nella nostra regione i giovani sono tra i meno pagati d’Italia – .

nella nostra regione i giovani sono tra i meno pagati d’Italia – .
nella nostra regione i giovani sono tra i meno pagati d’Italia – .

Il Cuore Verde d’Italia non paga abbastanza i giovani. Lo dimostra l’Agenzia Umbria Ricerche con il rapporto dell’8 maggio scorso su “Quanti giovani dipendenti umbri ci sono e quanto guadagnano” di Elisabetta Tondini. Uno studio che riporta rielaborazioni di dati Inps sugli stipendi dei giovani umbri under 35, che lavorano nel settore privato, confrontandoli con la situazione dei loro coetanei nel resto d’Italia.

Nello specifico, dall’indagine emerge che la maggioranza dei giovani, e più in generale dei lavoratori umbri, ricoprono posizioni gerarchicamente definite “inferiori”. Risulta infatti che nel 2022 il 57,8% degli under 35 che lavorano nel settore privato erano operai (contro il 50% al Nord e il 54% della media nazionale), il 23,5% erano impiegati (il 37% Nord e 33,4% nella media italiana) e nel 18,4% dei casi apprendisti (11,8% al Nord e 12% in Italia). Pochissimi, inoltre, i giovani hanno ricoperto ruoli manageriali, solo 9 in termini assoluti su 69.256. Tra questi lavoratori privati ​​si evidenzia che molti, circa il 36,1%, hanno un contratto a tempo determinato, contro la media italiana del 34,8% e quella del Nord del 33%. Preoccupante è anche il dato relativo allo stipendio medio dei giovani umbri, con un gap di circa mille euro annui rispetto alla media nazionale e di quasi 3mila euro annui rispetto al Nord Italia. Infatti, se nella nostra regione gli under 35 guadagnano in media 14.478 euro l’anno, i loro coetanei italiani e quelli del Nord hanno un utile annuo rispettivamente di 15.616 euro e 17.692 euro.

Come riportato, poi, da un’ulteriore inchiesta di Elisabetta Tondini per l’Aur del 18 gennaio scorso “I bassi salari sul lavoro in Umbria: caratteristiche, cause, implicazioni”, sono dati che non riguardano solo i giovani ma tutti i lavoratori umbri. I bassi salari nella regione sono noti da tempo e dipendono da una serie di fattori. Il dato complessivo è inoltre largamente influenzato dalla “spremitura al ribasso” delle qualifiche lavorative. Tuttavia, analizzando i profili lavorativi individuali del settore privato, emerge che non solo gli operai ma anche gli impiegati, i dirigenti (lavoratori subordinati che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni di carattere continuativo di rilevante importanza per l’azienda) e i manager sono nettamente penalizzati dal punto di vista reddituale rispetto alla media nazionale. Fare riferimento alla retribuzione solo in base alla qualifica è però troppo generico in quanto non tiene conto di molti aspetti che influiscono sulla retribuzione, come la durata del periodo lavorativo, la tipologia di contratto o la durata. Per questo motivo nell’articolo, per indagare più nello specifico il fenomeno, viene effettuata un’analisi, senza tener conto della fascia di età, sui lavoratori standard (lavoratori a tempo indeterminato, a tempo pieno, pagati per l’intero anno), senza prendere in considerazione conto della fascia di età). Scoprendo che proprio per questa fascia di lavoratori la retribuzione annua umbra è pari a 30.872 euro contro una media nazionale di 37.360 euro, un divario che interessa tutte le categorie, minimo per gli apprendisti e massimo per le posizioni dirigenziali. Un problema, quello dei bassi salari in Umbria, è strettamente legato – precisa Tondini nell’articolo di gennaio – al fattore organizzativo del lavoro e di gestione delle risorse umane, che si riflette sui livelli salariali medi complessivi. Un dato correlato, in un rapporto di causa-effetto, con il livello di innovazione delle strutture produttive e con la produttività del sistema. In altre parole, ciò che spiega i salari regionali più bassi è un circolo vizioso, in cui innanzitutto c’è una scarsa capacità delle imprese locali di generare maggiore valore aggiunto.

Rilevante è anche il dato – ricavato dallo studio “quanti sono i giovani dipendenti umbri e quanto guadagnano” – secondo cui tra gli under 30 nel 2023, per quanto riguarda la cessazione del contratto a tempo indeterminato, in 80 casi su 100 risulta è stato di dimissioni (78 su 100 in Italia e 83 su 100 al Nord). Un fattore cresciuto esponenzialmente dallo scoppio della pandemia anche tra i lavoratori over 30, e più o meno allo stesso modo in tutta Italia. Interessante sul tema il rapporto dell’Istituto Eures (Ricerche Economiche e Sociali), realizzato tra dicembre 2023 e febbraio 2024 su un campione rappresentativo di giovani italiani tra i 15 e i 35 anni. Indagine che evidenzia le principali preoccupazioni degli under 35 in termini di occupazione, primo fra tutti il ​​timore di svolgere un lavoro con una retribuzione inferiore a quella adeguata in rapporto al valore dei servizi prestati. A questa preoccupazione seguono quelle relative alla permanenza prolungata in un lavoro precario, alla mancanza di opportunità adatte alle proprie competenze e al rischio di trovare un lavoro non adeguato o non in linea con la propria formazione. La questione economica è prioritaria ma non è l’unico elemento che orienta la scelta: dalla stessa ricerca emerge, infatti, che nella scelta di un lavoro conta la retribuzione, ma anche la realizzazione personale attraverso la soddisfazione, il contenuto lavorativo e la coerenza. con formazione, un buon ambiente di lavoro e opportunità di carriera. Se i giovani abbandonano il lavoro, anche se fisso e stabile, non dipende esclusivamente dalla retribuzione, ma da ragioni più complesse e profonde legate al loro benessere psicologico. Va inoltre sottolineato che nella maggior parte dei casi il lavoro non viene abbandonato senza motivo, sembra infatti che siano previsti trasferimenti verso altre aziende o settori per diversi profili e tipologie contrattuali o la volontà di spostarsi verso altre destinazioni geografiche.
In conclusione, si può affermare, come riporta Tondini nell’articolo “I bassi salari per il lavoro in Umbria: caratteristiche, cause, implicazioni” che “L’Umbria sta subendo un rigore che ha a che fare con la traiettoria e le caratteristiche del suo sviluppo, con un prolungata e insufficiente propensione ad investire in capitale umano, con le fragilità economico-finanziarie di quella parte del tessuto imprenditoriale più debole, meno capitalizzata e con minor contenuto di innovazione, quindi con minore produttività e redditività e limitata gestione e qualità gestionale. Quando invece – conclude – l’investimento più importante per aumentare la produttività è la qualità manageriale”.

 
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