Sotto Parigi, recensione del film sugli Squali della Senna – .

C’è uno squalo nella Senna. E non è questa la parte più folle del film. Sotto Parigidal titolo, non è il tipo di film che prende la premessa del cinema economico e a basso budget e lo trasforma in qualcosa di così sofisticato come Vincent deve morire O Abigail. Sotto Parigi è esattamente quella cosa, è un film di serie B nel concetto e una serie C in esecuzione. È un film che prende l’idea dello squalo nella Senna, la amplia, gli trova una ragione (o meglio una pseudo-ragione), fa dello squalo un mostro, uno squalo mutato, gli dà un retrogusto politico (inquinamento dei mari, plastica e quindi ecologia) e poi collabora con le forze dell’ordine francesi per fare tutto in collaborazione con loro. Ed esaltandoli.

Insomma, qui non c’è autoironia, non esiste una consapevolezza postmoderna, quello sguardo intellettuale di chi sa di fare cinema commerciale e proprio per questo si diverte, nota le assurdità, le sottolinea e gioca con esse. NO, questo è un film serio su uno squalo mutato che uccide tutti nella Senna a Parigi e della squadra di scienziati e poliziotti che intendono arginarla mentre l’amministrazione comunale, che ha organizzato un grande evento che riempirà la Senna di gente e (incredibilmente) non vuole ascoltarli.

Sofie Gheysens/Netflix

Tutto si può dire Sotto Parigi ma non per non essere stato coerente con la promessa di copiare mille altri film. Fino alla fine. Rispetta senza dubbio la sua formula di cinema moderno con mostri, ma un film di questo tipo non si misura certo sull’originalità, anzi la sua bontà si misura proprio su quanto riesce ad aderire a tutti i soliti passaggi, consolidati e convenzionali, quanto riesca ad inserirsi in tutti i personaggi tipici e nei ruoli consueti, trovando un suo modo vivace, duro e puro di fare ciò che gli altri hanno già fatto. In un film come Sotto Parigi l’importante è non variare nella tipologia ma nella quantitàinventare qualcosa all’interno delle singole scene per arrivare dove già sappiamo che arriverà.

Quindi quando nella prima scena, come sempre, il mostro appare e miete le prime, ignare vittime, il punto è fare bene questo classico. E a volte Xavier Gens ci riesce, riesce cioè a centrare ciò che rende un film di questo tipo seriamente soddisfacente. Esagera con il sangue, stacca gli arti e monta bene l’azione. Anzi, tutto il resto crolla, le fasi di stasi tra le varie sequenze d’azione sono infinite, l’uso dei veicoli della polizia francese è così plateale da sembrare continuamente una pubblicità, le inquadrature delle attrezzature, la dimostrazione di prontezza, di sicurezza ed efficienza lavorare contro quello che dovrebbe essere il stato d’animo del film (basato proprio sulla sfiducia nelle istituzioni).

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Sotto Parigi vuole esistere in equilibrio tra il promettente e il ridicolo, solo che non riesce a essere veramente nessuna di queste cose. La sua premessa, infatti, non è mai realmente capace di promettere chissà cosa, si ferma solo al suggerimento dello squalo nella Senna (quali conseguenze avrebbe? Che pericolo comporta?), e non è nemmeno palesemente ridicola, cioè nonostante quello che si potrebbe immaginare non vuole prendersi in giro, non vuole ridere delle sue idee con noi ma le prende molto sul serio.

Dopotutto, un film che fa questa operazione (unire la versione alta di queste trame, cioè Lo squalocon quello basso, Sharknado) E Squalo – Il primo squalo, quello in cui Jason Statham sconfigge uno squalo gigante che si è formato sul fondo dell’oceano gettandolo sott’acqua. Rispetto a questa, che dovrebbe essere la versione nazionalizzata dai francesi, sembra soffrire di continui obblighi, come se fosse obbligata a rispondere a mille padroni (e la polizia è una sola ma poi c’è tutto il product placement) invece di divertirti e basta con la sua storia.

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Primo piano del volto di Gabriele Niola

Nato a Roma nel 1981, ha lottato per vivere finché non ha iniziato a lavorare come critico nell’epoca d’oro dei blog. Inizia a lavorare dietro compenso alla fine degli anni ’00 e alterna la critica al giornalismo freelance per diverse testate. Dal 2009 al 2012 è stato selezionatore della sezione Extra della Festa del Cinema di Roma, poi programmatore e per un anno anche condirettore del Festival del Cinema di Taormina. Dal 2015 è corrispondente italiano per il quotidiano britannico Screen International. È docente del master in Critica giornalistica all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, ha pubblicato con UTET un libro intervista con Gabriele Muccino dal titolo La vita occhi e con Bietti un pamphlet dal titolo “Odio il cinema italiano”. Vanta innumerevoli minacce da parte di alcuni dei registi italiani più titolati.
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