Pensioni a rischio povertà. Serve un reddito di riserva – .

Pensioni a rischio povertà. Serve un reddito di riserva – .
Pensioni a rischio povertà. Serve un reddito di riserva – .

PREOCCUPAZIONE, disperazione, tristezza o incertezza. Sono questi i sentimenti prevalenti tra i lavoratori italiani quando pensano alla pensione che li attende in vecchiaia, appena andati in pensione. Lo rivela una ricerca commissionata dalla piattaforma di investimenti Trade Republic e realizzata da due docenti dell’Università La Sapienza di Roma: Michele Raitano, direttore del Dipartimento di Economia e Diritto dell’ateneo romano, e Marco Di Pietro, professore associato di Politica economica. Lo studio si basa su un sondaggio condotto da Bva Doxa su 2.000 nostri concittadini: alla domanda su come si sentono riguardo alla loro situazione finanziaria dopo la pensione, il 74% degli intervistati ha dichiarato di provare emozioni negative (che si possono riassumere con i termini preoccupazione, disperazione, tristezza o incertezza). Inoltre, il 65% degli intervistati ha dichiarato di essere consapevole che la sola pensione pubblica non gli avrebbe consentito di vivere dignitosamente dopo la pensione.

Queste preoccupazioni sono giustificate? Certamente non per tutti i lavoratori, ma per alcuni sì. Va infatti ricordato un dettaglio importante: chi ha iniziato la carriera dopo il 1995 avrà una pensione calcolata con il metodo contributivo, cioè in base all’ammontare dei contributi versati durante la vita lavorativa e non sulla media degli ultimi redditi. (come una volta). Più paghi, più alta sarà la tua pensione. Non è difficile quindi capire quali categorie di lavoratori rischiano di ritrovarsi con una pensione da fame: tutti coloro che hanno versato pochi soldi all’Inps, perché hanno redditi bassi o perché hanno avuto carriere discontinue, con lunghi periodi di disoccupazione. Sono loro che oggi avrebbero bisogno di costituirsi una riserva di reddito per la vecchiaia, con un piano personale di risparmio o con un fondo pensione complementare. È un peccato, però, che pochi lo facciano davvero. Secondo lo studio di Raitano e Di Pietro, il 68% dei disoccupati e il 50% di coloro che attualmente guadagnano meno di mille euro al mese non hanno alcuna forma di investimento né hanno aderito alla previdenza complementare.

L’analisi suggerisce anche un percorso alternativo o parallelo a quello dei fondi pensione, a cui hanno aderito finora quasi 10 milioni di italiani. La soluzione proposta è quella di sottoscrivere un Pac (piano di accumulo del capitale) con gli ETF (exchange traded fund), che sono fondi di investimento acquistabili in Borsa (come si fa con le azioni), hanno commissioni basse e seguono l’andamento dei titoli azionari. un indice di riferimento, ad esempio un listino azionario o obbligazionario ma anche di materie prime. Secondo una simulazione contenuta nella ricerca commissionata da Trade Republic, un piano di risparmio in ETF azionari ha il potenziale di ottenere, nel lungo termine, rendimenti più elevati rispetto a quelli generati dai fondi pensione (vedi articolo nella pagina accanto).

“Gli italiani sanno bene che il sistema pensionistico pubblico da solo non consentirà una pensione serena”, dice Emanuele Agueci (nella foto), responsabile regionale per Italia, Irlanda e Paesi Baltici della Repubblica Commerciale, che aggiunge: “i nostri connazionali capiscono la necessità di integrare la pensione con il risparmio e gli investimenti privati. Con questo studio vogliamo offrire linee guida pratiche e allo stesso tempo scientifiche per investimenti sostenibili a lungo termine”. Le conclusioni della ricerca di Raitano e Di Pietro, secondo Agueci, sono chiare: “I piani di risparmio degli ETF sono un complemento molto potente ai fondi pensione classici per pianificare la pensione”.

 
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