Nel giro di poche settimane sono bastati due decreti – il primo dedicato all’Agricoltura, già approvato, e quello sulle Aree Idonee che ha ricevuto il via libera della Conferenza Unificata – per far scattare un nuovo allarme sul fronte delle energie rinnovabili.
Sia gli industriali che gli ambientalisti spiegano come queste due misure, se non corrette rapidamente, siano sufficienti per mettere l’Italia fuori gioco nella corsa alla decarbonizzazione.
Nonostante ci siano proposte per collegare alla rete nuovi 336 GW – ben più del necessario entro il 2030 -, nell’ultimo anno le installazioni si sono fermate a +5,7 GW e nel primo trimestre del 2024 ne hanno aggiunti solo 2,3. Non è una questione di limiti tecnologici (solo nel 2011, un’era geologica fa, l’Italia ha installato 11 GW di nuovi impianti) ma di mancanza di volontà politica.
«Aumenta il caos normativo, quando il provvedimento sulle aree idonee avrebbe dovuto ridurlo», denuncia Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento Libero. «Dopo oltre due anni di attesa, discussioni e proposte per risolvere la questione delle aree idonee, Mase e Regioni raggiungono un accordo su una versione del decreto incompatibile con l’obiettivo di installare 80 GW in meno di 7 anni indicato dal stesso decreto”, apre le braccia re Rebaudengo, presidente dell’associazione di Confindustria Elettricità Futura.
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, il Paese avrebbe bisogno di circa 12 GW di nuovi impianti all’anno: non contribuire alla transizione significa non solo mettere a rischio la stabilità del clima e con essa il nostro benessere, ma anche alleggerire i portafogli dei cittadini. Istituzioni del calibro di Aie, Bce e Bei chiedono di accelerare la transizione verso le rinnovabili perché sono le opzioni più convenienti per famiglie e imprese, ma il Governo Meloni sembra fare di tutto per non riconoscerlo.
