iozzo a TVS tvsvizzera.it. “È il primo al mondo, insieme al Museo Etrusco di Villa Giulia, per quanto riguarda la collezione etrusca. L’Urna del Bottarone è solo un esempio della nostra vasta collezione”, continua il direttore Iozzo.

Il ritrovamento a Città della Pieve

L’Urna del Bottarone è un’urna cineraria per due persone. Cioè un’urna che veniva utilizzata per contenere le ceneri di due persone defunte – marito e moglie – che erano state sepolte insieme. “L’urna fu rinvenuta dopo la metà dell’Ottocento a Città della Pieve in località detta Bottarone, da qui il nome dato all’opera”, spiega la dottoressa Barbara Arbeid.

“Non conosciamo esattamente l’anno del ritrovamento né il contesto della sua origine. L’urna proviene da scavi ottocenteschi, epoca in cui la legge non tutelava i reperti archeologici come avviene oggi e come molte delle scoperte fatte in quell’epoca, nemmeno quella dell’Urna del Bottarone era documentata”.

“Si tratta di un’opera in alabastro policromo datata tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. che possiamo definire straordinaria per lo stato di conservazione della policromia che si può osservare sulla superficie”, spiega la dottoressa Giulia Basilissi, restauratore conservatore ufficiale.

Obiettivo dell’intervento di restauro è stato quello di riportare la policromia dell’opera al suo antico splendore. Un lavoro reso necessario in seguito all’alluvione di Firenze del 1966.

L’alluvione di Firenze del 1966

Nella notte tra il 3 e il 4 novembre 1966, dopo oltre dieci giorni di pioggia, l’Arno esondò portando sulla città un’ondata di fango alta tre metri che uccise 35 persone e danneggiò strade, case ed edifici storici. Il fango entrerà anche nei locali del Museo Archeologico di Firenze provocando ingenti danni.

“Quell’anno l’opera era al piano terra del museo. Il livello della piena ricopriva completamente l’Urna del Bottarone per cui, come per la maggior parte delle opere danneggiate dall’alluvione, è stato necessario un complesso lavoro di ripristino per rimuovere tutto il fango che era fortemente aderito alla superficie”, spiega ancora Basilissi.

La riscoperta della policromia

“Al termine dell’intervento post-alluvione, sulla superficie dell’Urna del Bottarone era stata applicata una sostanza che si era alterata nel tempo, oscurando completamente le superfici, per cui la policromia non era più leggibile. L’intervento effettuato dalla restauratrice Daniela Manna si è concentrato sulla rimozione di questo materiale non idoneo e che ha poi riportato alla luce i toni rossi dei panneggi e dei volti”, prosegue la dottoressa Basilissi.

Inoltre, durante il restauro dell’Urna, è stata impostata una campagna diagnostica che ha previsto una serie di esami tra cui il cosiddetto VIL (Luminescenza indotta da Vis) che ha permesso l’identificazione del blu egiziano e del

Questi lavori di restauro sono stati possibili grazie alla partecipazione del museo al bando di aiuto finanziario per il patrimonio culturale mobile promosso dall’Ufficio Federale della Cultura della Svizzera.

La legge svizzera per la conservazione del patrimonio culturale all’estero

“Dal 1° giugno 2005 l’Ufficio specializzato per i trasferimenti internazionali di beni culturali dell’Ufficio federale della cultura è responsabile dell’esecuzione della legge federale sul trasferimento internazionale di beni culturali”, ha spiegato Tania Esposito Hohler a TVS tvsvizzera.it , funzionario dell’Ufficio federale della cultura.

Questa legge «recepisce nel diritto interno la Convenzione UNESCO del 1970 e la Convenzione UNESCO del 2001 e disciplina l’importazione di beni culturali in Svizzera, il loro transito, l’esportazione e il rimpatrio dalla Svizzera, nonché le misure contro i trasferimenti illeciti. La concessione di aiuti finanziari per la conservazione del patrimonio culturale mobile è una delle numerose misure previste dalla legge in questione”, prosegue Esposito Hohler.

In Italia 17 progetti sostenuti

Dal 2011 a oggi l’Ufficio federale della cultura ha sostenuto 155 progetti di restauro in Italia, Grecia, Colombia, Egitto, Cipro, Cina, Perù, Messico e Turchia per un totale di oltre 8 milioni di franchi svizzeri. La sola Italia ha ricevuto oltre un milione di franchi suddiviso in 17 progetti.

Per il progetto presentato dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, l’Ufficio Federale della Cultura ha stanziato 98.550 franchi svizzeri che sono stati in parte utilizzati per i lavori di restauro dell’Urna del Bottarone e in parte serviranno per la realizzazione del nuovo laboratorio di restauro del Museo che consentirà il restauro di un altro reperto funerario di oggetti in bronzo che sarà esposto, a lavori ultimati, insieme all’Urna del Bottarone nei locali del Museo.

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