Picchiata dal figlio, cerca di ritrattare per ‘salvarlo’ – .

CREMONA – Il 20 dicembre 2023, sentita in questura per più di tre ore, aveva riempito pagine di verbali, raccontando i maltrattamenti subiti per anni per mano del figlio tossicodipendente che pretendeva sempre soldi. A volte glieli dava lei, altre volte lui glieli rubava. I suoi insulti: “Sei una madre di s…, fai schifo.” Le sue minacce: “Ti ammazzo, ti ammazzo”. Le percosse: schiaffi, calci e spinte. Una madre terrorizzata al punto da chiudersi di notte in camera da letto e mangiare in camera sua. Per tre anni.

Mercoledì 15 maggio 2024, ieri. In aula c’è la madre chiamata a testimoniare dal procuratore onorario per confermare le accuse – maltrattamenti – contro il figlio, finito in carcere perché aveva violato il divieto di avvicinarsi alla madre applicandole il braccialetto elettronico. In aula c’è il figlio, 43 anni, sempre con lo sguardo basso, seduto sul banco degli imputati accanto alla difesa Raffaella Parisi. La madre si siede, prima si ritrae, nega se stessa (“Non ho detto quelle cose in questura, non è vero che mio figlio mi prendeva a calci e pugni tutte le sere”), poi minimizza, addomestica la sua versione. In aula c’è una madre che vuole far uscire il figlio dai guai e dal carcere, rischiando di rendere false testimonianze. Il giudice la ammonisce non una, ma due, tre volte. «Signora, è straziante per lei ed è straziante per noi. Si può avere tutta la comprensione del mondo, ma non ci si lascia ingannare”.

Agitata, a volte in lacrime, la madre in aula ha esordito dicendo: «Prima di tutto non ho fatto la denuncia. I miei vicini mi hanno sentito e hanno chiamato la polizia. Ero molto, molto nervoso. Mio figlio non mi ha schiaffeggiato come ho detto la prima volta. Avrei voluto punire mio figlio per avergli stravolto la vita, ma mai mi sarei aspettata che questo meccanismo si mettesse in moto.». Un meccanismo che – ricorda il giudice – lei stessa ha messo in moto, raccontando agli inquirenti gli episodi che hanno poi riempito quattro pagine dell’accusa.

L’avvocato Raffaella Parisi

La sera del 19 dicembre la madre è finita al pronto soccorso con una ferita alla testa. In questura ha poi raccontato la storia. «Mi ha dato uno schiaffo così forte che ho sbattuto la nuca contro il muro». Sanguinava dalla ferita. In aula: «La sera del 19 dicembre ho dato uno schiaffo in testa a mio figlio e mi sono schiantato contro il muro. In ospedale hanno fatto alcuni esami e non è risultato nulla. La polizia mi ha sentito la mattina dopo per tre ore, tre ore e mezza. C’erano quattro poliziotti nella stanza, facevano alcune domande, una volta entrava uno, poi un altro, poi la pausa caffè. Non ne potevo più. E se lo avessero inventato? In parte”. Perché dovrebbero inventare? «Ma no, un po’ di confusione in quelle tre ore e mezza». Il giudice le ricorda, ancora una volta, il reato di falsa testimonianza.

«Io – spiega la madre – ero così stanca che avrei voluto farla pagare a mio figlio, ma non immaginavo. È un tossicodipendente e non ne posso più. Ha rubato dei soldi e qualcosa da casa mia, ma da lì a quello. Non è che mi abbia trattato con i guanti, però.” La madre nega le minacce. “Solo una volta sulle scale hai minacciato me e il mio vicino, ma in pratica non mi hai mai fatto niente”. Lei nega i ripetuti insulti. «Qualche volta, poche, mi ha insultato. Ma ho insultato anche lui. Erano insulti reciproci”.

Capitolo soldi. Il pubblico ministero: «Ha detto che suo figlio ha preso comunque i soldi. COME?» «Una volta ha preso la mia carta di credito. Altri li ha trovati in camera da letto e li ho tenuti lì». C’erano continue discussioni sui soldi. La mamma riceve 800 euro di pensione: 100 li paga per l’affitto (“la casa è dell’Aler”), poi ci sono le bollette da pagare, la spesa. «Ho provato a mandarlo fuori di casa, ma poi mi è dispiaciuto per lei. Non lavora. Se potevo gli davo 20 o 50 euro. Per me questa richiesta di soldi è stata un problema. Ovviamente facevo fatica ad andare avanti”. E perché si è chiuso in camera da letto? «Perché ero stufo, continuava a chiedermi soldi. Ma mi sono chiuso dentro non perché avessi paura. Non volevo che venisse a frugare nella mia stanza, perché non avevo intenzione di dargli i soldi. Non sopportavo più la dipendenza dalla droga di mio figlio e in qualche modo ho cercato di fargliela pagare”. Processo aggiornato al 19 giugno.

 
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