Dare informazioni sulla “dolce morte” in Svizzera non è incitamento al suicidio – .

Dare informazioni sulla “dolce morte” in Svizzera non è incitamento al suicidio – .
Dare informazioni sulla “dolce morte” in Svizzera non è incitamento al suicidio – .

Non ci sono prove che il presidente dell’associazione Uscite dall’ItaliaEmilio Coveri, in qualche modo lo ha fatto rafforzato IL intenzione suicida di Barbara Giordano – insegnante quarantenne affetta dalla sindrome di Eagle – durante la conversazione telefonica del 2019 in cui chiedeva informazioni su suicidio assistito in Svizzera. La Corte di Cassazione, sentenza n. 17965 depositata oggi, ha così accolto, con rinvio, il ricorso dell’imputato avverso la sentenza inflittagli dalla Corte d’Appello di Catania tre anni e quattro mesi di reclusione per istigazione al suicidio. In primo grado il Gup lo aveva assolto perché il fatto non sussiste.

V Sezione Penale la Corte Territoriale lo critica ripetutamente, evidenziando “molteplici lacune e fratture logiche” nell’apparato argomentativo, anche a prescindere dall’obbligo di motivazione rafforzata che sarebbe stato richiesto in vista della ribaltamento dell’assoluzione.

Per integrare il reato previsto dall’art. 580 c.p., è necessaria una fattispecie impropria multisoggettiva, spiega la Corte, che deve necessariamente coniugare “l’atto autolesivo del soggetto passivo (di per sé non punibile) e la condotta del soggetto attivo soggetto del reato, che deve risolversi in una forma di istigazione, cioè nella determinazione o nella rafforzare la volontà suicida degli altrio per facilitare l’esecuzione del suicidio”.

La condotta di partecipazione morale – contestata all’imputato – rappresenta, quindi, sul piano condizionale, un mero antecedente necessario dell’evento, che influenza, sul piano psicologico, la determinazione del soggetto passivo a compiere il gesto autolesivo. Per essere tipico, però, deve presentare un “finalismo intrinseco” orientate all’esito finale, altrimenti si rischierebbe di ampliare il perimetro oggettivo della fattispecie fino a comprendere qualsiasi condotta che abbia comunque suscitato o rafforzato la volontà suicidaria altrui, comunque liberamente formata.

Ricostruito così il quadro, la sentenza impugnata “appare del tutto inadeguato” nel ricostruire le responsabilità dell’imputato. La Corte, infatti, avrebbe dovuto innanzitutto spiegare in quali termini le parole pronunciate “devono ritenersi specificatamente orientate a rafforzare la volontà di suicidio di Giordano – superando così ogni resistenza – e non rappresentano piuttosto la generica manifestazione delle astratte opinioni di l’imputato in fin di vita”. Senza contare che l’unica ricostruzione della conversazione è proprio quella fornita dallo stesso imputato che però ne offre una lettura completamente diversa.

Né si può attribuire a Coveri, come fatto surrettiziamente, un “sorta di posizione collaterale” nei confronti di coloro che si rivolgono all’associazione, a causa dei quali non avrebbero la possibilità di esprimere il proprio parere sul fine vita.

Ma, continua la Corte di Cassazione, le “lacune motivazionali e le aporie” sono ancora maggiori nei confronti di nesso eziologicoaffidato ad a sillogismo: a causa della sofferenza e del conseguente stato depressivo, Giordano era un soggetto fragile, quindi vulnerabile e quindi suscettibile di influenze e di fatto influenzato dai discorsi di Coveri durante l’originario contatto telefonico del dicembre 2017.

Invece, ai fini del giudizio condizionale, il “intervallo di tempo significativo” tra il contatto telefonico – nel dicembre 2017 – e l’esecuzione del suicidio, nel marzo 2019. È chiaro, scrive la Corte, che, se la presunta condotta istigatrice risale a molto tempo prima dell’esecuzione del suicidio, si tratta di necessario valutarne con estrema cautela l’effettiva natura condizionante anche in considerazione delle ragioni per cui il proposito suicidario si è perfezionato solo dopo molto tempo.

Per non parlare del fatto che io i contatti con l’associazione si erano interrotti nell’agosto 2018 mentre nel gennaio 2019, a seguito di un nuovo ricovero, la sofferenza è aumentata. La condanna quindi non ha dimostrato l’effettiva influenza della conversazione del 24 dicembre 2017 sulla decisione. E infatti – commenta la Commissione – “l’unico dato certo offerto dalla sentenza è che, a seguito di questa conversazione, Giordano ha acquisito le informazioni necessarie per contattare la clinica svizzera e avviare la pratica del suicidio assistito”.

Infine, conclude la Corte di Cassazione, anche ammettendo che il comportamento dell’imputato corrisponda a quello tipico, la Corte avrebbe dovuto evidenziare le ragioni per le quali egli “non può assolutamente avendo agito solo imprudentemente e, qualora ritenesse che il dolo si sia verificato nella sua possibile forma, se e per quali ragioni possa ritenersi che l’imputato si fosse chiaramente rappresentato la significativa possibilità del verificarsi dell’evento concreto e tuttavia, considerato lo scopo perseguito e le possibile prezzo da pagare, è determinato ad agire comunque, anche a costo di provocare l’evento dannoso”.

 
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