UN MONDO A PARTE – Spietato – .

UN MONDO A PARTE – Spietato – .
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Ci sono film così animati da buone intenzioni e capaci di intercettare un sentimento contemporaneo che ci si sente in colpa evidenziandone le debolezze. Questi sono i film in cui il soggetto e la sua importanza sociale intaccano il cinema, quindi il cosa diventa prioritario rispetto al come. Ed è ciò che accade nel lavoro di Riccardo Milani che coniuga con grazia benvenuti al Sud con Spero di riuscirci: lo straniero che viene dal nord, con la variante che qui viene dal centro e si accontenta del trasferimento (ma la sostanza non cambia), con i bambini carini e più lungimiranti degli adulti del locale realtà, nella fattispecie un villaggio fittizio di nemmeno 400 anime nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Un progetto profondamente radicato nel territorio che diventa protagonista trasversale con i suoi paesaggi innevati e la partecipazione attiva degli abitanti della zona, spiegati nei titoli di coda. Il tema sonda l’abbandono politico delle piccole realtà provinciali, sempre più abbandonate a se stesse e al progressivo spopolamento, che trova nella difesa dei centri di aggregazione l’unico punto di forza per offrire una resistenza non solo verbale ma costruttiva. In questo contesto la scuola è un elemento centrale, perché gran parte di ciò che accade in città passa di lì ed è lì che si pongono le basi di un futuro che non è solo altrove. Tutte cose molto vere e importanti, sulle quali il film ci porta a riflettere, ma al di là delle buone intenzioni e dello scopo informativo, il tutto vola piuttosto basso.

Tutto scorre infatti in modo lineare e con poca verve, tranne quella dei validi protagonisti (Antonio Albanese sapeva infondere umanità anche in una pietra e Virginia Raffaele padroneggia il personaggio con disinvoltura), con una sceneggiatura che, dopo premesse abbastanza evidenti ma solide, accumula temi forti ma rimanendo in superficie. Pensiamo al collegamento, davvero brutto e pasticciato, che tratta della fuga della giovane in crisi d’identità e del suo improvviso salvataggio, o anche alla parte finale che si affida all’intraprendenza dei giovani studenti per superare l’ennesima difficoltà. Dei due protagonisti non sappiamo nulla, sono solo pedine nella narrazione per il ruolo che ricoprono a livello istituzionale, il vice preside e l’insegnante, tanto che la loro liason finisce per scontrarsi perché fa emergere carne e ossa che fino ad allora era stato assente. La narrazione procede per fasi successive, l’obiettivo è salvare la scuola, gli ostacoli si susseguono in fila ordinata, appena superato uno ne subentra subito un altro, con una progressione senza sorprese che fa sì che le cose accadano esattamente quando e come si desidera. li aspetti? Anche il ritmo delle gag segue questa strada della prevedibilità, con un approccio problematico, ma anche didascalico e non privo di retorica. Insomma, spiega ma non graffia. Il racconto scorre quindi edificante e moderatamente piacevole, ma viste le doti e i valori messi in campo era lecito aspettarsi qualcosa di meno piatto e accomodante. Il titolo è anonimo e, come il film, si dimentica presto, forse”La montagna lo fa!”, sarebbe stato più efficace lo slang locale che ha la forza di diventare un tormentone.

 
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