Lo strano caso della Sicilia, l’isola in perenne siccità dove l’acqua non manca ma mancano le infrastrutture idriche – .

Lo strano caso della Sicilia, l’isola in perenne siccità dove l’acqua non manca ma mancano le infrastrutture idriche – .
Lo strano caso della Sicilia, l’isola in perenne siccità dove l’acqua non manca ma mancano le infrastrutture idriche – .

Come ne “Il gioco di specchi”, l’intrigante racconto di Andrea Camilleri, anche per la siccità in Sicilia, qualcuno vuole confondere qualcosa con riflessioni ingannevoli e mezze verità. Realtà e illusione, non solo in Sicilia, quando si parla di acqua, spesso si sovrappongono e si confondono. Come anche nelle storie narrate da Leonardo Sciascia, e nel suo prezioso documento-commento al film-reportage in bianco e nero realizzato nel 1968 dal titolo provocatorio: «La grande sete di Sicilia finirà nel 2015».

Sono 34 minuti di storia siciliana e italiana attraverso l’acqua e tra pozzi, dighe, acquedotti, impianti di dissalazione e reti che hanno fatto emergere “le mani sull’acqua”, un sistema imprenditoriale in equilibrio tra politica e criminalità, che ha tenuto conto di omicidi come quella del giornalista Mario Francese, ucciso nel 1979 dopo articoli che denunciavano gli strani affari attorno alle dighe. Il commercio dell’acqua contribuì inoltre ad accrescere il potere delle famiglie Liggio, Riina e Provenzano. Anche attraverso l’acqua hanno ipotecato lo sviluppo dell’isola, lasciandola ai margini dell’efficienza.

Ma la Sicilia era l’isola dell’acqua. Basterebbe ricordare quando c’era una volta la Conca d’Oro, la più bella pianura costiera tra i monti palermitani e il Mar Tirreno, lo sguardo che abbagliò viaggiatori e scrittori come Johann Wolfgang Goethe che, giunto in Palermo nel 1787, incantato scriveva: «L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito. Ecco la chiave di tutto”. Palermo era spettacolare anche per le sue acque. Su entrambi i lati vide scorrere due fiumi navigabili. Uno era il Kemonia, che gli arabi chiamavano il “fiume delle intemperie” perché straripava con le piogge, ormai completamente sepolto sotto la città. L’altro, il Papireto, era il “fiume d’Occidente”, alimentato da copiose sorgenti montane, e tutt’intorno la stupenda vegetazione di papiri, oggi relegata in una fogna a cielo aperto e anch’essa interrata fin dal periodo borbonico.

L’isola fu la prima area italiana ad essere colonizzata. Dai Sicani, l’antico popolo che la chiamava Sicania, poi dai Cretesi, dagli Elimi, dai Greci, dai Fenici, dai Punici, poi dai Romani, dai Bizantini, dagli Arabi, dai Normanni, dagli Svevi, dai Francesi e dagli Spagnoli. Palermo immagazzinava abbondanti quantità di acqua piovana sotto le sue falde acquifere, a cui si aggiungevano le riserve idriche provenienti dai monti circostanti delimitati dai fiumi Eleuterio e Jato. L’acqua non è mai mancata, prelevata dai pozzi e poi distribuita dai complessi e sorprendenti sistemi cunicoli che attraversano la città di stampo mediorientale dei qanat. Studiosi e viaggiatori medievali ci hanno lasciato descrizioni estasiate di fonti, sorgenti, vasche, fontane, peschiere e vasche zampillanti che abbondavano dentro e fuori le mura. Il mercante di Baghdad Ibn Hawqal, colpito da tanta acqua, scrive nel 943: «… gli abitanti della città vecchia come quelli della Halisah (la cittadella fortificata sede dell’emiro, ndr.) e del resto dei quartieri, dissetano le loro assetati dell’ acqua dei pozzi delle proprie case… e delle abbondanti acque che scorrono intorno a Palermo e scorrono da occidente a oriente con forza tale da far girare due macine ciascuna». Il viaggiatore arabo-andaluso Ibn-Ubayr, che la visitò nel 1185 in piena epoca normanna, racconta di giardini, torri di avvistamento e canali nella campagna palermitana, residenze reali immerse in lussureggianti giardini paradisiaci che coloravano la città e che re Ruggero definì «solazzi», e grandi fontane da cui sgorgava l’acqua. Descrizioni che oggi sembrano inventate, ma era tutto vero. Il parco del castello della Zisa da Mille e una notte era circondato da viali, canali d’acqua e vasche collegate con reti di tubazioni in terracotta, i catusi, con acqua corrente a pressione o gravità. E la pianura agricola era attraversata da canali irrigui reticolari superficiali detti saje.

A partire dalla seconda metà del Novecento, la fertile pianura scomparve sotto una delle più imponenti deregolamentazioni urbane europee: il “sacco” di Palermo. Fu un espansionismo convulso, irrazionale e speculativo quello che seppellì l’”oro” di Palermo, le sue fonti d’acqua, i pozzi, le falde acquifere, tanti qanat e vene azzurre sotto strade e palazzi, seppellendo anche i due fiumi Papireto e Kemonia. Addio alla leggendaria città delle acque e delle 100 fontane e dalle sorgenti così abbondanti che gli arabi chiamavano “wid”, fiume, tradotto dal popolo in “Guilla” che indicava la fontana della sorgente oggi sotto piazza Beati Paoli, alimentata dalle acque cristalline sorgente dell’Avinga.

I Normanni l’avevano abbellito con il bel giardino della «Cuncuma», inglobato nella Chiesa di San Giovanni alla Guilla dove nella sagrestia si trova il distico del poeta monreale Antonio Veneziano: «Origine dal Nilo e nome dal Papiro ; e io, che ero onda del mare, ora sono un corso d’acqua terrestre”. Fecero credere ai palermitani che il coccodrillo impagliato esposto fin dal 1612 sulla volta d’ingresso del giardino fosse arrivato a Palermo via acqua dal Nilo e poi finì per sorprendere i clienti di una drogheria.

L’acqua da salvare è stata al centro delle battaglie civili di Danilo Dolci, sociologo, poeta e “Gandhi di Sicilia” che, con digiuni e marce, fin dagli anni Sessanta, chiedeva infrastrutture idriche essenziali per cambiare il volto assetato della Sicilia contro « il pozzo mafioso».

Ma nell’isola alla frontiera del clima desertico, la condizione di emergenza endemica è rimasta. Che ancora nell’anno 2024, il 12 marzo ha visto l’ennesima dichiarazione dello «Stato di crisi ed emergenza per l’acqua potabile fino al 31 dicembre», poi si vedrà. La Regione ha elencato le province rimaste aride anche in pieno inverno: Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo e Trapani, con stato di allerta in quelle di Catania, Ragusa e Siracusa ha avviato il razionamento.

È vero che in Sicilia tutto è destinato a complicarsi, e l’acqua è uno di quei temi che fanno parte della mitologia e dell’assuefazione alle condizioni di un secolo fa. Ma ancora oggi, nell’agrigentino e dintorni, la norma è sempre la “rotazione” dell’acqua che arriva ogni tre o quattro giorni se tutto va bene, e l’arredo più comune su terrazzi e balconi è costituito da contenitori e bidoni di plastica per accumularla, se gli investimenti sono pari a zero; se le leggi nazionali sono rimaste inapplicate per 28 anni, come la legge Galli, e come se nulla fosse; se i comuni o i contadini dovessero ancora comprare l’acqua dai “grossisti” come nel Medioevo; se tanti impianti obsoleti erano e restano obsoleti con reti che perdono anche il 100% delle risorse e aziende ed enti del territorio e piani tariffari e piani di investimento sconosciuti in gran parte dell’Isola; se non riusciamo a spendere nemmeno i miliardi stanziati per acquedotti e depuratori; se piangiamo i 5 morti asfissiati a Casteldaccia mentre pulivano le fognature del tutto prive di sistemi di formazione e protezione perché mancano le aziende idriche, allora il problema non è la siccità ma altre cause. A partire dall’assenza delle società del servizio idrico integrato. Il 68% dei Comuni, con il 47% della popolazione regionale, affida ancora il servizio idrico a qualche dipendente degli uffici tecnici comunali nella totale mancanza di competenze tecniche, personale, mezzi e risorse finanziarie. A niente. E continuano a nominare nuovi “commissari straordinari”. L’isola, rimasta tutto sommato sull’orlo della siccità del 2022-23, è al quinto anno consecutivo con precipitazioni inferiori alla media a lungo termine, con quasi 5 mesi senza pioggia tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024.

I due invasi più grandi, le dighe del lago di Lentini nel siracusano e di Ogliastro tra le province di Enna e Catania, con una capacità rispettivamente di 127 e 110 milioni di m2 d’acqua, in pieno inverno contenevano 49 e 22 milioni di m2. Nella diga Rosamarina di Caccamo invece di 100 milioni di m2 la barra indicava appena 12, nel palermitano la diga di Poma da 72,5 milioni di m2 era a 22. Ma mediamente nell’isola volumi d’acqua capaci di soddisfare ogni esigenza, se non altro i serbatoi fossero in piena efficienza e capacità, e se non esistessero sistemi e reti di distribuzione rattoppati. Delle 26 grandi dighe controllate dalla Regione, 3 sono fuori esercizio, 5 con limitazioni per motivi di sicurezza, 10 in attesa di collaudo14. Non esiste un piano regionale degno di questo nome per le infrastrutture primarie, e ogni tentativo di riorganizzare la gestione dell’acqua è miseramente fallito.

Un caso per tutti? La diga della Trinità15 che dovrebbe dare acqua a 8.000 ettari di coltivazioni nel trapanese tra Castelvetrano, Campobello di Mazara e Mazara del Vallo, uno dei simboli dell’immobilismo e dello spreco. Costruito tra il 1954 e il 1959, non è mai stato sperimentato con il suo lago, a 69 metri sul livello del mare con una superficie liquida di 2,13 km2 corrispondente ad un volume massimo di 20,3 milioni di m3. Salvo limitazioni, con ordinanza dell’ufficio dighe della Regione, il gestore Consorzio di Bonifica della Sicilia Occidentale dovrà provvedere allo svuotamento. E da mezzo secolo a questa parte “le verifiche di stabilità sismica sono sempre in corso”. E così, negli anni secchi, l’acqua scivola via.

Analizzando anche la piovosità media regionale, abbiamo il 2023 che si è concluso con 588 mm di altezza delle precipitazioni – un millimetro di pioggia equivale in quantità a 1 litro d’acqua caduto su una superficie di 1 m2 -, il 22% in meno rispetto alla media dell’ultimo anno. vent’anni, riferisce il servizio agrometeorologico regionale. Piove un po’ meno e piove “male”, con accumuli di temporali ormai subtropicali che, ad esempio nel Ragusano, nei giorni 9 e 10 febbraio 2023 hanno fatto cadere 228,8 mm di pioggia, il 54% dell’intero anno. La progressiva tropicalizzazione del clima ha fatto sì che maggio registrasse il 42% delle precipitazioni nell’intero 2023, mese in cui in media ne è caduto appena il 3%. Se la Regione indica un fabbisogno medio di 1.750 miliardi di m3 di acqua all’anno per l’intera Sicilia, dobbiamo tenere presente che quei 588 mm di pioggia caduti nel 2023 sui 25.711 km2 dell’Isola, pur con differenze di cumulo tra aree geografiche di superficie, equivalgono complessivamente a circa 15,2 miliardi di metri cubi di acqua all’anno. Una dotazione sensazionale! Calcolando anche la quantità che evapora prima di raggiungere il suolo, la quantità che si infiltra nel terreno e la quantità di deflusso superficiale non trattenuto, sull’isola ci sarebbe molta acqua. Basterebbe semplicemente organizzarsi per trarne vantaggio.

Dati da

-Banca Dati Direzione Generale Dighe e Infrastrutture Idriche, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

-Nino Amadore, «Sole 24 Ore» 22.03.2024, Diga Trinità, il grande incompiuto siciliano;

-Pietro Todaro, I qanat di Palermo, Agorà Edizioni 2002; L’acqua dei qanat di Palermo in «Archeologia viva», Firenze, 1986; Giardini islamici. Sistemi di raccolta e gestione delle acque nella Piana di Palermo, Università di Palermo, 2006.

 
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