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«Ho ballato anche per Vasco e lui era quasi intimorito. Il mio rituale segreto? I pisolini»- Corriere.it – .

«Ho ballato anche per Vasco e lui era quasi intimorito. Il mio rituale segreto? I pisolini»- Corriere.it – .
«Ho ballato anche per Vasco e lui era quasi intimorito. Il mio rituale segreto? I pisolini»- Corriere.it – .

Eleonora Abbagnato è tutto fuoco. «Sono siciliano e sono un vulcano». Fino al 2021 è stata l’unica ballerina italiana (insieme a Carlotta Zambelli, ma in tempi remoti) a diventare étoile all’Opéra di Parigi, che è il luogo dove tutto ebbe inizio, perché fu Luigi XIV a fondare la prima Accademia di danza. Lì impari lo stile, le posizioni, l’eleganza, il gusto, il vocabolario che è il francese nella danza. Sul palco i suoi incontri di vita sono due: Pina Bausch, che a 17 anni l’ha scelta per Il Festival di Primavera, e soprattutto Roland Petit. Dal 2015 è Direttore del Corpo di Ballo dell’Opera di Roma. Ma lei continua a ballare, sarà di gala il 20 giugno al Ravenna Festival, una stella tra le stelle. “I miei ballerini mi chiamano Wonder Woman.”

Come è entrata la danza nella tua vita?
«Mamma aveva un negozio di abbigliamento a Palermo e non avendo dove lasciarmi, al piano di sopra c’era la scuola di danza di Marisa Benassai, lei mi ha lasciato lì. A 4 anni ero già attaccato al bar».

Poi?
«A 10 anni ho iniziato uno stage importante a Montecarlo, allora era una grande scuola, frequentata da Nureyev. Poco dopo Marisa mi ha detto che Roland Petit, il grande coreografo, sarebbe venuto a Palermo per La Bella Addormentata. Stava cercando una bambina. A 14 anni sono entrato nella scuola dell’Opéra di Parigi. Solo italiano. Lo standard era molto alto, mi ha detto il regista, Claude Bessy, vediamo se resisti. È stata Carla Fracci a incoraggiarmi a studiare all’estero».

Hai sofferto di solitudine?
«Sì, certo, me ne sono andato con la mia targhetta appesa al collo. Ma piangevo solo quando non riuscivo a parlare al telefono con mia madre di notte. Non c’erano cellulari. Ricordo la cabina telefonica com’era oggi. Ero socievole, chiacchieravo con gli altri studenti, mi attardavo nei corridoi. Quindi ero sempre l’ultimo in fila indiana davanti allo stand. E non potevo sempre fare chiamate. Alle nove di sera dovevamo spegnere la luce, tutti a dormire. Quando racconto ai miei figli la vita che ho condotto, paragono la scuola dell’Opéra di Parigi a un collegio, che non dovrebbe essere vissuto come una punizione. Ho dei ricordi meravigliosi”.

Black Swan è il film che ci ha mostrato che non è tutto rose e fiori.
«Quel film non mi piace, non ha fatto bene alla danza, non fa innamorare i giovani del balletto. E racconta il falso, capita una volta su mille che il maitre si innamori della ballerina. Ma è vero che la danza è un mondo a parte, pieno di risentimenti e gelosie esasperate. Li ho vissuti anch’io”.

Le hanno messo il dentifricio nelle scarpe?
“Questo n. Ricordo però che a una gara due bambine entrarono negli spogliatoi e scherzando mi dissero che non mi avevano preso. La mia maestra a Parigi mi bucava le natiche con un ago perché inarcavo troppo la schiena, la mia schiena è molto elastica. I grandi maestri entravano in classe con un bastone: a non darcelo, era il senso dell’autorità. Ancora intimidatorio. Era un’altra epoca, oggi i maltrattamenti non sono neanche lontanamente possibili, gli studenti, soprattutto in America, non li puoi nemmeno toccare fisicamente finché non ti arriva una denuncia. Ed è esagerato, bisogna spiegare il rigore nel modo giusto. Oggi un direttore di danza deve essere anche uno psicologo. Gli elementi negativi non sono gli alunni ma le madri. Ci sono protagonisti esagerati».

Cosa le è successo?
«All’Opera di Roma ho ricevuto lettere anonime. Poi ho avuto minacce di morte nei giorni in cui, usando l’acido, hanno bruciato il volto del direttore del Bolshoi. Non ero a Mosca ma ero emotivamente esausto. Quando ero étoile a Parigi arrivò una lettera che diceva: sbarazziamoci della mafia siciliana».

Vive in una piccola tribù. Ha due figli, Julia di 10 anni e Gabriel di 8 anni; più i due figli che Federico Balzaretti ha avuto nel suo primo matrimonio, Lucrezia ha 17 anni e Ginevra 14.
«Non sono la mamma di Lucrezia e Ginevra ma le ho cresciute. È una storia particolare, Federico aveva l’affidamento esclusivo».

E la loro madre biologica?
«Aveva altro da fare.»

Com’è crescere figli che non sono i tuoi?
«È più difficile, hai il pensiero che forse stai sbagliando qualcosa, o che gli stai facendo perdere qualcosa. Le amo, è come se fossero mie figlie. Ma se non studiano mi arrabbio, se si comportano male li rimprovero e mi tolgo il cellulare. Ho sempre amato i bambini, da bambina giocavo a fare la mamma, mio ​​padre aveva sei fratelli e sorelle, una grande famiglia siciliana».

La chiamano mamma?
«Non mi piace essere chiamata così, ma sì, la piccola mi chiama mamma, la più grande mi chiama Ele. Aveva un anno e mezzo quando l’ho vista per la prima volta. È molto legata a Federico, che è un padre fantastico. Ed è stato sincero fin dal primo giorno. La prima cosa che mi ha detto il giorno in cui ci siamo conosciuti (tramite Nino, un amico comune che fa il parrucchiere), è stata che la sua priorità erano le figlie. Sono stato cauto, era diventato padre così giovane, a 21 anni… Ho saputo poi che aveva rinunciato a trasferirsi a Milano e Napoli per le figlie. Federico gli rispondeva ogni mese».

sei interessato al calcio?
«Lui ha sempre fatto parte della mia vita, mio ​​padre è stato presidente del Palermo e mio zio direttore sportivo del Catania, mio ​​nonno materno giocava».

E i suoi due figli?
«Siamo fortunati, loro quattro si amano, non c’è gelosia. Gabriel gioca a calcio nei pulcini della Roma, Julia è alla scuola di ballo dell’Opera di Roma. Non è originale come percorso. Ha un carattere forte, è generosa, sincera, diretta. Ci assomigliamo. La portavo in tutti i teatri, non so se poi farà la ballerina. Si è già lamentata di non essere al centro della scena. Ho risposto che non lo ero neanche io, ho lottato per esserlo”.

Ma essere al centro della scena ti fa sentire solo?
«Sì, c’è la solitudine dei numeri primi. Mi ha colpito quando dovevo ballare sapendo di non essere al top, o dovendo interpretare ruoli che non erano adatti a me. E tutti gli occhi sono puntati su di te, la stella. Gli altri mi vedevano così, ma certe sere non mi sentivo proprio pronto”.

Con Federico è stato amore a prima vista?
Secondo il nostro comune amico, siamo simili nel carattere. È vero, abbiamo gli stessi valori, lui è un uomo d’altri tempi, ma lui è più riservato per temperamento, io sono ossessivamente ordinato. Se qualcuno mi sposta un oggetto impazzisco, i vestiti nei cassetti sono ordinati per colore, rosso con rosso e così via. Sono ossessiva anche nelle docce: ne prendo tre al giorno».

Il primo incontro con Federico?
«È successo alla mia cena a Palermo, c’era anche mio padre. Ci siamo conosciuti, dopo un anno mi ha chiesto la mano, a casa mia a Parigi, a Montmartre. Aveva acceso non so quante candele. Avevo paura che prendesse fuoco tutto». Lui ride: “Ho detto subito di sì, hai mai visto che non me lo chiedeva più”.

Cosa ti ha colpito di Federico?
“Una lettera. Quando morì mia nonna paterna, Eleonora, mi scrisse che capiva la mia sofferenza, e che la famiglia era per lui un punto fondamentale. Adesso è dirigente sportivo del Vicenza, io vivo a Roma con i miei figli. Ci vediamo nel fine settimana. Il problema è che non sono un tipo da telefono. Ci mandiamo tanti messaggi, anche per rafforzarci. Non è una situazione facile”.

Di tanto in tanto fa incursioni in altri mondi.
«Tutto quello che serve per diffondere la danza. Ho fatto l’attrice per Ficarra e Picone; in tv, Amici, Sanremo, Ballando con le stelle; Ho partecipato a un videoclip di Vasco Rossi, me lo ricordo seduto in un angolo, discreto, quasi intimorito. Non me l’aspettavo, mi ha sorpreso».

Ci sono ancora pregiudizi sull’omosessualità nella danza?
“Meno, ma non scompaiono mai del tutto. All’estero sono avanti».

Riti e superstizioni prima di salire sul palco?
“Se non dormo venti minuti subito prima dello spettacolo, non posso ballare.”

Parla al presente, come se fosse ancora Giselle… Com’è stato il suo addio al palcoscenico parigino?
«Lungo, direi che si è consumato in tre atti. Il primo anno c’è stata la pandemia e non si è ballato. L’anno successivo ci furono scioperi dei gilet gialli in Francia. Il vero addio è stato il 30 giugno 2021, quando ho compiuto 42 anni. Età pensionabile all’Opera di Parigi. Ho fatto una festa invitando parenti, amici, vecchi compagni, insegnanti».

In Italia a che età ti fermi?
«A 46 anni. Mi chiedi se sono troppi? Un po'”.

Com’è dirigere un corpo di ballo nel nostro Paese, dove i teatri di danza sono sempre pieni ma il riconoscimento sociale pari a zero?
«A Roma è stato faticoso perché l’Opera veniva da un periodo difficile. Siamo partiti da zero, ringiovanendo, rispolverando il repertorio. Ma è interessante, c’è così tanto da costruire, quando arrivano grandi coreografi non vogliono andarsene. Sono riuscito a creare un corpo di ballo come volevo. Il ballo è Cenerentola ma ha i maggiori successi, e con un pubblico giovane. Il questore, Francesco Giambrone, palermitano come me, mi conosce da quando ero bambino, mi capisce quando parlo, è una persona dal cuore grande».

Ma è difficile smettere?
“Sì, tantissimo, da un giorno all’altro ti chiedono di restituire la chiave della stanza dove ci sono i ricordi di una vita.”

Come ti vedi tra dieci anni?
“È difficile per me pensare a una situazione senza teatro.”

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