Pressioni su Washington e alleanze, l’Ue detta per la prima volta la linea della guerra – .

Pressioni su Washington e alleanze, l’Ue detta per la prima volta la linea della guerra – .
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“Non avrei mai creduto di essere qui a chiedere un impegno maggiore per l’invio di armi in aiuto dell’Ucraina”: la parabola del vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck potrebbe essere un esempio della trasformazione della politica occidentale e soprattutto Unione Europea dopo due anni di bombe russe sulle città ucraine. Habeck è un verde, un intellettuale, un ambientalista, appartenente a quella generazione europea che entrò in politica in un mondo senza muro di Berlino, convinta che la guerra sarebbe diventata un fenomeno a rischio di estinzione confinato nei luoghi remoti e nelle popolazioni arretrate del mondo. Ieri, mentre la Camera dei Rappresentanti del Congresso americano rendeva finalmente pubblico il tanto atteso pacchetto di aiuti per la resistenza ucraina, Habeck era a Kiev alla guida di una folta delegazione di importanti industriali tedeschi, inaugurando nuove fabbriche di droni, negoziando la partecipazione della Germania al dopo-guerra. ricostruzione bellica e chiedono un impegno più massiccio e soprattutto più rapido dell’Occidente a fianco del Paese guidato da Volodymyr Zelenskyj perché “bisogna capire le ragioni di questa guerra, con Vladimir Putin che sfida la democrazia”.

Una svolta che ha impiegato due anni per maturare e metabolizzare, e che paradossalmente forse non si sarebbe realizzata con la stessa consapevolezza senza lo stallo del Congresso sul pacchetto di aiuti. Ai 50 miliardi di euro stanziati dall’Europa e agli aiuti dei singoli Paesi europei si aggiungono ora 61 miliardi di dollari. Molte armi erano già state portate dal Pentagono in Polonia, in attesa del voto, per poter varcare immediatamente il confine ucraino. Tra le forniture più attese, i missili per la difesa antiaerea – la cui mancanza aveva contribuito, secondo Zelenskyj, al successo dei raid russi che avevano distrutto le centrali elettriche, condannando gli ucraini a mesi di razionamento di luce e riscaldamento – e per la fronte dell’artiglieria. È vero che l’Europa possiede arsenali di armi altrettanto efficienti, ma oltre al problema della compatibilità – mantenere e riparare diversi tipi di veicoli contemporaneamente è praticamente impossibile – c’è quello della quantità: sostituire completamente le forniture militari americane alle Vecchie Il Continente dovrebbe, secondo gli Esperti del Kiel Institute, raddoppiare la Produzione. Anche alcuni tipi di missili e artiglierie sono una specialità del Made in US.

Quanto siano efficienti le armi occidentali si è visto molto bene nel recente attacco iraniano contro Israele, che ha suscitato comprensibile amarezza tra gli ucraini: nonostante le evidenti differenze dimensionali, la quasi totale sicurezza israeliana ha evidenziato anche una differenza di volontà politica. Ma osservare per mesi i missili lanciati su ordine di Putin e cadere ogni giorno sulle città ucraine non solo ha reso sempre più difficile per gli scettici argomentare la loro contrarietà all’assistenza militare a Kiev, ma ha ribaltato la visione stessa del problema: non si trattava più di aiutare un Paese aggredito, spinto da solidarietà morale e politica soggetto a un ripensamento pragmatico, ma a rivedere il concetto stesso di sicurezza continentale, e quindi a ridisegnarne l’approccio. Forse era la prima volta in cui i ruoli si invertivano, ed era proprio l’Europa a fare pressione su Washington – anche con un susseguirsi di missioni diplomatiche di diversi leader, dal britannico David Cameron al polacco Andrzej Duda – per un maggiore coinvolgimento militare, e non viceversa. Una rivoluzione che si legge oggi nella determinazione dei comunicati del G7 e dei responsabili della politica e della difesa, maturata proprio mentre i comandanti ucraini e gli analisti occidentali cominciavano a parlare apertamente di un rischio di “sconfitta” da parte di Kiev, ipotizzato addirittura dal direttore della CIA William Burns.

Un’opzione non praticabile per l’Ucraina, come ha ricordato ieri Zelenskyj ammettendo l’esistenza della “stanchezza della guerra”, che però non significa “scegliere la capitolazione alla Russia”: “Siamo stanchi, ma ogni mattina torniamo a fare quello che abbiamo fare, vivere e difendere i nostri figli”, ha detto in un’intervista alla televisione brasiliana. Ora tocca a Kiev, alle sue truppe che nelle ultime settimane si sono limitate quasi esclusivamente a contenere i tentativi di avanzata russa, a ridare speranza e ribaltare gli equilibri in campo, in una partita che nessuno spera possa risolversi con un blitz. più. Del resto Zelenskyj aveva già annunciato il lancio di un programma nazionale di produzione bellica, per non dover più dipendere da Europa e America. Proprio ieri il ministro delle Industrie strategiche, Oleksandr Kamyshin, ha spiegato che l’industria ucraina ha un potenziale produttivo che supera di almeno tre volte i soli 6 miliardi di euro di finanziamenti che Kiev riesce a stanziare.

Tag: Pressione Washington alleanze dettami linea guerra tempo

 
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