Fabio Genovesi ha scritto un libro poetico e potente (438 pagine), di quelli, rarissimi, il cui solo finale vale la lettura delle pagine che lo precedono. E apre un nuovo mondo. Siamo nel 1492, a Palos, porto paludoso nel sud della Spagna, e se già pensi di intuire il perché, non ti sbagli di molto. Oro zecchino (Mondadori, in libreria dal 6 giugno) è un romanzo storico atipico, collocato in uno di quei momenti fondamentali della cronologia occidentale, di quelli che tutti abbiamo memorizzato, dove la storia fa un prima e un dopo: la nascita di Gesù, la Rivoluzione francese e quando Cristoforo Colombo, appunto, scopre l’America.
Per dirci come inizia l’Occidente, dopo un doppio esergo che intreccia jazz e poesia curda, è Nuno, ragazzo mezzo spagnolo e mezzo portoghese (che poi scopre di non essere né l’uno né l’altro) figlio di una prostituta ebrea che tutti chiamano la Vedova, o la Gallega. Cresce in una casetta dove, dopo il tramonto, compaiono marinai, mercanti e notabili della città, mentre di giorno esce in strada a scrivere lettere per chi non sa scrivere, ma ha cose da dire, giuramenti da fare , promette di buttarsi a mare o anche solo di aspettare che qualcuno gli legga le risposte che ha ricevuto. Lui è la Vedova, vestita di nero per non dar fastidio, che insegna a Nuno a leggere e scrivere, e gli dona così un talento speciale che userà, non appena capirà che scrivere è vivere, sentire, trovare, prendere e dare. E soprattutto, che è roba da cuore, come batte e ti fa respirare. E se la madre di Nuno è sempre vestita di nero, zia Blanca è l’esatto opposto di lei, e se uno se ne va troppo presto, l’altro lo aspetterà quando tornerà a casa. Quando Nuno è giovanissimo, entrambi portano sulla veste il fiocco giallo ebraico, come fu loro ordinato dai cattolicissimi Re e Regina di Spagna, con l’intercessione di Torquemada: è l’anno in cui agli ebrei viene dato tempo fino a quando Luglio per convertirsi, lasciare la Spagna o rischiare la vita.
Nuno, a modo suo, sceglie di partire, ma sceglie la rotta del mare: Ha sedici anni e mezzo ed è triste, di una tristezza molto diversa da quella che si prova quando si devono salutare le persone che si amano. La sua tristezza è quella di chi, tornando indietro per dare un’ultima occhiata alla sua casa, vede che non c’è nessuno a cui salutare. Il mare è blu, enorme e sconosciuto. E sul mare c’è un’altra Gallega, una nave che porta lo stesso nome della madre (e che, non sfugga all’ironia, è sia il soprannome che in giro per Siviglia viene dato alle prostitute, sia il soprannome della Santa Maria) . Ma è così: la nave è una persona, ci dice Nuno. E come tale devi imparare a trattare con lei.
È Alonso che lo porta a bordo con un trucco. È uno dei marinai a bordo, l’ultimo degli ultimi, ma che ha bisogno di uno ancora più ultimo di lui. Dì che sei amico di Juan, consiglia, un grande amico di Juan, hai capito? E Nuno, non subito, ma capisce, anche se non sa chi è Juan, né cos’è un mozzo, né cosa vuol dire andare per mare. Il suo stomaco lo scoprirà per primo. Poi scoprirà tutto il resto. Dove stanno andando? lei chiede. In che direzione? Andiamo a morire, gli dice l’amico, che è la frase usata dai marinai per dire: alla gloria! E a bordo, parlando una lingua di oggi, saporita come una serie Netflix, Nuno conosce non solo Alonso, ma Domenico, che balbetta, la Scimmia, e Biondo, che custodisce segreti insospettati, e via via gli altri uomini a bordo, gli ufficiali, i capitani e, infine, l’ammiraglio. E per ognuno di loro ha un pensiero, un’intuizione, un’esclamazione. Soprattutto, da semplice hub, si rivelerà fondamentale il suo talento per le lettere e il fatto che sa leggere una carta nautica. È lui che, poche settimane dopo la partenza, grida per primo «Terra! Terra!», ma quello che vede non è il Nuovo Mondo, sono solo le Isole Canarie. E quando le tre caravelle si fermano per fare l’ultimo rifornimento Nuno capisce che da parte di padre deve essere un mezzo guancia, un abitante delle isole, e forse per questo sente il richiamo del mare. Ed è a questo punto che il romanzo mescola abilmente le carte: partono, viaggiano, arrivano, esplorano.
Ma a Nuno non interessa la grande storia, sono interessati le storie delle persone, degli uomini a bordo, i loro legami ei loro sentimenti, è interessante sapere perché la zia Blanca lo aveva messo in guardia così tanto dall’innamoramento. Ma quando se lo chiede, è già troppo tardi. Ciò che palpita ed è interessante nell’attraversare e sbarcare non sono tanto i fatti oi personaggi della storia, ma lo sguardo che Nuno ha per ognuno di loro. Come nel momento in cui egli, incredulo, osserva lo sbarco degli spagnoli davanti alla giungla del Nuovo Mondo, trafitto dagli occhi degli indigeni nascosti nell’ombra umida e cupa. In quella mattina fuori dal mondo e dal tempo, ci racconta, che avrebbe cambiato per sempre il mondo e il tempo, tra terra e mare, piante e animali, pesci e uccelli e occhi che non si erano mai visti né sognati, uno di signori eleganti – almeno secondo gli standard spagnoli – in modo molto scrupoloso, si mette a leggere ad alta voce e a firmare un atto notarile. È l’atto con cui si impossessano di un mondo intero. E in questo supremo gesto burocratico c’è l’assurdo splendore della scrittura e del documento, della mappa che determina il mondo, e non il suo contrario. C’è l’infinita arroganza europea di chi sente Dio senza alcun dubbio dalla sua parte. Ma, in quella fitta foresta c’è anche, su Nuno, il primo scorcio di una ragazza, che di lì a poco diventerà Lei, Lei, la donna assoluta, come quella immaginata da Henry Rider Haggard nel profondo di un altro romanzo, in un altro giungla inestricabile.
È qui che comincia a trasparire il senso pieno del romanzo, e il suo titolo, Oro zecchino. Dov’è, oro puro? Forse, ci dice Nuno, nelle pagine seguenti, non nelle azioni grandi o piccole, nemmeno negli oggetti o nei beni. Non è una città, una miniera, non è nemmeno quella delle persone. Invece è il tempo che hai a disposizione con loro: anche solo tre anni, solo tre anni. Quanto basta per caricare la vita di tutti i significati necessari. E scrivi, con l’Ammiraglio, una certa lettera, che però mai spedita, per sbaglio, o per malasorte, o per paura, o tutte e tre queste cose insieme. E che avrebbe potuto cambiare tutto.
L’autore
Martedì 6 giugno esce il nuovo romanzo di Fabio Genovesi (Mondadori, pp. 438, euro 20). Fabio Genovesi (1974; sotto) è nato e vive a Forte dei Marmi (Lucca). Ha pubblicato, tra gli altri, per Mondadori «Esche vive» (2011), «Chi manda le folle» (2015), «Il mare dove si nontouch» (2017), «Cadrò, sognando di volare» (2020) . Anche «Morte dei marmi» (Laterza, 2012), «Tutti primi sul traguardo del mio cuore» (Solferino, 2019), «Il calamaro gigante» (Feltrinelli, 2021). Genovesi è la voce “culturale” della telecronaca Rai al Giro d’Italia, collabora con il “Corriere della Sera” e con il suo supplemento culturale “La Lettura”. Proprio «la Lettura» n. 597 del 7 maggio (disponibile in App per smartphone e tablet) aveva anticipato un brano di «Oro puro».
Un mese di presentazioni in tutta Italia
Il giro di “Oro zecchino” che porta Fabio Genovesi in tutta Italia con il suo nuovo romanzo. Dopo l’esordio di ieri a Pietrasanta (Lucca), lo scrittore toscano sarà domani a Rovigo (nell’ambito del festival Rovigoracconta, ore 17.45), mercoledì 7 giugno a Siena (Libreria Becarelli, ore 18) e a Sesto Fiorentino (Libreria Ubik, ore 21 ore). Poi, tra i vari appuntamenti in programma, ricordiamo il 9 giugno a Empoli (Libreria Rinascita, ore 21.30), il 10 a Forte dei Marmi (Villa Bertelli, ore 18), l’11 a Firenze (per La città dei lettori, ore 0.21), il 12 a Novara (Circolo dei Lettori, ore 18.00), il 14 a Milano (Libreria Rizzoli, ore 18.30), il 15 a Roma (Libreria Nuova Europa I Granai, ore 18.00), il 17 a Salerno (per il Festival della Letteratura di Salerno , ore 20) il 23 a Trieste (Biblioteca Lovat, ore 18.30), il 27 a Torino (Circolo dei Lettori, ore 21). Per l’intero tour di Fabio Genovesi, che toccherà altre località italiane, consultare il sito mondadori.it.