«Ho scoperto il dramma dietro Biancaneve. Io al Festival? No grazie” – .

«Ho scoperto il dramma dietro Biancaneve. Io al Festival? No grazie” – .
«Ho scoperto il dramma dietro Biancaneve. Io al Festival? No grazie” – .

Non ha mantenuto la promessa, Luca Barbarossa. Quando nel 2021, all’età di 60 anni, pubblicò il suo primo libro, l’autobiografia Non perdermi nulla, lei disse che non avrebbe mai fatto il bis (“Prometto che scriverò il prossimo quando avrò 120 anni” ). Martedì prossimo, invece, uscirà Cento storie per cento canzoni (con i disegni di Michele Bernardi), una raccolta di pensieri, ricordi e intuizioni che gravitano attorno a canzoni che sono di fatto entrate nel bagaglio emotivo di tante persone negli ultimi anni. Forse il Barbarossa aveva ragione a non mantenere la parola data.

Ha cambiato anche editore, non poteva esserci un’asta?
“Per carità. Il primo andò bene, ma fu un episodio isolato: il contratto valeva solo per un titolo. Per essere più libero e “leggero” faccio così ormai da anni: mi impegno solo in un progetto alla volta”.

Una tua idea o quella dell’editore?
«L’editore Elisabetta Sgarbi mi ha chiesto se avevo qualcosa da proporle e ho detto di sì: una guida musicale che inevitabilmente parla della mia vita, di quella di altri cantanti e autori, e di tanta umanità che ruota attorno a questi autentici gioielli».

Ci sono anche pezzi tuoi?
“NO. sarei stato eccessivo Ho scelto canzoni bellissime con retroscena interessanti e piene di significato. È stato un bel viaggio di ritorno.”

E nel farlo, cosa ti ha sorpreso di più?
«La parabola esistenziale di un uomo che da decenni regala momenti di gioia a milioni di persone. Mentre scrivevo un giorno ho ascoltato Someday My Prince Will Come, uno dei temi di Biancaneve, nella versione di un pianista jazz che amo moltissimo, Bill Evans. Mi sono incuriosito e ho cercato di saperne di più sul compositore, l’americano Frank Churchill. Ho scoperto che vinse l’Oscar nel 1942 per la colonna sonora di Dumbo, scrisse il tema Heigh-Ho dei sette nani di Biancaneve, quello di Bambi e così via. Insomma, un genio. Che nel 1942, invece di vivere felici e contenti, stremato dalla depressione, si sparò alla testa, lasciando la moglie e la giovane figlia. Ma non è tutto: la prima volta che venne eseguita in chiave jazz fu nel 1943 dai Ghetto Swingers, un gruppo di detenuti del campo di concentramento di Theresienstadt in Germania.

In un campo di concentramento?
“SÌ. I nazisti volevano che un gruppo di osservatori esterni credesse che fosse un posto normale. Solo che i deportati vollero chiamarlo Tribute to Churchill, rendendo omaggio al grande musicista appena scomparso e allo statista britannico. Glielo hanno impedito, ovviamente. Insomma, racconto anche storie come questa”.

Parliamo d’altro: prenderesti il ​​posto di Amadeus a Sanremo? Lo ha già fatto un suo collega come Claudio Baglioni nel 2018 e nel 2019, e da anni porta in radio un programma seguitissimo.
«Sto già lavorando per diventare il prossimo primo ministro».

Dai, la Rai ti ha fatto qualche proposta oppure no?
«Ogni tanto una battuta sì, ma certi meccanismi sono complessi. Ci sono conduttori televisivi molto più famosi di me”.

Se arrivasse un’offerta ovviamente la valuteresti, vero?
“Certo. Chi non lo prenderebbe in considerazione? Ho amato moltissimo il Festival e Sanremo mi ha dato tanto. Ci sono stato nove volte e nel 1992 sono riuscito a vincerlo, ma c’è coda per quel ruolo. Ero presidente della giuria, ogni anno ospitiamo la fase finale di Sanremo Giovani al Social Club e nel 2019 abbiamo premiato Mahmood che poi si è classificato al primo posto”.

Insomma l’uomo giusto al posto giusto.
«Non esageriamo. Se mi chiamassero per qualcosa potrei anche collaborare, ma fare l’ospite o il direttore artistico del Festival mi sembra molto improbabile. Su Rai1 ci sono personaggi di spicco, molto apprezzati dal pubblico e meno rischiosi di me. Non ho mai condotto programmi in prima serata su Rai1”.

Nel libro ci sono brani dei Beatles e Lucio Dalla, Bob Dylan e Michael Jackson, Little Tony e Police: cosa dice di te questa selezione?
“Non lo so. Forse dovrei dare il libro a uno psicoanalista. Non c’è una logica, ho semplicemente scelto cose belle e interessanti da raccontare. Come Strange Fruits di Billie Hallyday, ad esempio, sui neri impiccati agli alberi; o La ballata di Sacco e Vanzetti di Ennio Morricone, cantata da Joan Baez. E poi c’è il numero 101 che ho dedicato a un grande amico che non è più tra noi, il giornalista Ernesto Assante. Per lui ho scelto L’Aquila di Lucio Battisti. Poco prima che partisse gli ho chiesto di leggere il libro per verificare se ci fossero errori”.

Ce n’erano?
“Qualcuno. Me li ha indicati e li ho corretti. È stata una delle ultime cose che ha fatto.

Non ci sono canzoni recenti, vero?
“Verissimo. E’ un libro un po’ vintage. Mi fermo agli anni ’80 e ’90 con Vita spericolata di Vasco Rossi e Creep dei Radiohead”.

La canzone che ti commuove sempre?
«La vecchia canzone degli innamorati di Jacques Brel nella versione di Franco Battiato del 1999. I miei genitori lo ascoltavano sempre da bambino. La prima volta che l’ho sentita credo di aver pianto per venti minuti. Mi ha rivelato una malinconia che evidentemente avevo avuto dentro di me per tutta la vita”.

Quello che le ha salvato la vita?
«Like a Rolling Stone di Bob Dylan. Quel pezzo ha testi assassini. Raccontare a qualcuno che ha basato tutta la propria vita sul successo come ci si sente a stare dalla parte di qualcuno che non sa dove si sta andando, cosa si prova a non essere nessuno, lo trovo devastante. E illuminante.

E tu quale scegli per tirarti su di morale?
«Veronica di Enzo Jannacci, una divertentissima storia di iniziazione sessuale».

Al concerto del Primo Maggio la politica è praticamente scomparsa dalle canzoni: cosa ne pensi?
«Non l’ho visto, a dire il vero. Ma so che c’era il mio amico Stefano Massini, con il quale ho appena registrato un intervento nel suo nuovo programma per Rai3, Indian Reserve (insieme la scorsa stagione hanno portato nelle sale il programma La verità, per favore, sull’amore, ndr), in onda tra pochi giorni. Ha parlato di incidenti e morti sul lavoro”.

Quasi tutti i giovani, però, non hanno detto una parola.
«Il rischio di autocensura è molto forte. Sapere che quando esprimi le tue idee puoi essere sopraffatto dall’odio verso i social ferma quasi tutti”.

Certo, ma ora nessuno si espone: perché?
«Per evitare di inimicarsi una parte del pubblico. Credo che succeda solo da noi, almeno in questi termini. È un peccato. Gli artisti hanno il diritto e il dovere di sentirsi a disagio”.

Tre anni fa hai detto che stavi scrivendo il soggetto di un film: a che punto siamo?
“Una cosa alla volta. Questo libro, ad esempio, in autunno diventerà uno spettacolo teatrale. Per ora sto lavorando a questo progetto”.

Hai mai pensato di realizzare un disco con tuo figlio pianista, che studia al Conservatorio?
“NO. È bene che tutti seguano la sua strada. Abbiamo un ottimo rapporto, è meglio così. Non farebbe mai affidamento su di me, giustamente.

In passato hai detto che per te Bob Dylan è Dio. Quindi non ci credi, vero? È cambiato qualcosa quando sei invecchiato?
«Non ho il dono della fede, purtroppo. Dall’altra parte per me c’è il nulla, meglio seminare bene qui”.

 
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