Inondazioni catastrofiche nell’Africa orientale. Il Kenya è il paese più colpito – .

Inondazioni catastrofiche nell’Africa orientale. Il Kenya è il paese più colpito – .
Inondazioni catastrofiche nell’Africa orientale. Il Kenya è il paese più colpito – .

Oltre 500 morti e più di 230mila sfollati nella regione a causa degli effetti della crisi climatica

Inondazioni catastrofiche nell’Africa orientale. Il Kenya è il Paese più colpito

Le piogge torrenziali che da settimane colpiscono la vasta regione dell’Est e del Corno d’Africa hanno causato enormi danni all’ambiente e alle economie dei Paesi colpiti, con ripercussioni drammatiche sulle popolazioni. In Kenya e Tanzania l’allarme riguarda ora anche il rischio di epidemie e penuria alimentare

Alla fine della scorsa settimana, circa 500 persone erano già morte a causa delle inondazioni causate dal El Niño, il fenomeno atmosferico periodico che colpisce con sempre maggiore violenza anche le regioni orientali dell’Africa. 228 decessi sono stati confermati solo in Kenya (al 5 maggio), almeno 155 in Tanzania, i due paesi finora più colpiti.

La stima è ancora, purtroppo, assolutamente parziale. Non si tiene ovviamente conto di quelle degli ultimi giorni, in cui sono continuate piogge torrenziali, e in particolare di quelle provocate dal ciclone Hidaya, il più forte mai registrato nella regione bagnata dall’Oceano Indiano meridionale, che ha colpito in particolare l’Isola di Mafia. , al largo della costa della Tanzania, lo scorso fine settimana.

Ma problemi più o meno rilevanti si sono verificati anche a Gibuti e in Somalia, Ruanda, Burundi, Etiopia, Uganda, Eritrea, Sud Sudan. Cioè in tutti o quasi i Paesi della vasta regione dell’Est e del Corno d’Africa, secondo il servizio meteorologico fornito dall’IGAD, l’organizzazione per lo sviluppo regionale, che in un comunicato del 26 aprile si dice a disposizione collaborare con gli Stati membri per affrontare le crescenti sfide climatiche attraverso strategie di mitigazione dei danni e di adattamento alle nuove condizioni.

Evidenzia inoltre la necessità di una stretta collaborazione regionale. “Lavorare insieme è la nostra risorsa più forte per affrontare le sfide che affrontiamo e costruire un futuro resiliente per le generazioni future”.

La dichiarazione dell’IGAD afferma in sostanza che l’evento meteorologico che ha devastato la regione nelle ultime settimane non può essere considerato episodico ed eccezionale a causa della crisi climatica che presenterà sfide sempre crescenti. E un elenco di danni di cui i Paesi della regione, non certo tra i maggiori responsabili della situazione, difficilmente riusciranno a pagare il conto.

Secondo i dati parziali dell’OCHA, l’organizzazione delle Nazioni Unite che coordina gli interventi di emergenza, sono complessivamente 637mila le persone danneggiate dalle inondazioni nei Paesi dove sono già state organizzate le operazioni di soccorso; 237mila hanno dovuto abbandonare le proprie case distrutte dalla furia della pioggia, delle alluvioni e degli smottamenti.

Intanto cominciano le epidemie. Negli ultimi mesi sono stati confermati 44mila casi di colera, ma il contagio potrebbe esplodere nelle prossime settimane. Le alluvioni hanno infatti fatto straripare latrine e fognature a cielo aperto che si trovano non solo nelle zone rurali e nelle baraccopoli, ma anche nei quartieri residenziali, popolari e non, di molte città, tra cui Nairobi, la più sviluppata e moderna nella regione .

Per non parlare delle carcasse di animali uccisi dalla forza dell’acqua che sarà molto difficile rimuovere in modo igienicamente sicuro. Migliaia di animali domestici, bestiame e animali selvatici sono caduti vittime dell’alluvione e stanno marcendo nei campi e nelle pianure allagate.

Il Kenya è il Paese più colpito

La fauna selvatica del parco nazionale Masai Mara in Kenya è stata particolarmente colpita, con danni all’ambiente e all’economia del Paese che potranno essere valutati con precisione solo in futuro. L’alluvione del parco è stata una terribile avventura anche per i numerosi turisti ospiti dei resort di lusso situati al suo interno che hanno potuto essere portati in salvo solo da elicotteri.

Non si contano i danni alle infrastrutture fondamentali per la viabilità e i servizi di base per la popolazione. Numerosi ponti sono crollati, le strade sono state spazzate via, i viadotti hanno riportato danni strutturali da analizzare, scuole e centri sanitari nelle zone rurali sono stati allagati o sono diventati centri di soccorso degli sfollati.

In Kenya la situazione è tale che le scuole primarie e secondarie sono state chiuse a tempo indeterminato in tutto il Paese. La comunicazione è stata data dallo stesso presidente William Ruto il 3 maggio, nel corso di un discorso alla nazione in cui ha anche detto di vigilare perché “il peggio potrebbe non essere ancora arrivato”.

In effetti, le previsioni meteorologiche promettono più giorni, se non settimane, di piogge torrenziali. Ora l’allarme riguarda soprattutto il livello raggiunto dall’acqua nei bacini di numerose dighe e dighe. Si temono altre tragedie come quella di Mai Mahiu, nella zona di Naivasha, dove lo straripamento di un bacino ha travolto i villaggi a valle provocando una settantina di morti accertati e diverse decine di dispersi, sepolti sotto la massa di fango trascinato dall’acqua.

Per questo il presidente ha ordinato l’evacuazione di tutte le zone a rischio frane e alluvioni. Il provvedimento riguarda centinaia di migliaia di persone che saranno in parte ospitate nei 138 campi profughi aperti finora in 18 delle 47 contee del Paese. Ma potrebbero essere necessari molti altri per soddisfare il crescente bisogno.

Rischio alimentare

La previsione forse più preoccupante, però, riguarda la disponibilità di cibo. Il settimanale regionale L’Africa orientale N. 1540 del 4 maggio dedica al tema l’intera prima pagina e alcune pagine interne. La prima pagina introduce con il titolo Preparati alla fame (Prepariamoci alla fame), poiché le alluvioni hanno distrutto i raccolti, molte attività produttive e quindi i mezzi di sussistenza di una parte considerevole della popolazione.

Sarebbe una conseguenza ben nota di una crisi climatica come quella vissuta nelle ultime settimane. Lo dice il Rapporto globale sulla crisi alimentare dell’ONU, diffuso nei giorni scorsi e citato da un articolo online del quotidiano tedesco Deutsche Welle che prosegue ricordando che “storicamente, in Africa diversi periodi di scarsità alimentare sono stati collegati a El Niño, come la crisi alimentare del 1982-1984, la più grave che si ricordi”.

Si stima che allora centinaia di migliaia di persone morirono di fame nel Corno d’Africa e nel Sahel. Anche altri periodi di carestia nella regione sarebbero legati a fenomeni meteorologici legati a El Niño o al suo opposto, La Niña, come durante la siccità degli anni 2020-2023.

Sembra quindi che, nonostante il passare degli anni e il miglioramento delle tecniche e dei mezzi per prevedere le emergenze climatiche, poco sia cambiato nell’affrontare le conseguenti crisi alimentari. Dio non voglia che anche questa volta si debba sperimentare la carestia dopo aver vissuto la catastrofe dell’alluvione.

 
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