Maestrelli, quando il calcio è una storia di famiglia – .

“È come se avessi conosciuto davvero nonno Tommaso. Naturalmente papà e zio Massimo me ne hanno parlato, ma chi incontro in giro per l’Italia, quando sente il mio cognome, mi chiede se sono imparentato con quel Maestrelli laggiù… e poi mi spiegano che era un grand’uomo. I tifosi della Lazio, ma anche quelli di tutte le altre squadre”. Alessio è un calciatore professionista. Difensore centrale. Gioca nella Turris, squadra di Torre del Greco, in Serie C. Insieme ai compagni ha vinto l’ultima partita di campionato a Brindisi e così la Turris ha evitato la retrocessione in extremis. “Una grande gioia”, dice senza emozionarsi troppo. D’altronde per lui il calcio è una questione di famiglia, forse un destino. Perché Alessio è nipote di grandi protagonisti della storia del calcio italiano: uno dei suoi nonni è stato Tommaso Maestrelli, l’indimenticabile allenatore del primo scudetto della Lazio nel 1974. Domenica prossima saranno esattamente cinquant’anni da Lazio-Foggia, la partita che consacrò i biancocelesti (torna sabato in edicola con Repubblica il libro ‘Due figli e un sogno’ che racconta la storia di quella squadra). “E io sarò allo stadio”, dice Alessio. L’altro nonno di Alessio è Giuseppe Materazzi, anche lui allenatore di punta del calcio italiano, per due anni (dal 1988 al 1990) sulla panchina della Lazio. E lo zio di Alessio è Marco Materazzi, difensore centrale campione del mondo nel 2006, tante stagioni in Serie A coronate dal ‘triplete’ nell’Inter di Mourinho.

Alessio Maestrelli in azione con la maglia della Turris

Insomma, il calcio è nel Dna, visto che anche il fratello maggiore di Alessio, Andrea, prima di scegliere la strada dello spettacolo (partecipazione al Grande Fratello Vip e ora scuola di recitazione) giocava alle soglie del calcio che conta. E che suo cugino Tommaso, figlio di Massimo, giocava in Lega Pro con il Racing Roma. Soprattutto, la Lazio è nel suo Dna: “Ci ho giocato anche per qualche mese, quando ero ragazzino”, racconta Alessio che prima della Turris ha militato nelle giovanili del Frosinone, esordendo anche in Serie B. “Nella Lazio -Derby di Roma del girone d’andata, appena ho finito di giocare la partita della Turris, sono salito in macchina e sono andato all’Olimpico. Sono arrivato proprio mentre era iniziato il secondo tempo…”. La Lazio, insomma, è il segno indelebile della famiglia Maestrelli. Una squadra straordinaria e maledetta: come se cinquant’anni fa la ‘banda’ di temerari guidata dalla saggezza di Tommaso, secondo padre per tanti giocatori, avesse osato troppo vincendo lo scudetto contro tutto e tutti. Controvento in un calcio dominato come sempre dai potentati del Nord. Il destino presentò il conto di quella sfacciata rivoluzione con una Spoon River di sparizioni premature. Tommaso Maestrelli muore a causa di un malore a soli cinquantaquattro anni, due stagioni dopo lo scudetto; altri due mesi ed ecco la tragedia di Luciano Re Cecconi, ucciso senza motivo dalla pistola di un gioielliere; poi via via tanti altri: Frustalupi, Chinaglia, Facco, Pulici, Wilson, D’Amico… Le due figlie di Maestrelli, Tiziana e Patrizia; l’altro figlio Maurizio, padre di Alessio e fratello gemello di Massimo: erano i due ragazzini pestilenziale che nel 1974 tutti i tifosi laziali vedevano sempre al fianco dell’allenatore, nel campo di allenamento di Tor di Quinto e all’Olimpico.

Alessio Maestrelli con lo zio Massimo, figlio dell’ex allenatore della Lazio

“Papà è morto quando avevo otto anni – racconta Alessio -. È stata dura per me, mamma e Andrea, ma zio Massimo ci ha aiutato tantissimo. Lì ho capito che tutto nella vita è importante, ma niente di più della vita stessa. Penso spesso che sì, sono un calciatore professionista, è il mio lavoro, sono fortunato per questo. Ma non per tutti è così, non è scontato. Ci sono molte persone che se la passano male. Le cose possono cambiare.” E non è un dettaglio che Alessio studi anche all’Università per laurearsi in Management dello sport e del calcio. In qualche modo è la lezione che Alessio ha imparato dal padre e dallo zio Massimo che, ascoltandolo parlare, sembra di ascoltare la stessa voce pacata, serena di Tommaso nelle vecchie interviste televisive. E Massimo assicura che Maurizio somigliava ancora di più al loro padre. A Brindisi, nel giorno della salvezza, c’era anche lui e a fine partita Alessio lo abbracciò con commozione, regalandogli la sua maglia ancora sudata, con quel nome magico sulle spalle: Maestrelli.

La lezione appresa anche da nonno Giuseppe e zio Marco. “Nonno Beppe mi dà un consiglio, mi dice di non lasciare nulla al caso, di pensare sempre a cosa succederà dopo l’ultima partita, alla prossima partita. A vent’anni non ho un passato su cui appoggiarmi, devo solo concentrarmi su quello che verrà dopo”. Gli stessi concetti di Marco Materazzi: “Lo zio Marco me lo dice ogni volta che sono un difensore, come lui, e un difensore non è come un attaccante che se segna un gol cambia la partita e magari anche la carriera. Noi difensori dobbiamo rimanere sempre concentrati, non possiamo permetterci errori”. Raccontiamo ad Alessio un aneddoto della carriera di Marco Materazzi, quando giocava in Serie C con il Trapani e coach Arcoleo a fine allenamento faceva accendere le luci del campo e lo teneva lì ad allenarsi con i colpi di testa (guarda caso, avrebbe segnato nel finale del Mondiale 2006 proprio dalla testa…): “Anche Leonardo Menichini, il nostro allenatore alla Turris – racconta Alessio – spesso tiene alcuni di noi in campo dopo gli allenamenti per affinare la tecnica. Anche lui conosceva il calcio di quegli anni lì, un altro calcio. Tutti i giocatori dovrebbero fare certe cose”. Menichini era un difensore centrale, come Alessio, e negli anni Settanta, quelli della Lazio di Tommaso Maestrelli, giocavano in Serie A. Un altro calcio, appunto. E probabilmente un’altra vita.

 
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