Adesso Cremona investe su Strad e sul Divin Claudio – .

Se non ora quando? Viene in mente all’indomani della grande festa che all’Arena di Verona ha celebrato l’opera italiana come bene immateriale dell’umanità. La designazione UNESCO è stata festeggiata in tutti i fasti possibili: un grande evento mediatico con un ensemble orchestrale di 160 elementi e un coro di 300 cantanti provenienti da tutte le istituzioni musicali italiane. Il regista Riccardo Muti sul podio e poi una sfilata di stelle del belcanto che non ha eguali. Il tutto alla presenza delle massime autorità della Repubblica. Novità, finora. Puro. Ma quello che non lo è, è un pensiero che non può fare a meno di sorgere e renderti un po’ orgoglioso.

Aver riconosciuto l’opera lirica come bene immateriale dell’umanità e aver premiato Claudio Monteverdi, che ha inventato il melodramma, che ha lavorato sul connubio tra parola e musica in nome della fabula del mito. Si potrebbe pensare che il riconoscimento appartenga anche alla città di Cremona, che già vanta il riconoscimento legato al suo know-how liutario. Quante città possono vantare nel proprio palmares due riconoscimenti simili? Se poi aggiungiamo che il riconoscimento del Festival Claudio Monteverdi come festival di interesse internazionale è notizia da qualche settimana, allora è ben compresa la domanda iniziale: Se non ora, quando? Ed è più che mai obbligatorio.

Il riferimento va alla necessità e all’opportunità di credere e investire forze ed energie in Monteverdi, ambasciatore di Cremona nel mondo. Naturalmente insieme ad Amati, Stradivari e Guarneri del Gesù. Senza dimenticare Amilcare Ponchielli. Oggi la liuteria è la bandiera della città, una bandiera importante ma per sua natura strumentale e non finalistica. E infatti, se consideriamo le semplici parole che sono la casa dell’essere, non possiamo fare a meno di sottolineare un malinteso: continuiamo a confondere il mezzo con il fine. I violini sono lo strumento più importante per fare musica, ma il loro scopo è trasformare le note e la creatività umana in armonia, fare musica. E la musica è Monteverdi che unisce sentimento e ragione, note e parole in quel mix unico che ha dato vita all’opera, al melodramma italiano.

Cremona ha la particolarità – si ritiene unica – di unire sia lo strumento che la finalità in Stradivari e Monteverdi: la portano – o dovrebbero portarla – ad essere una delle capitali della musica. Non possiamo rivendicare l’esclusività, ma forse possiamo rivendicare la primogenitura: Cremona ha dato i natali a Claudio Monteverdi, che inventò l’opera lirica nel paese del melodramma. E questo è un dato di fatto: non deve tracciare confini e barriere, ma incoraggiare orizzonti, ampi oltre l’ovvio, proiettati sulla forza potente di Monteverdi nel XXI secolo. Il divino Claudio, nostro contemporaneo. Durante le celebrazioni veronesi l’aggettivo italiano era motivo di orgoglio, ma se paragonato all’universalità dell’opera sembrava una diminutio. Almeno se si pensa a quanto l’opera italiana ha generato in Europa e nel mondo. Pertanto il termine opera italiana preserva una tradizione, ma ne limita troppo l’eredità e il potere.

Un momento della rappresentazione dell’Orfeo che ha aperto la 41esima edizione del Festival Monteverdi

In altre parole: il vessillo dell’UNESCO deve aiutarci a guardare il mondo, oltre i confini e gli steccati, in nome di una complessità che fa apprezzare le differenze e non svalutarle. Accanto agli strumenti con cui fare musica – e il violino ne è il re indiscusso – non bisogna dimenticare la finalità: la musica come espressione della creatività umana, linguaggio universale. Proprio per questo Cremona può vantare due riconoscimenti UNESCO. E per questo si dice con forza: Se non ora, quando? Cremona cerca di definire la propria identità da almeno ottant’anni: lo fa nel 1937 con le celebrazioni stradivariane, l’anno successivo con la nascita della Scuola Internazionale di Liuteria, nel 1943 con le Monteverdiane e poi ancora, nel seconda metà del Novecento, con gli Stradivariani del 1949 e quelli del 1987. Monteverdi tornò alla ribalta nel 1969, poi nel 1993/1994 e ancora nel 2017.

Una ripetizione che dimostra quanto sia esplosiva la strategia dell’evento, ma rischia di non attecchire. I modelli celebrativi del Novecento tendono all’eccezionalità e all’irripetibilità, ma allo stesso tempo pretendono di diventare tradizione, tratto permanente in cui una comunità può riconoscersi ed essere orgogliosa delle proprie origini. Dunque, data l’effimero di ogni evento, i riconoscimenti UNESCO chiedono a Cremona – e in generale all’Italia e al mondo della cultura – di valorizzare il processo e non fermarsi al prodotto, ovvero di costruire una consapevolezza culturale delle proprie radici che non si chiuda orizzonti, ma li apre. Celebrare l’opera italiana significa studiare ed eseguire con rispetto le partiture italiane senza dimenticare Mozart e Wagner, per fare solo due esempi.

E ancora, significa non aver paura dell’innovazione e della contemporaneità. Il divino Claudio lo permette con le sue partiture aperte, con la forza innovativa della sua rivoluzione. Lo sanno bene all’estero, dove leggono Monteverdi come un testo da risuonare nel qui e ora della scena e del nostro presente. Sono questi elementi a far esplodere l’universo monteverdiano, destinato a essere compreso tra un orizzonte filologico e uno contemporaneo. A tutto questo si aggiunge la libertà di suonare con la musica, con i violini, e perfino con il divino Claudio, senza aver paura di tradimenti e sconvolgimenti, che se hanno un proprio rigore generatore non sono mai irrispettosi. E neanche pretenzioso. Per raggiungere l’obiettivo Cremona ha tutte le carte in regola: ha la pluralità di enti e soggetti che assicurano formazione, produzione, conservazione, innovazione e ricerca.

Dobbiamo avere fede e fiducia nella musica monteverdiana e nella cultura barocca, cultura multimediale e innovativa per eccellenza, in cui alto e basso coincidono, in cui tutto è tenuto sotto il segno dello stupore e della meraviglia. E se lo stupore è l’atto che genera pensiero, capiamo quanto Monteverdi e Stradivari possano essere fecondi per la comunità cremonese. Dobbiamo ripartire da qui, dal senso di comunità. E il fianco ce lo offre lo stesso maestro Riccardo Muti nel suo intervento all’Arena di Verona: «L’orchestra è sinonimo di società. Ci sono i violini, ci sono i violoncelli, le viole, i contrabbassi, i tromboni. Ciascuno di essi ha spesso parti completamente diverse, ma tutti devono contribuire ad un unico bene, quello dell’armonia di tutti”. A questa armonia è chiamata Cremona, la città di Monteverdi e Stradivari. Se non ora quando?

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