“La mia casa è uno spazio che rappresenta il mio modo di lavorare e la mia vita” — idealista/news – .

“La mia casa è uno spazio che rappresenta il mio modo di lavorare e la mia vita” — idealista/news – .
“La mia casa è uno spazio che rappresenta il mio modo di lavorare e la mia vita” — idealista/news – .

La scala è il baricentro della casa dell’architetto Federico Delrosso, che ci ospita nella sua casa che è anche il suo nido e il suo centro di progettazione. Un elemento protagonista dell’ambiente, che unisce con una certa forza e armonia lo spazio verticale in cui si sviluppa la casa. Come se fosse una colonna vertebrale. “Per me è quasi un elemento scultoreo”, dice l’architetto dal basso”

Architetto, grazie per averci ospitato a casa tua. Come mi racconti della sua casa?

Vivo qui da 15 anni. È uno spazio verticale che si sviluppa quasi su quattro livelli. Si tratta della porzione di edificio industriale adibito in passato a magazzino di bevande alcoliche: questo edificio costituisce quindi una sezione delle 27 campate strutturali del complesso. Qui ho creato il mio volume, in uno spazio molto leggero e pulito che gioca sui toni dei bianchi, dei grigi, dei metalli, insomma dei materiali semplici che utilizzo. Ed è uno spazio che rappresenta il mio modo di lavorare e la mia vita.

Mi guardo intorno e cerco la sua firma: in che dettaglio la trovo?

Dov’è la mia firma in questo progetto? Direi nel luogo in cui sono seduto: cioè la scala, che è il nucleo centrale, un elemento architettonico, quasi scultoreo, attorno al quale ruota e si distribuisce l’intero studio. La scala, in generale, è un elemento architettonico che mi affascina particolarmente e che utilizzo da sempre in questo modo. Insomma per me non è mai stato un elemento di collegamento ma un elemento protagonista dello spazio progettato.

C’è un posto che consideri la tua nicchia preferita?

In realtà non c’è un posto che sembri mio più di altri: penso che questo accada quando uno spazio si progetta intorno a te. Non importa dove mi trovo durante la giornata sento un senso di nido, di protezione. E ti dirò che succede anche a me con i progetti che creo: sono tutti spazi in cui vivrei.

Nelle sue opere l’arte dialoga spesso con il design. Anche a casa sua è così?

Il dialogo tra arte e design o architettura nello spazio in cui vivo esiste, è vero: in qualche modo, infatti, il tema della scala di cui parlavo prima è per me un elemento scultoreo. Non è solo un elemento funzionale. L’arte è ovviamente un gusto personale, ma diventa l’abito dello spazio abitato.

Design: avete spaziato dall’abitazione privata al commerciale fino al dettaglio del prodotto di design. Non è un rischio, in generale, uscire dall’ambito della specializzazione?

Il rischio, che va dall’architettura all’interior fino al prodotto, secondo me non esiste. Tutt’altro: credo infatti che sia molto limitante dal punto di vista professionale dedicarsi a un tema specifico: creare solo ristoranti, e non solo case o alberghi. Personalmente mi sarei annoiato se mi fossi occupato di un solo settore. Nella mia vita ho sperimentato, ho iniziato con l’architettura, poi mi sono spostato all’interno con gli interni, fino ad arrivare al prodotto; e ora sono tornato ad avere il mio interesse principale nell’architettura.

È stato interessante sviluppare tutte le aree perché, ripeto, il ruolo dell’architetto è di direzione e coordinamento. Quindi la selezione, se necessaria, delle specializzazioni. Credo che la vera capacità sia questa: dobbiamo fare architettura, non offrire servizi. Non voglio vendere servizi di architettura. Voglio vendere architettura. E quando entriamo nell’iperspecializzazione – questa è la critica alla direzione che sta prendendo il nostro mondo, che copia quello americano – dobbiamo considerare che alla fine, però, la storia dell’architettura non è stata fatta di iperspecializzazione ma di i grandi architetti, coloro che avevano una visione e una capacità d’insieme.

Parliamo del valore dell’architettura. Quanto cambierà in un futuro in cui uno dei giocatori sarà anche l’intelligenza artificiale?

Credo che il valore dell’architettura non sia legato all’intelligenza artificiale, che magari può aiutarci a progettare, immaginare o rendere un progetto più percepibile all’utente. La figura dell’architetto per me è una figura di direzione, di coordinamento. L’architetto deve cogliere i sogni e le esigenze del cliente e lavorare su di essi per generare il progetto più adatto, dandone un’interpretazione, con una visione. La mia idea è che l’architetto sia al servizio del cliente ma prima ancora dell’architettura.

Hai una vocazione internazionale e lavori in tutto il mondo. Come vedono la nostra architettura all’estero?

Ho lavorato all’estero, ho maturato esperienza in alcuni paesi. Credo che in generale il livello di qualità del lavoro non sia superiore al nostro, anzi. Siamo sempre molto apprezzati, per quella grande capacità di risoluzione, gusto, dettaglio e occhio che abbiamo. E quindi credo che sia ancora un grande valore spendibile all’estero. Ovviamente, come sempre, siamo abituati a non parlare troppo bene di noi stessi, del nostro sistema: ma in realtà siamo pur sempre tanta roba, come si suol dire.

 
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