«La pesca artigianale è ferma da un mese» – .

«La pesca artigianale è ferma da un mese» – .
«La pesca artigianale è ferma da un mese» – .

ANCONA Tutto era previsto: le tanto invocate mareggiate non sono state una tabula rasa. Francesco Regoli l’aveva previsto. Il direttore del Dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente del Politecnico non è scivolato sulla viscida mucillagine. No. La forza delle onde, nella notte tra lunedì e martedì, non è bastata a cancellare quella spessa e appiccicosa coltre che da oltre un mese blocca chi vive di piccola pesca a terra.

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Il precedente

“Il problema per noi è iniziato molto prima che il fenomeno fosse visibile. È un disastro, come lo fu nel 1990, quando fummo fermi per sei mesi per la stessa emergenza”. Mauro Bartoli è un veterano delle reti da posta che, lunghissime e disposte verticalmente, vengono lasciate in mare perché le prede possano raggiungerle e rimanerci intrappolate. “La loro efficacia”, spiega, “è l’invisibilità. Una caratteristica annullata dalla presenza di quel magma che le invade fino a renderle pesanti e percepibili ai pesci. «Offre un’immagine nitida di danni dal perimetro incalcolabile. «Siamo in tanti: nei porti, sulle spiagge, nei piccoli approdi. Impossibile contarci». Due, per il suo sguardo esperto, sono numeri certi: «Noi, immobili, abbiamo perso il 100% della nostra attività; i più grandi, che si dedicano alla pesca a strascico, continuano a uscire ma sono in calo del 20%. Venerdì alle 14.30 Bartoli andrà in Regione, seduto accanto ai rappresentanti delle cooperative a un tavolo ittico, convocato d’urgenza dall’assessore alle Attività produttive e alla pesca Andrea Maria Antonini.

Il vertice

«Ho l’esperienza dalla mia, so di cosa parliamo», è il biglietto da visita con cui si presenterà ai vertici del Palazzo. Preliminare per ottenerlo è stato l’incontro di lunedì tra Marche, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna, terre unite dallo stesso destino. Per Bartoli non conta la forma giuridica, ma la sostanza: «Serve un risarcimento». Subito. Ieri è stato il secondo dei tre giorni che trascorrerà in mare, per Apollinare Lazzari, dell’associazione dei pescatori. «Va un po’ meglio, stanotte (ieri, ndr) c’era mare, ma niente di grave – non si illude – non si vedono a pelo d’acqua, si saranno depositati sul fondo». Tornerà a terra domani e, solo leggendo i filtri dell’acqua della sua barca, sempre pieni di melma, avrà la certezza che l’emergenza non sia stata spazzata via. «Di solito vengono pulite due, tre volte l’anno, ora anche tutti i giorni, altrimenti si intasano, e i motori si fondono». Questa estate di passione, ammette, non è uguale per tutti. «La piccola pesca non esce – il tono si fa simpatico – perché a riva c’è molto di più, di melma. Non è come da noi che andiamo a strascico. Decidiamo giorno per giorno: chi cala la rete e la recupera il giorno dopo non se lo può permettere». Ripassa le mosse, che non richiedono prospettiva, ma prontezza d’animo. «Quando torniamo in porto, facciamo una riunione e decidiamo come procedere». Dall’inizio all’inizio.

La caduta

Una voce comune quella di Simone Cecchettini, rappresentante della Pesca marittima per la Lega delle cooperative. Gli va il merito: «Abbiamo consegnato la lettera all’assessore Antonini, che esprimeva la nostra esigenza di essere ricevuti, e lui ci ha chiamato venerdì». La traiettoria è tracciata: «Dobbiamo decidere quali azioni di sostegno intraprendere». E la riflessione successiva impone che non sia una soluzione tampone: «A causa dei cambiamenti climatici, il fenomeno si ripresenterà tra dieci anni». Contro il riscaldamento globale, la spugna delle tanto invocate mareggiate è solo una goccia. In mare.

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Corriere Adriatico

 
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