Chiara Ferragni, sciogliere Cupio – .

Chiara Ferragni, sciogliere Cupio – .
Chiara Ferragni, sciogliere Cupio – .


Il crollo di Chiara Ferragni ha qualcosa di tragico perché è sconcertante come al solito cupio dissolversi. Gli sponsor si ritirano uno dopo l’altro, la tua faccia da biscotto viene sostituita da altre facce, più virginali, più accattivanti? I cosiddetti seguaci, che suona meglio di seguaci se non dire idioti, si stanno sbarazzando a ondate, a legioni? Devi affrontare accuse che si moltiplicano continuamente, che vanno dalla frode aggravata alle pratiche commerciali scorrette, fino alla curiosità del fisco sugli assetti societari? Una persona normale resta in trincea a combattere oppure, se è un mascalzone, sparisce, cerca di scomparire.

Ferragni niente di tutto questo: gira il mondo e si filma, per non sentire, tra feste e divertimenti dove balla e salta. Allora si può dire che si tratta di comunicazione e che nel mondo distorto di una ex regina influencer tutto è comunicazione, ma in realtà la questione conserva i tratti di cupio dissolversi, di autodistruzione come “Sansone muore”. Ovvero la differenza sostanziale, tragica, tra l’imprenditore e il prenditore, cioè tra chi è abituato a lottare, a creare, a difendere, e chi si lascia andare in modo stupido e autoreferenziale. Anche l’ultima promessa, l’agenzia comunitaria, che avrebbe dovuto servire a rilanciare l’immagine, cioè salvare il salvabile, getta la spugna, evidentemente esasperata dalla irragionevole presunzione della regina decaduta che pretende ancora di essere sovrano. Era di Los Angeles.

Come l’ex marito Fedez che risponde da qualche altra parte del mondo in una guerra di miraggi tra ragazzini viziati e troppo ricchi. Entrambi hanno detto: i bambini vengono prima di tutto, vi sembra che li stiamo trascurando in un momento come questo. Ma è proprio quello che stanno facendo e anche questo è notevole non per il nostro moralismo ma per quello del capitalismo che, storicamente vituperato perché frainteso, distorto, conservava una formidabile carica di moralismo benefico. Vogliamo dire che fino a poco tempo fa non esisteva capitalismo senza un rispetto almeno superficiale di alcuni valori: creare ricchezza, curare l’ambiente di lavoro, sentirsi obbligati a difendere e far crescere sempre quanto realizzato. Come mi ha detto quel piccolo maestro veneziano, al quale ho chiesto perché diavolo ti ostini ancora a complicarti la vita, a investire, a rischiare visto che lui ce l’ha fatta: “Ma noi avevamo duecento famiglie”, e mi sembrava l’unica soluzione possibile. rispondergli e, detta così, è sembrato anche a me.

Ma la digital taker Ferragni, detta la “bionda insalata”, è una trentenne del qui e ora, la sua filosofia è battere il ferro finché è caldo. Poi il dissolvenza scura. “Eh, ma ha abbastanza soldi per dieci vite”: anche la filosofia di chi la segue non sembra granché. Naturalmente un gioco tanto ambiguo quanto sofisticato la manipolazione delle coscienze è impensabile senza il contributo decisivo della comunicazione. Come motiva, infatti, l’ex divinità Chiara il suo fallimento annunciato? “Piccoli errori di comunicazione.” Cioè la colpa è degli schiavi, io non ho responsabilità, non ho torto, non devo preoccuparmi di capire. Non “ha” duecento famiglie ma duecento marchi, ma non la sopportano più, le tengono la fama di radioattiva, di infame. Come se fosse il capolinea di questa perversa mutazione degli influencer. Lo sappiamo questa comunicazione è stata storicamente imbastardita con l’informazionesi nasconde dietro le fake news, non di oggi.

La svolta avvenne negli anni 80, con la fine del decennio collettivo, delle calde passioni ideologiche, dell’overdose di significati politici – fase, in realtà, largamente preparata almeno dalla seconda parte del decennio precedente. Negli anni ’80 la pubblicità, spinta dall’introduzione della tv commerciale, comincia ad evolversi, a diversificarsi e ad assumere un peso sempre più preponderante. Se fino ad allora si trattava di puntellare un mercato di lettori che funzionava da solo, con gli acquisti in edicola, con il canone Rai senza concorrenti privati, a questo punto si sono innescate dinamiche competitive del tutto nuove; la pubblicità si espande, acquisendo sempre più spazio, dettando di conseguenza le sue regole; alla fine del decennio la persona più ascoltata in redazione non era il direttore del giornale ma il direttore della raccolta pubblicitaria. È lei che governa o condanna un giornale, ed è lei che a questo punto ne dirige e ne modella anche i contenuti. Certe inchieste non vanno più fatte, vanno esaltati sponsor importanti – dietro la foglia di fico di articoli e interviste “seri” -, gli inserti che accompagnano i giornali sono gonfiati e per l’80% sono costituiti da pubblicità, sono vetrine su carta stampata : è proprio da qui che gli influencer più attenti, o meglio guidati, attingono per sviluppare la loro strategia.

Negli anni Novanta questa dinamica continua a crescere, con le reti televisive che drenano risorse pubblicitarie a scapito della carta stampata. Poi, negli anni 2000, l’avvento di Internet per le masse ha cambiato nuovamente tutto. All’inizio vediamo molta confusione, pensiamo che il grosso della raccolta finirà online, invece è la televisione a farla da padrone, mentre il mondo dei giornali continua a perdere. Dopo gli anni Dieci, la comunicazione pubblicitaria si rese conto che il mercato dei contenuti, pur rinnovato dall’inesauribile creazione di nuovi miti, nuovi desideri e nuovi prodotti, si stava avvicinando alla saturazione; a quel punto la pubblicità deve tenere conto di nuovi modelli, si personalizza, si concentra su personaggi riconoscibili, capisce che per sopravvivere ha bisogno di soggetti capaci di influenzare almeno quanto questi ultimi ne hanno bisogno. La fase ulteriore, e si direbbe definitiva, sta nella mutazione genetica, nel mutamento della pelle: la pubblicità non si limita più a proporre il consumo, per indurre ambizioni più o meno realizzabili; non gli basta, forse non è nemmeno più interessato a creare mercati saturi, condizionati da logiche superate; deve diventare etico, deve imporre valori vincolanti, incarnati in figure di riferimento. Se non “consumi” Greta sei contro il pianeta. Se non apprezzi Carola sei razzista e crudele. Se non ti fidi di Chiara sei semplicemente qualcuno che non ha capito, un perdente, un cattivo che, invece di cercare di essere quello, si limita al rancore e alla rinuncia.

È un approccio molto più aggressivo, molto più immanente (oltre che ipocrita, falsa al massimo grado come dimostrano i pandoridi della Ferragni). Perché non è suscettibile di obiezioni, discussioni. Basato su un ricatto morale che ha dietro la forza dell’etica e dei numeri: se attacchi da solo qualcuno che ha venti milioni di follower, come puoi pensare che quei venti milioni abbiano torto? Queste presenze volatili ma incombenti non hanno meno peso di un giornale con la sua storia, il suo pubblico consolidato, la sua affidabilità. Influencer come informazione, con tanto di licenza di credibilità attribuita da improbabili decisori e agenzie. Finché dura.

Il tracollo della Ferragni sembra aver messo in crisi questo sistemasembra chiedere l’ennesima ridefinizione frutto della palingenesi, ma un capitalismo senza ombra di cultura, di valori, di prospettive e, tutto sommato, di intelligenza, un neocapitalismo affidato agli spacciatori di se stessi, dei propri culi e delle proprie miserie, è un un capitalismo al contrario, un capitalismo predatorio che non sembra avere un grande futuro, che rischia di crollare su se stesso secondo un’utopia marxista.

Max Del Papa, 6 maggio 2024

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