La parabola di Toti, presidente per caso: «Fammi uscire da questo incubo»

La parabola di Toti, presidente per caso: «Fammi uscire da questo incubo»
La parabola di Toti, presidente per caso: «Fammi uscire da questo incubo»

DiMarco Imarisio

La discesa in campo a delfino di Berlusconi, la vittoria in Liguria nel 2015. Poi la crescita, tra partito, candidati sindaco e lista personale arrivata al 23%

GENOVA – «Giovanni, hai vinto». “Ma non dire sciocchezze.” È sceso dal secondo piano dell’hotel Bristol ancora incredulo e convinto che qualche ex collega gli stesse facendo uno scherzo. “Sei davvero sicuro?” si è chiesto mentre i genitori lo trascinavano trionfante verso piazza De Ferrari, il luogo dove la politica genovese celebra se stessa. “Hai vinto, e ora sono affari tuoi, perché dovrai lavorare seriamente.”

L’arresto

Chissà se ci aveva pensato quella sera di fine maggio 2015, quando tutto era cominciato nel modo più inaspettato, grazie al suicidio collettivo di un centrosinistra diviso. “Presidente per caso” titolava il caro vecchio Corriere mercantile, allora ancora in edicola. L’inizio di questa storia non potrebbe essere più diverso dalla fine, come racconta il suo avvocato. Giovanni Toti è stato costretto a fermarsi a Sanremo, mentre si stava dirigendo verso l’inaugurazione della nuova Twiga dell’amico Flavio Briatore, al Benjamin Bay di Ventimiglia. “Per favore, avvocato”, avrebbe detto. “Fammi uscire da questo incubo.”

Inizi in politica

Forse solo l’espressione del viso è rimasta la stessa, ieri come allora. Lo stupore di chi non riesce a capire cosa gli sta accadendo. Eppure, tra tanti ex giornalisti passati dall’altra parte della barricata, Toti è sempre stato quello con più sostanza per affrontare il cambio di ruolo. Si era preparato. Innanzitutto come Il delfino di Silvio Berlusconi, poi da eurodeputato, eletto nel 2014, e infine, per il suo attaccamento alla maglia di Forza Italia, candidato a perdere nella difficile Liguria. «Fai due mesi di campagna elettorale e poi torni subito a Strasburgo», gli disse il Cavaliere.

In Liguria

“Immagina se dovessero mettermi in qualcuno che non sa parlare con la gente.” Alla Festa della Repubblica dell’anno dopo era già un altro Toti. Con uno sguardo severo, ne spinse uno timido Marco Bucci, aspirante sindaco di Genova indicato da tutto il centrodestra, a presentarsi al popolo sventolando il tricolore, sempre in piazza De Ferrari. Si sentiva già il dominus. Nei due anni successivi avrebbe di fatto piantato ogni possibile bandiera sulla mappa della Liguriafacendo vincere i suoi candidati a La Spezia, Savona e decine di altri comuni.

La festa personale

La perpetua intolleranza verso i partiti alleati, la tendenza a porsi come solista, costruendo una propria struttura trasversale di persone unite dalla lealtà e dalla continua promozione della propria figura, covava già sotto la sua pelle. Nella geometria variabile dei suoi stati d’animo, l’unica figura che, anche nei frequenti contrasti, ha sempre tenuto accanto, grazie a un’amicizia mai rinnegata, è stata quella del suo opposto, Matteo Salvini. Il leader della Lega è tanto estremo nelle sue opinioni quanto Toti è democristiano nell’animo. Non è un caso che nell’agosto del 2019 ci fossero i giorni del Papeete e della caduta del primo governo Conte, lascia Forza Italia per mettersi in proprio, fondando un partito che l’intenzione era di traghettarlo verso un ministero potente in un nuovo esecutivo guidato dal suo gemello diverso.

Questo sarà il primo di molti errori di calcolo a livello nazionale. Nel 2020 Toti correrà ancora in Liguria, soprattutto perché l’alternativa non esiste. Il giorno della rielezione, sotto un gazebo riparato dalla forte pioggia, ha gioito leggendo i risultati della sua lista personale, un record del 23% che però ha cannibalizzato i suoi alleati. «Sei il De Luca della Liguria» gli disse un amico parlamentare in visita. “Ma senza la frittura di pesce”, fu la risposta. Pochi hanno prestato attenzione al commento di un suo stretto collaboratore, che si è lasciato sfuggire una battuta ormai quasi profetica. “Abbiamo battuto tutti”, ha detto ridendo. «Ma abbiamo preso in carico anche tutto».

Toti tentò subito di riproporsi come leader nazionale, mettendo l’esperimento ligure a disposizione del centrodestra, sempre più insofferente nei suoi confronti e nelle sue manifeste ambizioni. Il suo sogno di rappresentare la parte moderata della coalizione è presto svanito. Il laboratorio Liguria era tutto ciò che gli restava. Ma la formula è rimasta quella delle Regionali 2020. Un elenco con il suo nome in ogni città, ovunque, per ribadire una centralità che sentiva sempre più a rischio. Un sistema da alimentare a proprie spese. Che, in sostanza, è ciò di cui lo accusa il giudice. «Pressato dalla necessità di reperire fondi per affrontare la campagna elettorale, ha messo a disposizione la sua funzione, i suoi poteri e il suo ruolo in cambio di finanziamenti».

Se davvero si tratta di questo, è soprattutto un peccato di arroganza, forse addirittura inutile. Perché soprattutto oggi, è bene ricordarlo c’è stato anche il Giovanni Toti dell’autunno 2018, capace di battersi per ricostruire presto e bene il ponte Morandi, e di mostrare notevoli capacità nella gestione di quella grave emergenza. Fu proprio il Movimento Cinque Stelle a negargli il ruolo di commissario straordinario per la ricostruzione a cui tanto teneva, aprendo così il vaso di Pandora della sua voglia di affermazione e di rivalsa a livello nazionale. Lo ha fatto per se stesso, ovviamente. Ma non solo. Nel primo pomeriggio di quella terribile vigilia di ferragosto in cui tutto crollò, lo trovammo accasciato su una sedia nell’atrio della Protezione Civile. “Ci saranno almeno quaranta morti”, ha detto. “Quaranta famiglie distrutte mentre andavano al lavoro o in vacanza”. E intanto Giovanni Toti piangeva.

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8 maggio 2024 (modificato l’8 maggio 2024 | 08:08)

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