Ambasciatore Amirbayov (Azerbaigian), “venga il giorno in cui armeni e azeri potranno vivere insieme come buoni vicini” – .

Ambasciatore Amirbayov (Azerbaigian), “venga il giorno in cui armeni e azeri potranno vivere insieme come buoni vicini” – .
Ambasciatore Amirbayov (Azerbaigian), “venga il giorno in cui armeni e azeri potranno vivere insieme come buoni vicini” – .

Negli ultimi giorni sono numerosi gli appelli di Papa Francesco per l’avvento di una pace duratura nel Caucaso meridionale. Appelli con particolare riferimento alla “grave” situazione umanitaria degli sfollati dall’ex Nagorno Karabakh e alla tutela dei monasteri e dei luoghi di culto della regione. Il Sir ne parla con l’ambasciatore Elchin Amirbayov, rappresentante presidenziale con incarichi speciali e primo ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede (2005 – 2017), attualmente in visita in Vaticano.

Elchin Amirbayov, rappresentante presidenziale con incarichi speciali e primo ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede (foto dell’Ambasciata)

Appelli per una pace duratura nel Caucaso meridionale, con particolare riferimento alla “grave” situazione umanitaria degli sfollati dall’ex Nagorno Karabakh e alla tutela dei monasteri e dei luoghi di culto della regione. È Papa Francesco a lanciarli costantemente e periodicamente. – chiede il Sir all’ambasciatore Elchin Amirbayovrappresentante presidenziale con incarichi speciali e primo ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede (2005 – 2017), in visita in questi giorni in Vaticano, per rispondere alle parole del Papa.

Il Papa chiede che i colloqui possano favorire “un accordo duraturo” che possa soprattutto porre fine alla crisi umanitaria. A che punto è il dialogo tra Azerbaigian e Armenia? Quali passi necessari da intraprendere?
Innanzitutto, apprezziamo molto l’attenzione prestata da Sua Santità Papa Francesco al raggiungimento della pace tra Armenia e Azerbaigian. Il dialogo tra Baku e Yerevan prosegue in varie forme e con spirito positivo. Va ricordato che è stato l’Azerbaigian ad avviare i negoziati di pace e il progetto di accordo di pace quasi due anni fa, e da allora sono stati compiuti importanti progressi. Gli ultimi sviluppi positivi sono stati possibili dopo che lo scorso settembre l’Azerbaigian ha ripristinato pienamente la sua sovranità e integrità riconquistando il controllo effettivo sulla regione di Garabagh. Oggi siamo fiduciosi di poter raggiungere, insieme all’Armenia, tutti i nostri restanti obiettivi attraverso mezzi politici e in un periodo di tempo relativamente breve. Due settimane fa, l’Armenia ha accettato di ritirare le sue forze dai restanti quattro villaggi azeri occupati nella regione nordoccidentale di Gazakh e subito dopo abbiamo iniziato il processo bilaterale di delimitazione e demarcazione di quello che diventerà il confine di stato tra i nostri due paesi. Parallelamente, l’Azerbaigian continua risolutamente i suoi sforzi su larga scala per la ricostruzione e la riabilitazione di tutti i suoi territori che sono stati devastati da un conflitto illegale e da un’occupazione durata tre decenni.

Nell’Angelus del 15 ottobre 2023, il Papa ha espresso l’auspicio che le autorità e gli abitanti di quella Regione possano «essere rispettati e tutelati come parte della cultura locale, espressione di fede e segno di una fraternità che ci permette di vivere insieme in differenze”. A questo punto, come favorire questo processo di ritorno alle nostre case?
Vorrei iniziare chiarendo che la decisione di lasciare il territorio della regione di Garabagh dell’Azerbaigian all’Armenia è stata una decisione che tutti coloro che se ne sono andati hanno preso da soli, nonostante i numerosi appelli delle autorità azere a restare. Nonostante la campagna di disinformazione lanciata dall’Armenia contro di noi subito dopo la giornata di operazione antiterrorismo, l’Azerbaigian aveva consigliato alla popolazione civile locale di non andarsene e di integrarsi pacificamente nella nostra società. Molti di coloro che se ne andarono furono in realtà “fortemente incoraggiati” a farlo dai leader dei separatisti illegali locali, che si opponevano alla coesistenza pacifica di armeni e azeri in quella regione dell’Azerbaigian. Come le autorità azere hanno ripetutamente affermato in precedenti occasioni, il diritto di tutte le popolazioni sfollate a ritornare volontariamente alle proprie case, indipendentemente dal fatto che siano di origine armena o azera, dovrebbe essere rispettato su base di reciprocità. Non dimentichiamo che più di 250mila civili azeri furono sottoposti a pulizia etnica in Armenia proprio all’inizio del conflitto, alla fine degli anni ’80.

Nello stesso Angelus il Papa ha rivolto anche “un particolare appello a favore della tutela dei monasteri e dei luoghi di culto della regione”. Cosa sta facendo il suo governo per proteggere i luoghi di culto cristiani in quella terra?
Tutti i luoghi di culto sul territorio dell’Azerbaigian, indipendentemente dalla loro origine religiosa, costituiscono parte del nostro ricco patrimonio culturale e religioso che riflette la natura multietnica e multiculturale della nostra società. E il nostro governo prende sul serio il dovere di proteggere ogni singolo sito religioso senza alcuna discriminazione. Dalla fine della seconda guerra di Garabagh nel novembre 2020, le autorità competenti dell’Azerbaigian hanno effettuato l’inventario di tutti i monumenti culturali e religiosi nei territori che erano sotto occupazione straniera illegale e sono stati colpiti dal conflitto. Quelli che sono sopravvissuti a due guerre e sono stati danneggiati vengono ora ricostruiti, ma purtroppo molti monumenti culturali e religiosi sono stati completamente distrutti dalle forze di occupazione. 65 delle 67 moschee di Garabagh e di altri territori precedentemente occupati furono rase al suolo.

Papa Francesco, in un mondo fortemente segnato da conflitti e crisi, è forse l’unico che mantiene ancora viva l’attenzione su questa crisi. Cosa pensa della “parola” del Papa e soprattutto quale “ruolo” possono svolgere i cristiani in quelle terre? C’è spazio per loro?
Come accennato in precedenza, noi in Azerbaigian apprezziamo molto l’attenzione prestata da Papa Francesco ma anche da molti altri dignitari di alto livello in tutto il mondo alla questione della pace e della normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian. L’Azerbaigian è un paese laico orgoglioso della sua diversità culturale e religiosa, dove per secoli musulmani, cristiani, ebrei e rappresentanti di altre fedi hanno vissuto in armonia e amicizia gli uni accanto agli altri. Crediamo fermamente che il trattato di pace che, si spera, possa essere concluso presto tra i nostri paesi, non solo porrà formalmente fine a uno dei conflitti etnici più lunghi e tragici del mondo, ma aiuterà anche a costruire la fiducia tra armeni e azeri e consentirà loro di vivere insieme bene. vicini e, un giorno, si spera, come amici.

 
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