La “missione” di Mario Draghi ed Enrico Letta per salvare l’Europa (dal nazionalismo) – .

La “missione” di Mario Draghi ed Enrico Letta per salvare l’Europa (dal nazionalismo) – .
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Il futuro delle politiche economiche dell’Unione Europea potrebbe dipendere da due ex primi ministri italiani. Prima Enrico Letta, poi Mario Draghi consegneranno ai leader dei 27 due rapporti su mercato unico e competitività. Si tratta, in estrema sintesi, di due pacchetti di proposte che l’ex leader del Partito democratico e l’ex governatore della Bce stanno elaborando in stretta collaborazione con i governi, le imprese, gli esperti e i gruppi politici dell’Ue. Da un lato, le regole che regolano la concorrenza interna del blocco e che rappresentano il fulcro su cui si è basata la costruzione dell’Ue. Dall’altro, la sfida di un’industria che deve fare i conti con ritardi in settori strategici rispetto ai concorrenti globali, in particolare Cina e Stati Uniti.

L’accordo

Questi compiti sono stati assegnati loro dal primo ministro Charles Michel (che ha nominato Letta) e dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen (Draghi). La convivenza di Michel e von der Leyen a Bruxelles non è stata priva di tensioni, per usare un eufemismo. E diversi addetti ai lavori avevano scommesso che i due rapporti sarebbero stati un nuovo campo di battaglia tra i due leader dell’UE e le loro visioni opposte sul futuro del blocco. Di conseguenza provocando anche una competizione tutta italiana tra Letta e Draghi.

In realtà, secondo le previsioni e quanto dichiarato dai due ex inquilini di Palazzo Chigi, sembra che tra l’ex leader del Pd e l’ex governatore della Bce ci sia la massima sintonia. E forse ci sono anche ragioni patriottiche per consolidare l’accordo a distanza (che nessuno dei due, visto il ruolo che ricoprono, ammetterà chiaramente). Eppure le proposte sul tavolo, secondo le anticipazioni, potrebbero portare nuovo ossigeno ad economie soffocate dal debito pubblico come quella del Bel Paese.

Un’ira europea

Ad esempio, il rapporto di Letta, presentato al vertice UE di Bruxelles il 17 e 18 aprile, parla della necessità di attuare un Inflation Reduction Act (IRA) nell’UE sul modello di quello lanciato dall’amministrazione americana di Joe Biden. Non si tratta di un’idea isolata: da tempo diversi governi, tra cui quello di Roma, chiedono di proseguire sulla strada intrapresa con il Recovery Fund, cioè affidare a Bruxelles il compito di accaparrarsi risorse sui mercati dei capitali con l’emissione di Eurobond ( indebitandosi) e ridistribuire questi soldi agli Stati, in particolare a quelli che hanno più difficoltà a investire perché si impegnano a rimettere i conti in ordine e a rispettare il Patto di stabilità.

La proposta, rilanciata più volte a Bruxelles da un altro ex premier italiano, l’attuale commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni, evidentemente non piace ai frugali, a cominciare dalla Germania. Che d’altronde è stata accusata negli ultimi anni di aver utilizzato i propri aiuti di Stato per avvantaggiare le proprie aziende a scapito dei concorrenti del resto dell’Ue. Secondo i dati della Commissione dello scorso settembre, dei 742 miliardi di euro di sussidi pubblici concessi da vari governi europei, il 48,4% riguardava solo la Germania. Seguono la Francia con il 22,6% e l’Italia con il 7,8%. Il restante 20% è distribuito in 24 paesi.

Il rapporto di Letta mira proprio a intervenire su queste criticità: l’ex premier propone “un meccanismo per contribuire agli aiuti di Stato” a livello di Unione Europea. In altre parole, l’idea è quella di creare un fondo alimentato dai bilanci nazionali, chiaramente proporzionato alle disponibilità di tutti. Tradotto vorrebbe dire che Berlino dovrebbe destinare parte dei sussidi pubblici al resto dell’Ue. È quello che è successo con il Recovery Fund, ma questa volta con un meccanismo che diventerebbe permanente.

Investimenti

Anche Draghi, sempre secondo le previsioni e le sue dichiarazioni, ritiene che per garantire il futuro della competitività del blocco sia necessario puntare sulla condivisione di quante più risorse possibili per favorire gli investimenti. “Una volta individuati i beni pubblici (su cui i Paesi Ue devono puntare e investire insieme), ed), dobbiamo anche darci gli strumenti per finanziarli – ha esordito – Il settore pubblico ha un ruolo importante e in passato ho parlato di come possiamo utilizzare meglio la capacità di debito comune dell’Unione europea, soprattutto per la difesa dove la frammentazione della spesa riduce la nostra efficacia totale. Ma gran parte del gap di investimenti deve essere coperto da investimenti privati”. Come? “L’UE ha un tasso molto elevato di risparmio privato, che viene per lo più incanalato nei depositi bancari e non finanzia la crescita come dovrebbe in un mercato dei capitali più grande”, ha spiegato. È lo stesso concetto che si ritrova nella bozza di rapporto che Letta consegnerà in queste ore ai 27 leader Ue riuniti al vertice di Bruxelles: “L’Ue ospita ben 33mila miliardi di euro di risparmio privato, detenuti principalmente in valuta e depositi ”, scrive l’ex leader del Pd.

Guardando fuori dal cortile

Queste proposte potrebbero sembrare eccessivamente sbilanciate rispetto alle richieste di paesi come l’Italia, ma sia Letta che Draghi hanno chiarito che è giunto il momento che l’Europa guardi ai concorrenti esterni, e non si perda nel tiro alla fune al suo interno. Giardino dietro la casa . Un messaggio diretto a Berlino, come a Parigi: “Nell’Ue c’è bisogno di un cambiamento radicale, le nostre regole sugli investimenti sono costruite su un mondo che non esiste più”, ha sottolineato Draghi. “Ci siamo guardati dentro, vedendo i nostri concorrenti come noi stessi, anche in settori, come la difesa e l’energia, in cui abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non abbiamo guardato verso l’esterno”. E così i grandi concorrenti, che spesso giocano “senza rispettare le regole, attivano politiche divisive, non giocano con le regole, progettano politiche di investimento nelle loro economie a scapito degli altri”, e tutto questo “ci coglie di sorpresa”, ha ha avvertito, con un chiaro riferimento alla Cina.

L’obiettivo, scrive Letta, deve essere quello di “rendere la capacità industriale europea compatibile con la transizione equa, verde e digitale”. Per fare questo, dice Draghi, occorre mettere in campo un piano che favorisca le “economie di scala”, cioè la creazione di imprese europee e non nazionali in grado di competere con i colossi globali. L’ex governatore della Bce presenterà il suo rapporto a giugno. Al suo interno, come nel caso del rapporto Letta, convergeranno le istanze dei diversi Paesi Ue. La sintesi dovrebbe comunque muoversi lungo le direttrici sopra indicate.

Qualunque sia l’esito, il compito dei due ex primi ministri italiani è quasi storico: evitare il declino economico dell’Europa nel mondo. E salvarla, prima ancora dei concorrenti esterni, dal nazionalismo europeo. Alcuni vedono, soprattutto nell’operato di Draghi, una sorta di manifesto politico che potrebbe lanciarlo verso la presidenza della Commissione, o del Consiglio europeo. Chissà che anche per Letta non valga la stessa cosa.

Tags: missione Mario Draghi Enrico Letta salvare Europa nazionalismo

 
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