La crisi demografica si fa sentire ma il Sud resta più dinamico – .

Qualsiasi analisi dei vizi e delle virtù di un’area economica deve iniziare dalla demografia. Questa caratteristica di un Paese o di una regione è la base di tutto, ed è anche la caratteristica più duratura: il futuro demografico è già inciso nei dati di oggi, e cambia con lentezza bradisismica. Il mese scorso l’Istat ha pubblicato il rapporto annuale sull’ Benessere equo e sostenibile in Italiae uno dei tavoli, su Indicatori demografici per aree e regioni, 2004 e 2023 è qui riprodotto.

Analizziamo la tabella, ma traiamo ora le conclusioni sull’importanza di questi trend per la crescita del Mezzogiorno. Come già detto, quando si parla di “vizi antichi e nuove virtù” del Sud, un avvertimento è d’obbligo: proprio perché la demografia è una variabile lenta, una fotografia oggi mostra ciò che era già insito nel recente passato: proprio come la demografia, come menzionato prima, ha già scolpito il futuro, il passato ha già scolpito il presente, e risaltano di più le minoranze antiche. Si possono tuttavia cogliere alcune note positive. La crescita naturale della popolazione è negativa ovunque, ma meno negativa al Sud che al Centro-Nord (CN). Così come il tasso di fecondità è più alto al Sud (anche se basso rispetto a quello necessario per evitare una diminuzione del numero degli abitanti). I registri del Campanoche ha i dati migliori, secondo solo a il trentino-alto adige per la crescita naturale. Il tasso di migrazione dall’estero non è diminuito al Sud, come nel resto d’Italia, segno che il Mezzogiorno è relativamente più popolare. L’indice di vecchiaia è migliore al Sud che nel CN ​​(e la Campania è prima tra tutte le regioni). Per i motivi sopra esposti difficilmente si trovano altre note positive. Ma, scavando nei dati, ecco una piccola consolazione: nell’annus horribilis del Covid (2020), i tassi di mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso erano molto più bassi al Sud, vedi figura, che altrove! Speriamo che questo disco continui anche dopo.

Le crisi a fuoco rapido

Ma torniamo a quel ventennio dal 2004 al 2023 che è stato sicuramente il più convulso del dopoguerra, segnato prima dalla Grande Recessione (2008-2009), poi dalla crisi del debito sovrano (2010-2012). , poi ancora dalla pandemia (2020-2021) e infine la triste ciliegina sulla torta della guerra in Ucraina (2022).

La prima cosa da osservare è che in vent’anni la popolazione italiana è aumentata solo del 2,4%, anzi è diminuita. Vale a dire, questo modesto aumento (in media, 0,1% annuo) è interamente dovuto agli immigrati, dato che la crescita naturale (da nascite e morti, per mille abitanti) è negativa ovunque. Per il Centro-Nord la (de)crescita naturale, che era stata -0,5% nel 2004, è scesa al -5,0% nel 2023. Al Sud, dal +1,6% del 2004 è scesa al -4,3% nel 2023. Il saldo tra nascite e morti è quindi, ad oggi, meno negativo al Sud che al NC. Come spiegare, allora, che negli ultimi vent’anni il numero degli abitanti della CN sia aumentato, e sia invece diminuito nel Mezzogiorno? Sono in gioco due fattori. Da un lato, anche se, come accennato, il recente livello di (de)crescita naturale del Sud è meno negativo, occorre distinguere tra livello e dinamica: nell’arco di vent’anni la crescita naturale del Sud è diminuita di 5,9 punti, contro i 4,5 del CN. Il secondo fattore risiede negli immigrati: il NC ha beneficiato maggiormente degli afflussi migratori: l’incidenza degli stranieri è passata dal 4,6 all’11,2% della popolazione, mentre nel Mezzogiorno l’incremento è stato più modesto: dall’1,2 al 4,5%. Tornando però alla crescita naturale, la Campania presenta un dato confortante: -2,6, seconda solo al -1,1 del Trentino-Alto-Adige.

Le variazioni

Parlando di stranieri, la tabella fornisce un’altra indicazione interessante riguardo al tasso di migrazione all’estero (nuovi adesioni meno nuove cancellazioni, per mille abitanti): è pari a 9,3 nel 2004 per il CN, ed è fortemente sceso, a 5,3 nel 2023, mentre, per il Mezzogiorno è rimasto stabile nel ventennio al 3,4 per mille. Consideriamo poi l’indice di vecchiaia (numero di over 65 rispetto alla popolazione di età compresa tra 0 e 14 anni, in percentuale). Dal 2023, questo indice è migliore (nel senso di più basso) al Sud rispetto al NC (186,5 contro 207,3), anche se, a partire dal 2004, l’aumento di questo indice è stato molto più marcato al Sud. nell’ultimo anno disponibile la Campania ha il miglior indice di vecchiaia (154,8), secondo è il Trentino-Alto Adige, con 156,2.
Infine, il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna): era il più alto nel 2004 per il Mezzogiorno (1,36) e resta il più alto nel 2023 (1,24). Questo tasso è diminuito ovunque, ma nel Mezzogiorno il calo è stato più modesto. Ricordiamo che il tasso di natalità necessario a mantenere costante la popolazione (in assenza di immigrazione) è stimato in 2,15 figli per donna in età fertile: nemmeno l’area a più alto tasso di fecondità, la provincia autonoma di Bolzanoa 1,56 si sta avvicinando a quel livello.

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La mattina

 
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