il primo delitto e il bambino sopravvissuto. Prelevato il Dna ricompare la pista sarda – .

il primo delitto e il bambino sopravvissuto. Prelevato il Dna ricompare la pista sarda – .
il primo delitto e il bambino sopravvissuto. Prelevato il Dna ricompare la pista sarda – .

Firenze, 8 giugno 2024 – Ripartiamo da qui, dalla notte di 21 agosto 1968. Che forse è il momento in cui tutto ha avuto inizio. O dove tutto si è ingarbugliato. A Signa, vicino al cimitero dei Castelletti, c’è una Giulietta bianca. Sui sedili anteriori un uomo e una donna fanno l’amore. Suo figlio di sei anni dorme sul “divano” posteriore. All’improvviso, dal buio, una mano armata con una pistola calibro .22 spara ai due amanti. Li uccide, lasciando in giro i proiettili della serie Winchester H. Il ragazzo si sveglia al rumore. Illeso. È chiamato Natalino. Qualche ora dopo suona il campanello di una casa a due chilometri di distanza. “Aprimi la porta, ho sonno e mio padre è a letto malato – dice alla padrona di casa guardando fuori dalla finestra –. Allora portami a casa perché lì ci sono mia madre e mio zio che sono morti in macchina”. Mamma è Barbara Locci. Lo ‘zio’ lo è Antonio Lo Bianco. La polizia si scaglia contro il marito di Barbara, il padre di Christmas: Stefano Mele. Lo arrestano. Inizia un turbinio di versioni, ma senza la pistola. E poi sarà anche l’unico condannato. Si dice subito che la Locci abbia tradito il marito allo scoperto. E che lui, operaio semianalfabeta, tollerava perfino i suoi incontri. Tra gli amanti di Barbara, che a Lastra a Signa – dove lei vive – chiamano l’ape regina, ce ne sono due in particolare: i fratelli Francesco e Salvatore VinciSardi di Villacidro.

Fermare. Torniamo a Castelletti. Torniamo da Natalino con solo i calzini ai piedi (i sandali li ritroveremo in macchina), assonnato, che ha percorso tutta quella strada. Quel bambino non riuscì mai a indicare come fosse arrivato a quel campanello. E anche quando è diventato uomo non si è mai concentrato sul ricordo di quella notte che ha segnato la sua vita: Natalino lo è cresciuto in un orfanotrofio, senza sua madre e con suo padre in prigione. Rivivendo spesso l’incubo dello sparo.

Tuttavia il mistero resta. Insieme a un dubbio: perché l’assassino di Signa ha risparmiato quel bambino, testimone di un crimine, e magari l’accompagnò fino alla casa più vicina (i calzini erano puliti, disse l’avvocato Bevacqua al processo Pacciani), mettendoselo sulle spalle, canticchiando una hit di quell’estate, ‘La tramontana’. Oggi i carabinieri del ROS hanno colto l’occasione per rimettere le mani su un delitto di 56 anni fa. Che non è un caso irrisolto solo a metà, o forse del tutto irrisolto visto che Stefano Mele difficilmente avrebbe saputo fare del male, soprattutto da solo. È il labirinto, ’68, dentro il quale si perde anche la cassa del mostro di Firenze. Perché nel 1982 gli investigatori che davano la caccia all’assassino della coppia ricordarono – ufficialmente attraverso la memoria di un maresciallo, ma si sospetta anche da una nota anonima – del duplice omicidio di Signa. E lo hanno scoperto la pistola era la stessa. Pochi giorni fa il Ros ha ritrovato Natalino. Oggi è un 62enne abituato ad arrangiarsi. L’hanno preso un campione di DNA. Potrebbe essere l’ennesimo flop, oppure la svolta. I dati genetici del sopravvissuto al mostro verranno confrontati con quelli del Vinci (già acquisiti in passato) alla ricerca di una familiarità. Perché se Natalino non fosse figlio di Mele, ma di uno degli affettuosi fratelli di sua madre, il sentiero sardo – da sempre battuto dalle forze dell’ordine – potrebbe essere completamente reinterpretato. E interpretato: un killer che esordisce con un delitto in cui salva (o si fa salvare) il figlio, poi diventa negli anni sempre più cinico e sfuggente, in un’escalation che va dal 1974 al 1985. Francesco Vinci è morto nel 1993, legato e bruciato. Fu il principale sospettato dopo il 1982, ma il delitto successivo, a Giogoli, lo scagionò: due uomini uccisi (con la stessa calibro .22) e nessuna escissione, una delle azioni più strane del mostro.

Salvatore Vinci lo è scomparso per quasi 40 anni. A partire dall’84 venne perquisito, seguito e interrogato. È accusato dell’omicidio della sua prima moglie, Barbarina Steri, ufficialmente suicidata. Dopo l’assoluzione del tribunale di Cagliari è scomparso. Anche il gip Mario Rotella lo ha liquidato sulla pista sarda, con una sentenza che si presta ancora a interpretazioni colpevoli. I confronti con il Dna di Natalino potrebbero riaccendere i ‘Sardisti’. Fantascienza? Alla genetica l’ardua sentenza.

 
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