Olio umbro DOP, l’oro italiano che gli umbri non lasciano volare – .

Olio umbro DOP, l’oro italiano che gli umbri non lasciano volare – .
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di Maurizio Troccoli

Riconosciuto dai più come il prodotto identificativo della nostra regione, l’olio DOP dell’Umbria, nonostante gli elevati presupposti qualitativi, presenta numeri insoddisfacenti. Lo certificano i dati della Fondazione Qualivita, che indicano un passo indietro nella produzione e nel suo mercato, mentre su questo prodotto, sulla sua filiera e sull’indotto c’erano e ci sono aspettative che lo identificano come il prodotto dal massimo potenziale di espansione .

PRODUZIONE IN UMBRIA: SCORRI LE IMMAGINI

Probabilmente più del vino, del tartufo e delle altre eccellenze regionali dell’agroalimentare umbro richieste dal mercato per la riconosciuta qualità di processo e di prodotto. Insomma, l’olio è molto simile a quella vettura ad alte prestazioni che però si guida come una utilitaria: non dà problemi di stabilità, fa ottima figura in ogni buona occasione, tutti lo ammirano anche quando è parcheggiato, ma non conquista il podio in gara, come invece potrebbe fare. Tra le principali opportunità non colte dall’olio extravergine di oliva DOP dell’Umbria c’è la mancanza di un consorzio di tutela. E questo lo è ancora di più se teniamo conto del fatto che, non a caso, le più grandi aziende olearie d’Italia risiedono in Umbria, due nomi per tutti: Monini e Farchioni. Domanda spontanea: chi dovrebbe farsi carico di un consorzio di tutela e valorizzazione?

I numeri che certificano l’andamento ‘contenuto’ di questo mercato mostrano che la produzione certificata è passata dalle 462 tonnellate del 2018 alle 431 del 2022, con punte di 542 nel 2020. Ma se le quantità non sono tutto, c’è da aggiungere che il valore della produzione è passato da 4,62 milioni nel 2018 a 3,84 nel 2022, mentre quello dei consumi è passato da 6,29 milioni nel 2018 a 7,35 milioni nel 2020 per poi ricadere a 6,31 milioni nel 2022, nella fase di massimo apprezzamento dell’olio extravergine di oliva. Anche l’export resta stabile a 1,42 milioni di fatturato, un valore nel 2022 identico a quello di 4 anni fa, nonostante la parentesi 2020 che lo ha visto salire a 1,69 milioni.

Le condizioni ci sono tutte e sono trasversalmente riconosciute per fare della Dop Umbria un volano economico, ma serve una visione. E forse una maggiore collaborazione tra grandi e piccoli, tra qualità e quantità, tra chi produce e chi governa. Le premesse sono un’alta qualità del prodotto e della produzione. Il contesto naturale dell’Umbria come habitat ideale per le tipologie dei suoi uliveti, per lo più secolari. La fascia degli uliveti, con la sua riconoscibilità paesaggistica, ne è l’esempio indiscutibile. Non solo, le metodologie di raccolta e trasformazione, i suoi pregiati frantoi, la sapienza tramandata da generazioni, una cultura diffusa e l’approccio scientifico con il supporto dell’Università perugina, i tanti soggetti specializzati coinvolti nella filiera dell’olio, le varietà degli ulivi ma anche degli ambienti naturali, dal Trasimeno all’Alta e Media Valle del Tevere, insieme alle competenze manageriali maturate in anni di esperienza internazionale dei maggiori protagonisti imprenditoriali di questo settore, tutto ciò impone un impegno che diventa risultato. Le strade del petrolio e i percorsi legati al turismo petrolifero non possono bastare, anche se sono fondamentali.

Al Domenica 24 ore, il direttore di Origin, l’associazione nazionale dei consorzi italiani Dop e Igp, ha dichiarato: «L’Umbria Dop rappresenta uno degli oli più conosciuti al mondo. Negli ultimi anni la mancanza di un consorzio di tutela ha limitato lo sviluppo del prodotto
certificato che dà precise garanzie sulla provenienza della materia prima. È strano come le maggiori aziende olearie del Paese siano in Umbria e la produzione della DOP in questa regione non raggiunga valori soddisfacenti rispetto al potenziale olivicolo della regione. Serve un nuovo consorzio di tutela per il rilancio”

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