«Non tornerò mai più ai Dire Straits. In tour? Attualmente sto con mia moglie. E non conosco i Maneskin” – .

«Non tornerò mai più ai Dire Straits. In tour? Attualmente sto con mia moglie. E non conosco i Maneskin” – .
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DiMatteo Cruccu

Il chitarrista presenta il suo nono album solista: “One Deep River”

Quando lo incontri ti sembra un uomo pacifico, uno di quei pensionati del British Mail che potresti incontrare in qualche sobborgo delle Midlands, tra le case di mattoni rossi e il fish’n’chips. Eppure questo tranquillo e distinto signore di 74 anni ha infiammato i palcoscenici di tutto il pianeta ed è entrato in molte delle colonne sonore delle nostre vite. Sì, se dici anni ’80 dici Mark Knopfler e i Dire Straits. E anche se Mark ha abbandonato i suoi amici quasi trent’anni fa (era il 1995) e, come vedremo, non ha alcuna intenzione di riprenderli, il suo mito resta incrollabile. Anche se non fa nulla per alimentarlo.

L’occasione dell’incontro è «One Deep River», il nono album solista che si aggiunge ai leggendari sei della band. L’album sembra essere ambientato non nelle Midlands, ma a Newcastle dove Knopfler è cresciuto, a partire dalla copertina che raffigura il ponte sul Tyne, il fiume della città portuale del nord.

Un disco autobiografico, verrebbe da dire.
“Non necessariamente. Il fiume di cui parlo potrebbe anche essere una persona, una situazione, qualunque cosa tu voglia. Mi piace che le canzoni possano essere flessibili”.

È certamente un viaggio nella memoria: «Ahead of the game» racconta i suoi faticosi esordi, mezzo secolo fa.
«Ero un giornalista, il che mi ha aiutato a concentrarmi su chi ero nella vita. E facevo l’insegnante, un lavoro che mi ha letteralmente salvato la vita. La mattina con i ragazzi, la sera fuori con un gruppo rockabilly, con la macchina, amplificatori e chitarre comprati grazie a quel lavoro. Non so se senza di essa sarei qui oggi…”.

Le chitarre, il suo marchio di fabbrica: non sembrano più così popolari ormai tra le band giovani.
«Se i ragazzi vogliono usare lavatrici e bottiglie per me va bene, non dovrebbe esserci una legge, secondo la quale una band deve avere un bassista, un batterista o un chitarrista: io non sottoscriverei mai una simile ortodossia. Tutto può essere attraente. Non mi piacciono i formalismi secondo i quali il tango va fatto così, il flamenco così…”.

Forse una band esiste, però: i nostri Måneskin, dove la chitarra è ancora centrale nella loro poetica.
“No, non li conosco. Come si chiamano? Pelle maschile? Comunque approfondirò. Comunque per me le chitarre sono uno strumento per scrivere canzoni. Non ho mai voluto essere un virtuoso come Jimmy Page o Ritchie Blackmore per intenderci e, detto con il massimo rispetto, preferisco restare fedele alle mie filastrocche.

Non dirà che suona “come un idraulico”, come ha detto in passato.
Lui ride. «Guarda le mie mani, sono proprio quelle di un idraulico: il mio modo di suonare è peggiorato, un insegnante di chitarra non approverebbe».

In Smart money si parla di soldi facili…
«Sì, è gergo delle scommesse. Ma è anche la metafora dello spettacolo: le carriere sono sempre più brevi. Sono ancora in giro a vendere dischi, sembrano passati cent’anni e c’è gente che sparisce dopo due. Si ha la sensazione che i giovani vengano divorati dai dinosauri con i talent show”.

Ecco i record: sono 40 anni dal capolavoro dei Dire Straits «Brothers in Arms».
«Con i singoli siamo andati bene, fin dal primo sono diventati dei successi in America, c’era una massa critica attorno a quelle canzoni. E proprio in quel momento il CD divenne molto popolare. La combinazione di questi due elementi ha decretato il successo dell’album.”

Ma la canzone che dà il titolo all’album, un inno antimilitarista, non viene ascoltata molto, vedi la guerra in Ucraina o in Palestina.
«Ma se “Brothers in Arms” è utile alle persone, fa sentire che tutto ha un senso e serve da conforto in momenti difficili come questi, sono felice».

Molte band del passato si sono riunite. Tra i pochi scomparsi da 29 anni ci sono i Dire Straits.
«E non cambierò idea. È stato bello finché è durato, mi sono divertito. Ma non voglio essere “più grande” di quanto sono oggi, non mi interessa”.

Ma la rivedremo almeno in tournée per questo album?
«Per ora penso che resterò a casa, insieme a mia moglie, stavolta mi dedicherò alla famiglia: perché non mi sento mai male a scrivere altre canzoni e ad andare in studio».

E in futuro?
«Non so se riprenderò…»

Infine, tu sei tifoso del Newcastle, prima abbiamo parlato di scommesse: cosa ne pensi del caso Tonali?
“Nessuno è perfetto”

16 aprile 2024

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Tag: Mark Knopfler Dire Straits tour moglie dont Maneskin

 
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