le tappe della storia dal 2015 ad oggi – .

Mario Bozzoli, 52 anni, imprenditore, scomparso dalla fonderia di Marcheno la sera dell’8 ottobre 2015: alle 19:12 chiamò la moglie Irene, che non immaginava sarebbe stata l’ultima volta che gli avrebbe parlato, per dirle che era in ritardo, che si sarebbe fatto una doccia, si sarebbe cambiato e l’avrebbe incontrata in un ristorante sul lago di Garda. Non ci arrivò mai. La sua macchina è nel parcheggio, i suoi vestiti sono ancora nello spogliatoio, ma di lui nessuna traccia.: scomparve nel nulla con ancora addosso i vestiti da lavoro e le scarpe antinfortunistiche, senza telefono (non fu mai trovato) né soldi. L’allarme suonò verso le 22, quando preoccupata per il suo mancato rientro, Irene chiese al figlio più piccolo, che viveva in Valtrompia, di fare un salto in fabbrica per scoprire cosa fosse successo al padre.

The disappearance of Giuseppe Ghirardini

Quella sera a Marcheno c’erano altri lavoratori, oltre a Giacomo e Alex Bozzoli, figli di Adelio, fratello di Mario. Sei giorni dopo uno di loro scompare: Joseph Ghirardinicoetaneo del proprietario Mario, che lavora alla grande fornace della fonderia, chiama un amico per annullare una battuta di caccia a causa del maltempo e sale in macchina, diretto verso la Valcamonica. Viene trovato senza vita il 18 ottobre 2015 nel bosco di Case di Viso: ucciso da una capsula di cianuro trovata nello stomaco. L’inchiesta aperta per istigazione al suicidio nei confronti di Alex e Giacomo è stata archiviata definitivamente (dopo un’estensione delle indagini disposta dal gip) nei mesi scorsi. Gli inquirenti non hanno mai avuto dubbi sul fatto che i due casi siano strettamente collegati. Ma il caso è stato archiviato come suicidio nonostante l’opposizione della famiglia del lavoratore.

L’inchiesta sull’omicidio e l’esperimento giudiziario

Dopo la scomparsa di Mario, le indagini iniziarono a ipotizzare l’omicidio quasi immediatamente, nonostante l’azienda fosse stata sequestrata solo una settimana dopo la sua scomparsa. Alcuni lavoratori furono anche indagati per vari motivi (per favoreggiamento). Secondo l’accusa, Mario sarebbe stato ucciso e gettato nel forno, un’ipotesi abbandonata negli anni successivi alla presa in carico del caso da parte della Procura generale, ma poi tornata di moda solo nella primavera del 2022, in occasione del dibattimento di primo grado, dopo il vero e proprio esperimento giudiziario disposto dalla Corte d’assise – con un maialino di 13,2 chili – per capire, di fronte alle divergenti conclusioni dei consulenti tecnici di parte, cosa sarebbe successo, con quali reazioni e in quali tempi.

James l’unico imputato

A quasi sette anni di distanza dai fatti, l’unica persona sotto processo accusata dell’omicidio volontario e premeditato dello zio Mario, nonché della distruzione del cadavere, è il nipote Giacomo Bozzoli. Lui si è sempre dichiarato innocente. Per i procuratori aggiunti Silvio Bonfigli e Marco Martani, che hanno chiesto (e ottenuto) l’ergastolo nei suoi confronti, Giacomo avrebbe aggredito lo zio nei pressi dei forni, per poi affidarne il corpo a Ghirardini, il quale, “dietro compenso”, lo avrebbe gettato nel grande forno.. Avrebbe ucciso spinto da un movente economico, stanco di quello zio che non condivideva la gestione “felice” dell’azienda da parte del fratello e dei nipoti, pronti a gonfiare le fatture, risparmiare sulle leghe e truffare l’assicurazione: non a caso, nell’auto di Mario – l’accusa è certa – è stata trovata una fattura da oltre 46mila euro di lavori mai eseguiti per riparare uno dei forni. Insomma: una truffa assicurativa.

Ergastolo di primo grado

«Tutta la responsabilità penale di Giacomo Bozzoli converge sempre
vari itinerari sperimentali che si intendono seguire
“. È scritto dal
Corte d’Assise d’Appello di Brescia nelle 154 pagine di motivazioni della conferma della condanna all’ergastolo per Giacomo Bozzoli, 39 anni, ritenuto l’assassino dello zio Mario, l’imprenditore di Marcheno, in Valtrompia, scomparso nel nulla nella sua fonderia l’8 ottobre 2015. «Innanzitutto, la verifica del luogo e dell’ora del ritrovamento dell’imputato converge rispetto al luogo e all’ora in cui Mario Bozzoli fu trovato al momento della sua scomparsa.” scrivono i giudici. “Converge l’accertamento volto a individuare la persona che avrebbe potuto avere accesso a quella somma di denaro che risulta essere stata consegnata a Giuseppe Ghirardini che collaborò quantomeno alla distruzione del corpo di Mario Bozzoli – spiegano”.

Conferma in appello

La premessa diventa la chiosa, oltre cento pagine dopo, definita come «l’elemento probatorio che regna sovrano nel processo»: «L’omicidio è stato commesso in un ristretto contesto spazio-temporale in cui, oltre all’imputato, gravitavano solo Giuseppe Ghirardini e Oscar Maggi». La Corte d’assise d’appello conferma il massimo della pena per Giacomo Bozzoli, perché «tutti i diversi percorsi probatori che si intendono seguire convergono sempre sulla sua responsabilità penale», scrive la Corte (presidente Claudio Mazza, relatore Massimo Vacchiano) nelle motivazioni della sentenza: «Converge innanzitutto l’accertamento del luogo e dell’ora in cui è stato rinvenuto l’imputato in rapporto a quelli in cui è stato rinvenuto Mario al momento della scomparsa». Cioè nel reparto forno, tra le 19.15 (dopo aver telefonato alla moglie Irene) e le 19.18 (quando invece si è verificato il «fumo anomalo» nel grande forno, dove, secondo i giudici, è stato gettato il suo corpo). Ma anche la disponibilità di quei cinquemila euro in contanti, emessi in successione dalla Banca centrale austriaca, rinvenuti in casa di Ghirardini, che lavorava al grande forno, presupponeva un risarcimento, per la Corte, per il suo ruolo nell’omicidio – il suo “ruolo fondamentale almeno nella distruzione del corpo nel forno in cui aveva continuato a inserire scarti” – divenuto poi “un insopportabile rimorso”. Si era suicidato in Valcamonica sei giorni dopo la scomparsa del suo capo. E converge l’individuazione di un movente: Giacomo è l’unico “nel quale è stato accertato che, insieme all’odio ostinato e incontenibile già da molto tempo prima dell’omicidio, germogliato a sua volta da un altrettanto persistente e incrollabile rancore verso la vittima, sussisteva anche un interesse economico a ucciderla riconducibile a interessi aziendali e familiari”: Mario, “colpevole a suo giudizio sia di trarre profitto dagli utili dell’azienda sia di ostacolarne i progetti imprenditoriali”.

L’inchiesta “bis”

Più di otto anni dopo, una (ri)apertura nuovo capitolo sulla scomparsa dell’imprenditore Mario Bozzoliscomparso all’età di 52 anni dalla fonderia di famiglia a Marcheno, la sera dell’8 ottobre 2015. Come indicato nelle motivazioni della sentenza di primo grado della Corte d’assise (presidente Roberto Spanò), ora, La Procura ha chiuso l’inchiesta “bis”. Egli è responsabile a sua volta di complicità in omicidio premeditato e distruzione del cadavere Oscar Maggi, operaio, impiegato presso il più piccolo panificioo che sarebbe stato presente al momento della “scomparsa” di Mario: lo scorso dicembre, convocato per un interrogatorio dai pm, si era avvalso della facoltà di non rispondere. Le posizioni del collega erano separate Aboyage “Abu” Akwasi e Alex, fratello maggiore di Giacomo – per il quale le indagini sono comunque chiuse – sono invece accusati di falsa testimonianza (per il primo, inizialmente si è ipotizzato un favoritismo personale). Abu avrebbe tentato di “spostare” avanti e indietro gli orari dei presunti avvistamenti di Mario in compagnia quella sera, “allontanandolo” dalla zona forno: per favorire Giacomo e “proteggersi” da una prospettiva difensiva. Anche Alex avrebbe mentito. E anche Ghirardini, responsabile del grande forno, secondo la Corte avrebbe partecipato al delitto dietro compenso: «Un ruolo fondamentale almeno nella distruzione del corpo nel forno in cui aveva continuato a inserire rottami» — che poi divenne «un rimorso insopportabile». Anche i giudici di secondo grado Abu e Maggi temevano che Ghirardini potesse «crollare e dire la verità».

La sentenza della Corte di Cassazione

Poco prima delle 18:00 di lunedì 1 luglio è arrivato il verdetto finale. Destinato a cambiargli la vita, dopo nove anni di accuse – ma anche di libertà. La prima sezione della Corte di Cassazione – presidente Giuseppe Santalucia – ha confermato, rendendola definitiva, Ergastolo per Giacomo Bozzoli: 40 anni il prossimo 19 luglio, è stato condannato al primo, secondo e ora terzo grado per omicidio aggravato e la distruzione del corpo dello zio Mario, 52 anni, scomparso la sera dell’8 ottobre 2015 dalla fonderia di famiglia a Marcheno, che gestiva insieme al fratello e ai nipoti.

La fuga

A Roma, Giacomo non era in aula. Era presente il padre Adelio, che ha sempre partecipato alle udienze di primo e secondo grado, sostenendo l’innocenza del figlio. Che a sua volta ha sempre sostenuto di non aver commesso alcun reato: per i giudici bresciani, invece, avrebbe ucciso con la collaborazione degli operai Beppe Ghirardini e Oscar MaggiGiacomo Bozzoli, però, non si è consegnato lunedì sera e i carabinieri non lo hanno trovato nella sua abitazione. Casa chiusa, erba alta in giardino. È questo lo scenario in cui si sono trovati i carabinieri quando hanno suonato al cancello della villa di Giacomo Bozzoli a Soiano del Lago senza trovarlo. Secondo i vicini, Bozzoli, la moglie e il figlioletto non si vedono da circa dieci giorni.

 
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