La riforma farmaceutica europea è un’occasione mancata per il rilancio della ricerca pubblica – .

La riforma farmaceutica europea è un’occasione mancata per il rilancio della ricerca pubblica – .
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Le proposte di revisione della legislazione farmaceutica dell’Unione Europea non sono abbastanza coraggiose da innescare un cambiamento sostanziale nelle politiche che regolano il mercato e la ricerca dei medicinali. Lo sottolinea Massimo Florio, docente all’Università degli Studi di Milano presso il Dipartimento di Economia, gestione e metodi quantitativi.

All’interno del Forum Diseguaglianze e Diversità, Florio ha ideato e promosso l’idea di creare un’infrastruttura pubblica europea per lo sviluppo di vaccini e medicinali, l’European Medicines Facilità, che però non è stata inserita nel testo della posizione del Parlamento Europeo sulla questione la nuova legislazione, votata il 10 aprile a Bruxelles. Per il Forum si tratta di un passo indietro rispetto a luglio 2023, quando la proposta trovò spazio tra le raccomandazioni alla Commissione europea e agli Stati membri nel rapporto sulle “lezioni” sulla pandemia di Covid-19. Nei prossimi mesi il dossier sarà seguito dal nuovo Parlamento, dopo le elezioni europee del giugno 2024, ma per il docente sono molte le criticità contenute nelle attuali versioni di riforma del regolamento e della direttiva.

Facciamo un passo indietro. Nel novembre 2020 la Commissione Europea ha presentato la Strategia Farmaceutica per l’Europa per riscrivere l’attuale quadro normativo. Dopo una serie di consultazioni pubbliche e incontri tra aziende e autorità regolatorie, nell’aprile 2023 è stato pubblicato un pacchetto di riforme con l’obiettivo, dichiarato dalla Commissione, di rendere “i farmaci più accessibili e convenienti, sostenendo al contempo la competitività e l’attrattiva dell’UE industria farmaceutica, con standard standard ambientali più elevati”. E che comprende proposte per una nuova direttiva e un nuovo regolamento europeo, oltre a modifiche alla legislazione sui medicinali per uso pediatrico e per le malattie rare.

Il testo finale approvato dal Parlamento lo scorso 10 aprile riesce a limitare l’influenza dell’industria farmaceutica, soprattutto rispetto alle sue ambizioni iniziali, ma secondo Florio quelli apportati all’attuale normativa sono solo ritocchi e nel complesso questa riforma è “tutt’altro che schiacciante rispetto a aspettative.”

Contiene infatti una serie di proposte che dovrebbero incentivare le aziende a entrare nel mercato europeo, tra cui un meccanismo di protezione: un periodo della durata di sette anni e mezzo durante il quale le aziende non possono avere accesso ai dati relativi a un medicinale autorizzato e studiato da un’altra industria eventualmente iniziare altri studi.

“In sostanza le aziende comunicano all’Agenzia europea del farmaco i dati raccolti dai pazienti durante gli studi per permetterle di valutare l’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto, ma per un certo periodo questi dati non devono essere resi pubblici -spiega Florio-. Di conseguenza un’altra azienda che voglia accedervi per studiarli ed eventualmente proporre qualcosa di nuovo non può farlo. Non può usarli. E quindi non può portare innovazione finché dura la tutela”.

Inoltre, se il medicinale prodotto soddisfa una serie di criteri (ad esempio legati a bisogni terapeutici non ancora soddisfatti, se una quota significativa di ricerca e sviluppo avviene nei Paesi dell’Unione Europea) le aziende potrebbero beneficiare di un’estensione del periodo di protezione. Che, secondo i parlamentari, complessivamente non dovrebbe superare il periodo massimo di otto anni e mezzo.

Altri due anni potrebbero poi essere aggiunti grazie al meccanismo di tutela del mercato, che impedirebbe ad altri farmaci generici, ibridi o biosimilari di essere venduti e quindi di competere con il prodotto di un’azienda. Questo periodo di tempo può essere prorogato anche di ulteriori dodici mesi qualora il farmaco dovesse ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio per una diversa indicazione terapeutica, o per eventualmente curare un sintomo o una malattia diversa da quella indicata in fase di autorizzazione.

I cosiddetti farmaci orfani, sviluppati per la cura delle malattie rare (che colpiscono non più di un caso su duemila persone), potrebbero invece beneficiare dell’esclusiva di mercato per un massimo di 11 anni se dovessero rispondere ad “un’elevata domanda medica insoddisfatta”. Bisogno”. Una soglia più alta rispetto a quella proposta dalla Commissione che, inizialmente, aveva una durata variabile di dieci, nove o cinque anni, in base alla tipologia di medicinale.

“Le aziende farmaceutiche sostengono che questo sia un incentivo fondamentale per innovare in alcuni campi, perché sono disposte a entrare in un mercato e investire in sperimentazioni fintanto che hanno ridotto la concorrenza. Il che si traduce in guadagni esclusivi -spiega Florio-. Se per una malattia rara ci sono centomila malati nel mondo, le aziende investono nella ricerca contando di ricevere un ritorno da quello specifico numero di persone. Pertanto, se durante il periodo di esclusiva venisse sviluppata una molecola in grado di risolvere tale problema, non potrebbe essere prodotta. Potrebbe essere brevettato, ma non immesso sul mercato”.

Secondo la Strategia farmaceutica europea, questi incentivi, combinati con i diritti di proprietà intellettuale esistenti (brevetti sui farmaci), consentiranno all’Europa di essere un polo attrattivo per gli investimenti e l’innovazione. Per Florio, però, si tratta di meccanismi “anti-competitivi e anti-innovazione”, che comprendono anche il voucher; tagliando l’esclusività dei dati trasferibili, uno strumento pensato per stimolare la ricerca e lo sviluppo di antibiotici e antimicrobici prioritari, necessari per contrastare la diffusione del fenomeno dell’antibiotico resistenza.

IL voucher; tagliando concede all’azienda che sviluppa un antibiotico prioritario un ulteriore anno di protezione normativa dei dati, utilizzabile per qualsiasi altro prodotto compreso nel portafoglio dell’azienda, che è quindi trasferibile. Il testo della Commissione prevede anche l’ipotesi della cessione del voucher; tagliando tra aziende.

Un principio che era stato fortemente criticato da tre esperti di economia sanitaria – Simona Gamba, dell’Università di Milano, Laura Magazzini, del liceo Sant’Anna di Pisa, Paolo Pertile, dell’Università di Verona – nello studio effettuato per conto del Panel per il futuro della scienza e della tecnologia (Stoa), il comitato scientifico che opera a sostegno del Parlamento europeo.

“Si tratta del famoso studio pubblicato sul sito del Parlamento, poi cancellato per pressioni delle industrie e successivamente ripubblicato – ricorda Florio -. Questa analisi ha demolito il concetto di voucher; tagliando trasferibile perché metteva in guardia dal rischio che la protezione dei dati ottenuta potesse essere trasferita ad altri farmaci molto più remunerativi, dato che la scelta su dove trasferire il ‘voucher’ è a discrezione delle industrie. Le conseguenze potrebbero essere distorsioni del mercato causate dall’aumento del valore e del prezzo di tali farmaci”.

Per Florio si tratta di meccanismi per creare un monopolio legale: “Sostanzialmente queste proposte riconoscono che le aziende hanno le proprie priorità e decidono cosa fare. Quindi, se la politica vuole spingerli a fare qualcosa che non è conveniente dal punto di vista economico, deve fornire incentivi. E poiché i bilanci statali non consentono l’erogazione di finanziamenti, come avviene negli Stati Uniti, non resta che ricorrere agli incentivi del mercato”.

La riforma legislativa proposta dal Parlamento Europeo affronta anche la questione ambientale legata alla produzione dei medicinali, imponendo alle aziende di presentare una valutazione dei rischi in merito al momento della richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio. Si prevede inoltre di conferire maggiore indipendenza all’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera), istituita sotto la personalità giuridica del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). Sarebbe quindi “responsabile della creazione, del coordinamento e dell’attuazione del portafoglio europeo di ricerca biomedica a lungo termine e del programma per lo sviluppo di contromisure mediche contro le minacce attuali ed emergenti per la salute pubblica, nonché della produzione, approvvigionamento, stoccaggio e la capacità di distribuzione di contromisure mediche e altri prodotti medici prioritari nell’UE”.

Per Florio si tratta di un compromesso rispetto alla proposta di infrastruttura biomedica pubblica elaborata all’interno del Forum Diseguaglianze e Diversità, pensata per avere capacità di intervento operativo molto più ampie, con una missione più ampia nel campo della ricerca e sviluppo dei farmaci. Lascia uno spazio aperto anche il sostegno dato dai 156 eurodeputati che hanno provato a rilanciarlo durante la plenaria dell’Europarlamento: “La partita non è finita – conclude la docente -. Se l’idea di alcuni ricercatori è stata adottata da un numero significativo di deputati, tra l’altro di vari partiti e di diversi Paesi, vuol dire che comincia a fare passi avanti. All’interno del prossimo Parlamento Europeo ci sarà anche una commissione sul tema salute, che attualmente non esiste: il tema, infatti, è seguito dalla Commissione Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Alimentare (Envi). Mi aspetto che la questione sanitaria sarà molto importante, ma vedremo chi saranno i commissari alla ricerca e alla sanità designati dal prossimo Parlamento europeo”.

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Tag: europea farmaceutico riforma mancata opportunità mancata rilancio pubblico ricerca

 
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