Possibile che nessuno della comunità pakistana di Carpi sapesse dell’esistenza di una cosca organizzata e attiva nella gestione delle bande al servizio della logistica? E che i fatti di sangue dell’ottobre 2022 e dello scorso aprile risalgono a regolamenti di conti ambientali? A nome della comunità pakistana di Carpi, un suo autorevole rappresentante, che vuole restare anonimo per le ragioni che vedremo, spiega: «Intanto lasciatemi dire che la comunità è contenta e si sente sollevata per l’esito di questa funzionamento delle forze dell’ordine, alle quali esprime gratitudine e apprezzamento. Gli episodi sanguinosi a cui fai riferimento avevano danneggiato molto la comunità: per colpa di pochi, che certamente non la rappresentano, siamo stati messi in cattiva luce. Benvenute quindi operazioni come quella di questa mattina e grazie ancora alle forze dell’ordine”.
Ok, ma gli indizi, alcuni segnali…
«Non ho informazioni sull’indagine, ma posso garantire che diversi membri della comunità hanno sostenuto la polizia: qualcuno che ne era a conoscenza ha avuto contatti informali con loro. Del resto, quando ci riuniamo il venerdì nelle nostre associazioni, parliamo di questi episodi e abbiamo sempre insistito perché si abbandonassero certi comportamenti tendenti alla violenza e qualche progresso c’è stato”
Non è che questi fatti intimidiscano e creino silenzio…
«Certo, a volte, pur sapendolo, non è facile esporsi. Ma siamo davvero stanchi di cose come quelle evidenziate dall’inchiesta: facciamo un passo avanti verso la convivenza e l’integrazione e ci riportano indietro di dieci chilometri”
Perché questa forma di caporalato ha preso piede soprattutto nel settore della logistica?
«È un ambiente in cui molti pakistani lavorano, e regolarmente, da tempo. Hai notato che i furgoni per le consegne sono tutti guidati da loro? Non escludo, quindi, che con questi supporti e con amici già inseriti sia stata facilitata l’infiltrazione del caporale. Tenete presente però che per una banda pakistana che la organizza e la sfrutta, ci sono sempre datori di lavoro italiani che ne approfittano. Mi risulta che anche il titolare dell’azienda dove lavoravano molti degli indagati è italiano.”
Il riferimento è all’azienda con sede nel vicentino che aveva appaltato la manodopera del corriere al servizio di una nota compagnia di spedizioni e di cui si parla nel comunicato diffuso questa mattina dalla Procura.