aspettando il voto dei migranti – .

aspettando il voto dei migranti – .
aspettando il voto dei migranti – .

Per capire cosa sta succedendo a Reggio Emilia, bisogna munirsi di un cannocchiale dotato di una doppia messa a fuoco: la prima puntata sulle strutture elettorali presenti; la seconda su quel brulicare di braccia e di anime che, pur essendo parte cospicua della totalità dei residenti e degli abitanti della città, non gode (ancora) appieno dei diritti di cittadinanza.

Sul piano elettorale, il PD si è trovato di fronte a una situazione nuova, che fino a poco tempo fa sembrava presentare dei rischi, dovuti da un lato ai limiti della vecchia e un po’ screditata giunta locale, dall’altro ai sinistri scricchiolii che da cinque anni travagliano il PD regionale. Di fronte al rischio concreto di tornare al voto, e di tornarci non più con un avversario improvvisato e improbabile, ma avendo di fronte un candidato più presentabile e forse anche più attraente del centro-destra, il PD locale ha saputo trovare un equilibrio tra i seguaci di Schlein e la vecchia classe dirigente, attorno alla candidatura di Marco Massari, un ottimo medico di origine PDI, distintosi durante il CovidChe, tra mille insidie ​​interne, ha apparentemente trovato la quadratura del cerchio attorno a un programma per la città su carta patinata in cui, tra parole alate e inchini, i grandi temi all’ordine del giorno – speculazione edilizia, privatizzazione dei beni comuni, finanziarizzazione dell’economia, immigrazione, welfare – vengono affrontati sostanzialmente in un’ottica di continuità con le precedenti giunte. Nei fatti nudi e crudi, con la costituzione di un treno di liste, che si è differenziato da quello delle precedenti amministrative per due punti decisivi: l’alleanza con quanto resta a livello locale del M5S; e la formazione di una succosa lista personale che ha avuto un buon successo. È dalla combinazione di questi due elementi che è ora possibile per il nuovo sindaco mettere d’accordo tutti gli alleati, senza dover cedere a ricatti e cavilli vari interni al PD, il cui preludio in campagna elettorale è stato attraverso personalistiche autopromozioni soprattutto da parte dei ‘pilastri’ della vecchia giunta, in totale discordia con le sobrie tradizioni locali. E togliendo spazio a quella parte della sinistra radicale che ha sempre sostenuto il PD, che per pochi voti non è riuscita a inviare propri rappresentanti in comune.

L’altro elemento importante emerso in queste elezioni comunali è lo smembramento del M5Sche si è divisa in almeno cinque parti. Abbiamo già accennato a quella, abbastanza residuale (4,2% degli elettori), che ha mantenuto il simbolo, e si è alleata con il PD. Un’altra parte, premiata con il 6,8% degli elettori, si è ritrovata in una lista civica che riuniva cattolici radicali con spirito scout ed ex-PD di sinistra, che forse avrebbe avuto più successo se non avesse pagato il prezzo di una spaccatura interna sul tema dell’aborto. Un’altra, estremamente minoritaria e vicina a quella che oggi potremmo definire la sinistra radicale anzianoche ha raccolto pochi voti. Mentre è impossibile dire quanti voti siano andati dal M5S alla lista del candidato di destra, che aveva al suo interno anche esponenti combattivi già eletti in passato con i Cinque Stelle; e quanti ai Verdi, che sono finalmente tornati in giunta, rioccupando lo spazio che nelle ultime giunte era stato del M5S. Ciò significa che, almeno qui a Reggio Emilia, gran parte del consenso che era per il M5S non è andato verso l’astensione, come accaduto al Sud. A livello nazionale, la dirigenza del Movimento si chiede come riparare a questo sconvolgimento. Quel che è certo è che dalla microstoria reggiana del gruppo emergono alcuni punti chiave: il fallimento del M5S, su Iren, con i movimenti di base presenti e molto attivi in ​​città sul tema dell’acqua pubblica; la chiusura dei raduni e il conseguente inaridimento delle proposte grilline sui problemi strutturali della città; la restrizione a una politica di denunce, a cui non ha fatto seguito alcuna candidatura alla guida del movimento di chi su queste denunce si era battuto coraggiosamente due consigli fa; la scrematura da parte dei proconsoli locali di Conte delle nuove iscrizioni, promosse anche dallo stesso Conte, in base a criteri paranoici, che hanno finito per buttare fuori dal M5S locale – come si dice – l’acqua sporca con il bambino dentro.

Finora abbiamo cercato di concentrarci sugli orientamenti elettorali della realtà reggiana così come risultano dall’analisi delle propensioni dei 72.000 elettori che si sono recati alle urne l’8 e il 9 giugno. Senza considerare che essi rappresentano solo il 60% delle oltre 128.000 persone che ne hanno diritto. E senza considerare che nel frattempo Tra gli aventi diritto al voto sono compresi (anche se la maggior parte di loro non vota ancora) circa 13.000 ex stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana nell’ultimo decennio. A cui bisogna aggiungere altri 20.500 adulti e 12.500 minori stranieri residenti in Italia, che non hanno ancora ricevuto la cittadinanza italiana (o non ne hanno fatto richiesta). Si tratta di un gruppo di circa 46.000 persone che oggi rappresentano quella che potremmo definire la “Reggio di sotto”.”. Una Reggio che – lo sappiamo – vive spesso nelle zone più degradate e problematiche delle nostre periferie; in quelle del centro storico, nelle cosiddette ‘Ville’, cioè nei borghi un tempo rurali che circondano la città, e in ogni buco che la “Reggio di Sopra” mette a disposizione, spesso a pagamento, come casa.

Si tratta di una nuova umanità, composta da giovani adulti che lavorano sottopagati, sotto ricatto o, nel migliore dei casi, come schiavi affidati ai trafficanti locali. Dil lavoro gestito; di donne strappate alle loro famiglie per venire ad accudire i nostri anziani, o che seguono i mariti per sfuggire alla guerra e alla fame; di persone che hanno potuto arrivare qui perché reclutate in patria da trafficanti di anime, capaci di tenerle sotto ricatto in uno stato di vera e propria schiavitù; di bambini, ragazzi e ragazzi che frequentano l’asilo e la scuola di Reggio. E, in ogni caso, di soggetti, ridotti a servi o schiavi, che partecipano alla formazione della ricchezza sociale di Reggio Emilia, usufruiscono dei nostri servizi e pagano le tasse, ma non sono da noi vissuti, né sono ancora vissuti come parte della comunità.

I rappresentanti eletti da quei 72.000 reggiani della “Reggio di Sopra” li conoscono bene, ne parlano continuamente, riducendoli quasi sempre a una questione di “sicurezza”; o come impresa da affidare agli specialisti del privato sociale (che per lo più, almeno qui a Reggio, vivono della loro marginalità). E, da tutti, come impresa in breve. Il destino del loro inserimento nella società (meticciato sociale, autoctonizzazione, integrazione, ghettizzazione…) è infatti nelle mani dei prefetti. L’Accademia locale, a parte qualche lodevole eccezione, è assente sull’argomento. E solo la scuola di Reggio Emilia sembra consapevole dell’immenso sforzo che si deve comunque compiere per raggiungere qualsiasi obiettivo. Mentre il Comune ha ridotto il Centro Culturale Mondinsieme, che aveva avuto un ruolo importante all’inizio degli anni 2000, a un team di studiosi autoctoni. E ha scaricato il peso dell’impatto dei bambini migranti sugli asili nido statali. sulla città. Non riuscendo, infatti, a quel tipo di prospettiva compensativo che, sulla forte spinta che proveniva dalle donne dell’UDI, fu uno dei nuclei centrali dell’idea malaguzziana, quando sessant’anni fa i bambini da aiutare erano i figli degli operai reggiani.

 
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