“Trieste, avamposto d’Europa. Le differenze? Lasciamo che diventino sfide” – .

“Trieste, avamposto d’Europa. Le differenze? Lasciamo che diventino sfide” – .
“Trieste, avamposto d’Europa. Le differenze? Lasciamo che diventino sfide” – .

“Mi piace pensare che questa città stia vivendo un grande fermento, non solo turistico, e che dopo il ‘900, oggi il confine sia un avamposto in Europa che unisce popoli e culture”. Da 15 mesi Enrico Trevisi, sessantenne lombardo di Cremona, è vescovo di Trieste, capoluogo giuliano che ospita un’edizione speciale delle Settimane Sociali che si apre oggi con il capo dello Stato e che domenica Papa Francesco chiuderà. Dalla sua residenza nella centrale via di Cavana, tra gli stand delle Buone Pratiche, vediamo insieme a lui che tipo di città trovano i delegati in arrivo da tutta Italia.

A Trieste ci sono tante comunità che convivono da secoli. È un laboratorio di dialogo o è difficile da praticare?

Guardiamo alla storia. La Chiesa cattolica è costitutivamente italiana e slovena, con tradizioni, spiritualità e confronti di diverse comunità linguistiche. Quando Trieste divenne un porto franco dell’Impero asburgico, attirò popoli diversi e fu all’avanguardia in termini di libertà religiosa. La comunità ebraica qui, ad esempio, costruì la seconda sinagoga più grande d’Europa in termini di dimensioni e le comunità serbo-ortodossa e greco-ortodossa hanno i loro templi perché l’Impero austro-ungarico attirò anche i ricchi garantendo loro esenzioni fiscali, molto simili ai paradisi fiscali di oggi, e tolleranza. Ma l’eredità del XX secolo porta con sé le tragedie delle due guerre mondiali e di ciò che ne seguì. Qui le popolazioni si sovrapposero, convissero pacificamente per decenni e poi si fecero del male a vicenda. In questa terra tutti possono legittimamente sentirsi vittime per aver subito così tanta violenza, ma poi il risentimento porta alla vendetta e a seconda di quando inizi a guardare la storia, ti senti vittima e scopri anche di essere complice.

E che ruolo ha oggi la Chiesa di Trieste in questo campo?

Ha il compito di favorire una vera elaborazione storica che diventi una purificazione e una bonifica. Perché se è vero che la memoria diventa la nostra identità, se questa è inquinata da fonti avvelenate, offre frutti avvelenati. Trieste è orgogliosa dei suoi tanti templi di fedi diverse, è una città laica e distaccata, ma tollerante e ha un estremo rispetto, ma deve ricostruire una memoria condivisa. Abbiamo bisogno di questa operazione e come Chiesa siamo su questa strada da tempo. Ci sono esperienze positive, mentre altre sperimentano ancora la difficoltà di incontrarsi e il dialogo ecumenico qui è ancora elitario. Per noi è giusto partecipare attivamente a questo processo e il tema di queste settimane sociali dedicate alla partecipazione e alla democrazia ci offre un metodo. Nello stesso tempo mettiamo dentro i valori per cui ci sentiamo tutti fratelli per contribuire a creare una comunità e una società in cui ci sia rispetto per i più fragili e i più vulnerabili e ci sia tutela del bene comune, giustizia, solidarietà e sussidiarietà.

Trieste è una tappa della rotta balcanica percorsa dai migranti. È stato appena sgomberato il vecchio Silos accanto alla stazione, dove diverse centinaia di persone vivevano da anni in condizioni indegne. A che punto siamo con la questione?

Siamo all’inizio di un processo che continua con i trasferimenti e che dobbiamo affinare e migliorare con le istituzioni e la società civile. Penso che tutti sperassimo nella chiusura di quella che era una vera e propria favela urbana. Abbiamo visto sui volti dei giovani trasferiti in altre regioni e altre comunità la gioia di aver concluso l’incubo di vivere tra i topi senza acqua corrente né servizi igienici, come in una fogna. Ora con le autorità, con la Caritas diocesana e le tante organizzazioni della società civile continuiamo a collaborare e a prestare attenzione ai più fragili e a chi continua ad arrivare quotidianamente. Come diocesi abbiamo aperto una piccola struttura per i transitanti nella sala parrocchiale più vicina alla stazione a nostre spese per ospitare per una notte chi cerca di partire. La città non è la fine del percorso, ma per chi sceglie di restare con le istituzioni dobbiamo trovare il modo di accoglierlo nel modo più dignitoso in strutture adeguate. Polarizzazioni, scontri e veti incrociati non facilitano il processo. Lo stile della nostra presenza nella nostra identità di Chiesa è collaborare con tutti nel rispetto di tutti e vorremmo non essere etichettati e sfruttati. Siamo mossi dal riconoscere nell’altro i tratti del Cristo sofferente e dalla volontà di testimoniare i valori evangelici.

Trieste ha una contraddizione anagrafica, è la città più antica d’Italia e ha un’università che attrae molti giovani. Come convivono questi due poli?

Contraddizioni e contrasti fanno parte della storia di Trieste. È una città molto italiana e anche la più mitteleuropea, è una città piccola ma multiculturale, ha una grande università che quest’anno festeggia il suo secolo e il tasso di anziani in città e in Regione è notevole. Nelle tavole rotonde e nelle piazze che saranno proposte in questa settimana sociale si affronterà il tema dell’inverno demografico. Dobbiamo cercare di inventare nuove forme di sostegno alla cultura della famiglia, non è solo attraverso incentivi economici che aiutiamo la natalità. Trieste attrae tanti ricercatori ad esempio – siamo la città italiana con il tasso più alto -, ma sono sradicati e non hanno parenti e se si sposano al massimo mettono al mondo un figlio perché mancano i servizi. Partendo da Trieste, servono politiche familiari adeguate in tutta Italia. È anche una questione culturale perché oggi la vita spesa nel dono di sé per prendersi cura di qualcuno sembra messa da parte, siamo nella cultura dei “centri benessere”, della ricerca del benessere individuale che sta lacerando le coppie. L’individualismo è il virus che porta all’inverno demografico.

Oltre ai migranti, chi sono i poveri?

Gli anziani, per esempio. Spesso incontro persone che vivono ai piani alti senza ascensori e che raramente possono uscire. In questa città dove la montagna è attaccata al mare ci sono salite molto ripide e barriere architettoniche che bloccano i disabili. E poi non dimentichiamo la vulnerabilità e la fragilità dei più giovani. Va bene il bonus psicologo, ma non dobbiamo causare fragilità così forti ad esempio con lo sfruttamento lavorativo, dobbiamo farcene carico stando vicini e incoraggiando.

In che modo la città ha partecipato all’organizzazione della Settimana Sociale?

Mi hanno colpito tante piccole cose, dalle lettere degli anziani nelle case di riposo al Papa scritte spontaneamente a quelle dei bambini. Alcune scuole hanno assemblato una tovaglia molto grande con tante stoffe diverse, legando insieme le storie. Anche i carcerati hanno collaborato a confezionare le pissidi per la festa della domenica con il Papa. Le persone più piccole e fragili hanno capito prima di tutti che a Trieste stava succedendo qualcosa di grande.

 
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