Messina, e siamo andati al deposito delle locomotive… Lì lavoravano più di 500 persone – .

Messina, e siamo andati al deposito delle locomotive… Lì lavoravano più di 500 persone – .
Messina, e siamo andati al deposito delle locomotive… Lì lavoravano più di 500 persone – .

Quel filo mai perso di ricordi. Viaggio su rotaie invisibili raccontando la storia del deposito locomotive FS di Messina, dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi. Preziose memorie collettive sono quelle che riemergono e si sovrappongono, in una sequenza rapida e ininterrotta, in occasione dell’annuale “ritrovo” organizzato dai ferrovieri in pensione. Le vecchie leve delle locomotive a vapore, dei treni a trazione diesel ed elettrica. Di quel deposito considerato in passato il fiore all’occhiello del settore ferroviario siciliano. Uno degli stabilimenti più importanti di RFI, in quanto punto di arrivo e partenza di tutti i treni che collegano con il continente, e anche tra i maggiori per numero di dipendenti e attività svolte. Furono impiegate almeno cinquecento persone tra dirigenti, macchinisti, addetti alle manovre, impiegati e officine e personale paramedico.
L’atto di nascita risale alla fine dell’Ottocento, più precisamente al 1866 con l’arrivo della linea ferroviaria in città. La struttura ospitava treni locomotori e la stazione ferroviaria, passata alla gestione della rete delle Ferrovie dello Stato nel 1905, è sempre stata considerata un punto di riferimento fondamentale per il traffico ferroviario, il secondo in ordine di importanza in Sicilia, dovendo smistare i convogli da e per il paese. Nonostante le vicissitudini causate dal terremoto del 1908 con gravi danni agli impianti ferroviari (la nuova stazione Centrale venne ricostruita e inaugurata nel 1939), il Deposito non cambiò mai la sua posizione strategica nella parte bassa di Via Santa Cecilia.
E il recente ricongiungimento degli ex ferrovieri rappresenta un momento molto atteso e partecipato. Una partnership che ogni anno si allarga ed è animata da un profondo senso di appartenenza. Che dire del rapporto umano che si instaura durante il viaggio tra l’ingegnere e l’assistente ingegnere o fuochista e secondo agente. Tra il macchinista più anziano definito comandante e quello più giovane.
«Nella stazione di Sant’Agata di Militello – ricordano gli ex ferrovieri – nessuno si spostava per pranzare o cenare se prima non arrivavano tutte le coppie di macchinisti con i rispettivi treni. Come non ricordare gli allegri pranzi nell’osteria del pescatore Don Paolo. Insieme alla moglie hanno preparato un sugo di pesce da leccarsi i baffi”.

Forse la felicità può essere anche dentro una stazione ferroviaria, nel frastuono dei treni in partenza e in arrivo, in quel dinamismo, diceva lo scrittore francese Georges Perec, uno dei più innovativi del Novecento. Quante storie di vita, emozioni, giorni felici e altri meno, eventi gravi e drammatici. Il pensiero degli ex ferrovieri, ogni volta che si vedono, va ai cinque colleghi morti in due gravi incidenti. Il primo il 15 giugno 1969 all’interno del tunnel Sant’Antonio tra le stazioni di Barcellona e Castroreale. In quella tragedia morirono i macchinisti Antonino Saglimbeni, Filadelfio Di Leo, Pasquale Pugliatti e il capotreno Biagio Bonifacio. Nella seconda, avvenuta il 20 luglio 2002 poco prima della stazione di Rometta, perse la vita il macchinista Saverio Nania. La notizia ha scioccato i suoi colleghi che lo avevano visto poche ore prima, e sono subito caduti nella disperazione. «Ricordo – racconta Francesco Restivo, ex responsabile del settore macchinari – che scendeva il freddo e la disperazione generale».
Se il Deposito Locomotive avesse voce in capitolo racconterebbe molte storie. Il rapporto di fratellanza, rispetto, aiuto reciproco che ha alleggerito le lunghe giornate di lavoro. Il macchinista e il secondo agente furono inseparabili fino all’inizio degli anni 2000. Quel rapporto umano venne poi cancellato dall’avvento della tecnologia che abolì il secondo agente, lasciando in cabina solo l’ingegnere.

Cinquant’anni prima, invece, le locomotive a vapore erano alimentate a carbone. Come non ricordare le locomotive del gruppo FS “471”, “740”, “685”, “895”, “585” adibite ai servizi merci, passeggeri e di manovra. I meccanici dell’attrezzatissima officina interna hanno assicurato che fossero sempre efficienti. Negli anni ’60 l’avvento delle locomotive elettriche e diesel portò alla creazione di due nuove officine che sostituirono quella dei treni a vapore alimentati dal carbone del fuochista. La gestione del deposito locomotive era affidata ai proprietari o ai capi deposito sovrintendenti. Dati fondamentali per l’esercizio del servizio ferroviario. Da loro dipendeva l’organizzazione del personale e dei mezzi. Tra i proprietari che si susseguirono negli anni ’60 ricordiamo Francesco Calipari, Gaetano Brigandì, Morabito, Perla, Emo, Maccarrone, D’Arrigo, Campolo, Pernice, Michele Musicò. La suddivisione dei servizi in viaggiatori, regionali e merci, introdotta negli ultimi anni, ha comportato cambiamenti nell’impiego del personale sulle macchine e anche nella formazione dei macchinisti, affidata a diversi istruttori a seconda delle divisioni.
Oggi rimangono solo i ricordi del vecchio deposito locomotive che i presidi cercano di trasmettere alle giovani generazioni. Nel solco di un collegamento tra i treni a vapore del passato e i treni elettrici e ad alta velocità dei nostri tempi.

 
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