parole di David Nicholls – .

Trecento chilometri: è la distanza da percorrere camminando, per ritrovare la propria strada nel mondo. Parola di David Nicholls.

Parte da St Bess, sulla costa occidentale dell’Inghilterra, attraversa il Lake District, entra nei Mori e scende fino alla costa dello Yorkshire.

Insegnante di geografia separato, Michael scelse l’isolamento come cura: Non può più restare nella casa vuota dopo che sua moglie se ne è andata. E così cammina, tutte le volte che può, con un cappuccio in testa per crearsi il suo piccolo mondo privato, rigorosamente da solo, tra montagne e brughiere, come sedativo naturale alla sua inquietudine.

Non è facile ridefinire la propria vita e la propria idea di futuro all’età di quarant’anni, ognuno lo fa a modo suo. E Michael ha uno zaino pieno di rimpianti, per il matrimonio fallito, di paure per un pestaggio subito, ma anche di dolcezza, con una paternità mai arrivata e che ha trovato un surrogato nell’insegnamento: un non padre che ama stare in mezzo a bambini ma non possono più stare tra gli adulti.

“Il punto era la solitudine, e nessuno dei posti in cui andava era mai abbastanza deserto per i suoi gusti.”

Ci sono fragilità dell’animo che Nicholls sa far emergere con tatto ed empatia: Marnie è carina, brillante, vive a Londra e non avrebbe mai pensato di raggiungere i 38 anni da sola. Il suo non suo è isolamento, è proprio una solitudine che si è sedimentata poco a poco, con gli amici risucchiati dal lavoro, dai trasferimenti, dalle famiglie, con il lavoro da redattrice freelance, con l’illusione di essere essa stessa autosufficiente. Marnie ha perso il controllo. C’è una routine seducente nello stare da soli, mangiare quello che vuoi, guardare i tuoi programmi, trovare scuse per non dover truccarti e sorridere e uscire. È incredibilmente facile perdersi nella spirale dell’indipendenza, mascherando la solitudine da libertà, per poi accorgersi che non scatti foto da mesi, che stai iniziando a parlare da solo, ma soprattutto che hai il terrore di altri. La consapevolezza del vuoto costringe Marnie ad ammettere la verità su se stessa, dovendo cambiare qualcosa.

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“A volte, pensava, è più facile restare soli che mostrarsi soli al resto del mondo, ma sapeva che anche quella era una trappola, che senza fare nulla la situazione sarebbe diventata permanente come una macchia che penetra nel legno .”

Due anime sole quindi, Michael e Marnie, uno in giro per la Cumbria, l’altra chiusa in casa. Ma se è vero che la luce passa anche attraverso le più piccole fessure, ci vuole la nostra comune amica Cleo a forzarle la mano. Tutti insieme in quella passeggiata che Michael progetta da tempo, una manciata di giorni coast to coast. Michael non vuole compagni, abituato ai suoi ritmi, ritmi e silenzi, ma accetta più per stanchezza che per convinzione, Marnie non sa nemmeno da dove cominciare, con l’attrezzatura da trekking e l’idea di dover socializzare, ma accetta perché capisce che deve cercare di avere almeno qualche foto nel cellulare e nella testa. Giornate di escursioni con persone sconosciute: un’esperienza potenzialmente orrenda per entrambi.

Parla con gli altri, parla con gli altri, parla con gli altri. È assurdo che sia stato così difficile”. Come spezzare la tua solitudine, come comunicare con gli altri: questo è tutto il problema della vita, Cesare Pavese lo sapeva bene. Marnie, con dodici paia di pantaloni dentro uno zaino allacciato male, e Michael, con la barba e un maglione per proteggersi dagli sguardi e dal mondo, in mezzo ad una compagnia spaiata, si ritrovano a camminare insieme, in un disagio tangibile che ha i contorni dei primi tempi.

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“Aveva letto da qualche parte che durante le escursioni le persone trovano più facile parlare con franchezza, qualcosa che ha a che fare con lo sguardo avanti e il ritmo. Avrebbe dovuto stare attento all’immagine che dava. Né troppo aperto, né troppo riservato, né il maestro di scuola, né il poeta, né quello del Nord, né il vecchio montanaro brizzolato; non quello ipercritico, perché tutti gli stivali erano stati stivali nuovi”.

Tu sei qui (Neri Pozza, traduzione di Scilla Forti) racconta di cambiamenti, piccole aperture, passi da imparare a fare insieme agli altri, possibilità che la vita può offrire, basta guardare fuori.

“Il paesaggio è vita” ed è salvezza, perché segue il ritmo dell’animo umano.

La natura stessa è parte della storiaall’unisono con i personaggi: i luoghi sono spettatori e anche creatori, sono fango e pioggia per abbassare le difese dei protagonisti, per abbattere il rigido conformismo della conoscenza, si lasciano maledire con compiacenza sapendo che questa sarà una vocabolario per avvicinarli, illuminano di sole e squarci di bellezza sollevando nebbie e paure, offrono con diabolica malizia laghi di acqua gelida dove bisogna rannicchiarsi al freddo, e brughiere grigie e malinconiche dove provare nostalgia. Il tutto con una bellezza che esplode di suggestione e conquista anche l’indifferenza urbana di Marnie.

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“Ansie cicliche, antichi rimpianti, non c’era montagna in tutta l’Inghilterra che potesse oscurarli.”

David Nicholls ha scritto una guida alla geografia umana, dove ogni capitolo si apre con una mappa, con una serie di informazioni pratiche su locande, b&b, sentieri, rocce e password wi-fi. Michael è anche un professore in movimento, pedante nell’infarciti i dialoghi di dettagli e curiosità geologiche e paesaggistiche. Ma sono tutti stratagemmi: per quanto Nicholls cerchi di ingannare il lettore, è chiaro che Tu sei qui non è un libro sui viaggi attraverso l’Inghilterra, ma è una mappa umana con il dialogo al centro.

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L’autore, da sempre attento osservatore della vita e dell’amore, si concentra sulla conversazione: quegli scambi che sono la sua arma vincente, che, come nel bestseller Un giorno, lo fanno brillare nella caratterizzazione dei personaggi. I dialoghi sono frizzanti, pieni di arguzia, intelligenza, sarcasmo: Marnie e Michael hanno dei fili comuni, nell’ironia e nella capacità di descrivere episodi e persone, di trovare il ridicolo in se stessi e negli altri e i loro scambi sono irresistibili. Il risultato è una commedia inaspettata che sgonfia ogni attimo di emozione. È con questo registro ironico, infatti, che Nicholls riesce a parlare della nostra fragilità, perché in quella fatica di vivere tra gli altri tutti ci siamo ritrovati almeno una volta, e ne riconosciamo la modestia, il senso di inadeguatezza, la stranezza di sentire la propria voce, che ci suona un po’ forzata, eppure stridula in un tentativo goffo, e spesso tragicamente comico, di essere disinvolto.

Poi vai, riprendi fiducia, abbassi le spalle, inizi a parlare, togli il fiato e ricominciabbassando barriere e difese, incauto, forse poco attrezzato, ma imparando di nuovo il ritmo e la freschezza entusiasmante di una seconda possibilità.

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