Israele e Hamas non sono mai stati così vicini alla tregua. L’accordo in 3 punti – .

Israele e Hamas non sono mai stati così vicini alla tregua. L’accordo in 3 punti – .
Israele e Hamas non sono mai stati così vicini alla tregua. L’accordo in 3 punti – .

Un accordo in tre fasi in cui, secondo quanto riportato dai media, gli Stati Uniti garantirebbero (ma Israele smentisce) il ritiro completo delle truppe israeliane da Gaza in 124 giorni. Eccolo il punto sul quale per la prima volta dall’inizio del conflitto Israele e Hamas sono vicini, molto vicini.

Nella prima fase, che potrebbe durare 40 giorni, verrebbero rilasciati 33 ostaggi (su 132) e l’esercito si ritirerebbe. Gli sfollati potevano ritornare, senza limitazioni, nelle zone di origine. Nella seconda faseche si estenderebbe fino a 42 giorni, i restanti ostaggi vivi verrebbero rilasciati (non è chiaro quanti siano) e le parti concorderebbero le condizioni per un cessate il fuoco definitivo. Nell’ultima fase, che potrebbe durare fino a 42 giorni, verrebbero restituiti i corpi degli ostaggi morti (sarebbero decine). L’accordo prevede anche il rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi

Le mediazioni e il ruolo degli USA

Con il capo della CIA William Burns arrivato al Cairo per mediare di persona, Hamas e Israele si trovano di fronte a un ultimatum non dichiarato. Il fallimento sarebbe un boomerang per entrambi. Con Hamas che, sotto la pressione degli Stati Uniti, vede il Qatar minacciare di sfratto Hanyeh e gli altri leader fuggiti a Doha, e Tel Aviv che potrebbe perdere definitivamente il sostegno incondizionato americano, quando le università americane sono in subbuglio e Joe Biden non può chiudere il suo mandato sotto la bandiera della repressione.
Nel bel mezzo dello “Shabbat” la delegazione israeliana non si è mossa fino al tramonto. I funzionari di Tel Aviv restano ancora al Cairo, ma l’accordo dovrà essere siglato con un patto al massimo livello: i mediatori del Cairo e del Qatar con i vertici dei servizi segreti israeliani e statunitensi, faccia a faccia con i vertici di Hamas. Israele ha dato il suo assenso preliminare ai termini che, secondo una fonte, includono la restituzione di un numero compreso tra 20 e 33 ostaggi in cambio del rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi e della sospensione dei combattimenti per alcune settimane. A Gaza rimangono circa 100 ostaggi, alcuni dei quali, secondo Israele, sono morti durante la prigionia.

Ma secondo i media israeliani «rimangono alcuni ostacoli avanzati dai palestinesi», anche se secondo Axios «ci sono le prime indicazioni che Hamas alla fine accetterà di portare avanti la prima fase dell’accordo – la liberazione umanitaria degli ostaggi – senza un impegno ufficiale con Israele a porre fine alla guerra”. L’insistenza del primo ministro Benjamin Netanyahu affinché Israele entri a Rafah è un altro “elemento chiave del negoziato”. Fonti di Hamas hanno ribadito che qualsiasi raggiungimento di un cessate il fuoco “significa che non ci saranno più attacchi contro Gaza e Rafah”. La richiesta è stata respinta da Tel Aviv, ma Taher Al-Nono, funzionario di Hamas e consigliere del capo del leader politico Ismail Haniyeh, nel pomeriggio aveva confermato gli incontri con mediatori egiziani e qatarioti, assicurando che l’organizzazione sta affrontando le loro proposte «con tutta serietà e responsabilità. Quindi c’è spazio di manovra. Anche se «qualsiasi accordo venga raggiunto dovrà includere le nostre richieste: la fine completa e permanente dell’aggressione, il ritiro totale e completo dell’occupazione dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati alle loro case senza restrizioni e un vero accordo di scambio di prigionieri , così come la ricostruzione e la fine del blocco”. Parole che vengono interpretate con l’intento di alzare il prezzo e cercare di ottenere una reciprocità: tregua temporanea concessa da Israele, in cambio di aiuti e della liberazione di Marwan Barghouti.

E’ il nome che circola da tempo sul tavolo delle trattative. Israele ha sempre detto no, e l’Autorità Palestinese è rimasta fredda di fronte a questa ipotesi, preferendo parlare del rilascio di “tutti i prigionieri politici palestinesi e di nessuno”. Ma la proposta di Hamas ha preso piede nelle ultime settimane, e da Israele è filtrata una controproposta: liberare Barghouti a condizione che vada a Gaza e non in Cisgiordania. Un modo per mettere in difficoltà Yahya Sinwar, che guida le operazioni militari di Hamas. Lo stesso Barghouti ha condannato più volte dal carcere l’attentato del 7 ottobre. “I civili devono essere tenuti fuori dalla scena”, ha detto l’ex leader di Fatah, la forza politica dominante in Cisgiordania. E mentre in serata sono riprese in tutto Israele le manifestazioni contro Netanyahu, in Cisgiordania altri 5 palestinesi sono stati uccisi durante un raid israeliano a Tulkarem.

 
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