“L’opera conta più dell’autore. Non leggeremmo i libri di Céline se dovessimo amare l’uomo” – .

“L’opera conta più dell’autore. Non leggeremmo i libri di Céline se dovessimo amare l’uomo” – .
“L’opera conta più dell’autore. Non leggeremmo i libri di Céline se dovessimo amare l’uomo” – .

Antoine Gallimard, 77 anni, incarna un ruolo mitico e un simbolo dell’editoria francese ed europea. La casa editrice fondata dal nonno Gaston nel 1911 conta oggi in catalogo 89mila autori considerati i più ricchi del mondo. Sarà al Salone di Torino venerdì 10 maggio alle 17.15 in Sala Blu a dialogare con la presidente di Adelphi Teresa Cremisi.

Signor Gallimard, cosa è cambiato nella professione di editore nei centotredici anni di vita della sua azienda?
«Si può dire che è cambiato tutto, ma il lavoro è lo stesso. Tutto è cambiato da quando è subentrato il potere della finanza. Le concentrazioni editoriali hanno cambiato il panorama e hanno spinto i best-seller. Ma il compito resta quello di coltivare il rapporto con il libro e con l’autore. La creazione letteraria viene semplicemente maltrattata per favorire opere costruite per ottenere un successo immediato di pubblico”.

Nella vostra storia ci sono stati momenti di conflitto e divisione, ma dal 1988 siete voi al timone. Che importanza ha la gestione familiare in un’azienda come Gallimard?
«La casa editrice Gallimard è un’azienda a conduzione familiare. Per restare indipendente e mantenere un forte legame con gli scrittori, deve rinnovarsi continuamente rimanendo fedele allo spirito originario. L’indipendenza ci consente di mantenere una visione a lungo termine. È così che abbiamo costruito Gallimard Jeunesse”.

Nella sua biografia leggiamo che avrebbe preferito studiare filosofia, ma il padre volle che entrasse in azienda e la spinse verso gli studi giuridici. È vero? Che tipo di filosofa era?
«Gaston Gallimard, il fondatore (e mio nonno) mi parlava spesso del filosofo Alain di cui pubblicava le opere. (Si tratta di Émile Chartier, 1866-1951, che fu insegnante per quarant’anni per generazioni di studenti del liceo parigino Henri-IV, ndr). Le sue idee sull’educazione e sull’apprendimento mi hanno aperto la strada alla filosofia moderna. Ma non sono stato ammesso all’École Normale e così ho studiato giurisprudenza e poi sono entrato in una casa editrice».

Che tipo di lettore sei?
«Adoro quel genere di libri che stanno a metà tra la poesia, il romanzo e la saggistica. Quel tipo di lavoro che abbiamo imparato ad apprezzare con Diderot o Milan Kundera”.

Leggi su supporti digitali come Kindle, tablet, smartphone o semplicemente libri stampati su carta?
«Leggo solo libri di carta. Adoro quell’odore, la sensazione tattile, la sua presenza fisica sul mio comodino.”

Sei uno dei fondatori della società di studio “celiniennes”, quindi immagino che Louis-Ferdinand Céline sia uno dei tuoi autori preferiti. Perché?
«In effetti Céline è uno dei miei autori di riferimento per la sua straordinaria invenzione del linguaggio e il lavoro sullo stile».

Come si sceglie in Gallimard un testo da pubblicare? Alla Einaudi, casa editrice che lei conosce bene, da molti anni si svolgeva una riunione del mercoledì in cui i collaboratori più illustri discutevano delle scelte editoriali. Anche tu hai un rituale simile?
«Come in Einaudi, anche noi rispettiamo il rito degli incontri. C’è il Comitato di Lettura che si riunisce una volta al mese. Ci sediamo attorno ad un tavolo ovale dove siedono dodici grandi lettori; la particolarità è che questo Comitato è composto in gran parte da scrittori. E succede che non si mettono d’accordo su un libro da pubblicare. Questi sono i miei momenti preferiti. Ma per convincermi a pubblicare un libro basta la forte convinzione di una sola persona”.

Un grande editore italiano, Valentino Bompiani, diceva che prima di pubblicare un libro doveva “innamorarsi” dell’autore. Anche per te è così?
«No, tutt’altro. Da una parte c’è l’opera, dall’altra l’autore. Prendiamo Céline: non potremmo apprezzare i suoi libri se dovessimo amare quell’uomo.”

Ci sono autori francesi a cui sei particolarmente affezionato, qualcuno che hai scelto personalmente?
«Se parliamo di affetti potrei citare Patrick Modiano, Daniel Pennac e Christian Bobin, recentemente scomparsi».

Nel 2022 con Annie Ernaux, Gallimard ha vinto il suo trentottesimo Premio Nobel per la letteratura. E appena otto anni prima era stata la volta di Modiano. A cui vanno aggiunti trentasei Goncourt e un’infinità di altri premi. Cosa portano questi successi ad una casa editrice come la vostra?
«Grande prestigio, va da sé, ma questo premio e gli altri ci danno la soddisfazione di un riconoscimento e rafforzano la base finanziaria».

Recentemente lei si è pronunciato contro la legge francese che per la prima volta, e solo per due anni, autorizza la pubblicità dei libri in televisione. Eppure il marketing letterario esiste e Gallimard pubblicizza i suoi titoli anche sui giornali. Perché non in televisione?
«La pubblicità televisiva rischia di creare un effetto perverso: concentrazione dell’attenzione su pochi best seller, impoverimento dei ricavi pubblicitari per i giornali non digitali e rafforzamento dei gruppi a scapito degli editori più piccoli. Questo è il rischio. Ed è ovvio che questi oligopoli non favoriscono la diversità”.

Negli Stati Uniti e anche in Italia si è scoperto che non poche performance sul mercato editoriale sono dovute a TikTok. Soprattutto di opere pubblicate in self-publishing. Qual è la tua opinione su questo fenomeno?
«I social media fanno parte del panorama. Secondo un recente studio del Centre Nationale du Livre, più della metà dei giovani lettori francesi scopre i libri grazie ai social media. Non si tratta di respingerli, ma di vigilare sul fenomeno, perché lo stesso studio ci dice che i giovani trascorrono ormai dieci volte più tempo davanti agli schermi che leggendo libri”.

Fai sempre riferimento al modello francese e alla sua diversità: è un classico della comunicazione nazionale e vale per il cinema, il teatro, la cultura… Puoi dirci in cosa consiste questo modello nell’editoria oggi?
«Il modello francese, che ispira altri modelli europei, è basato sul prezzo unico, aiuti per librerie e biblioteche. È un modello che pensa ai lettori per tutelare la maggiore diversità editoriale possibile”.

Tra un mese ci saranno le elezioni per il Parlamento Europeo. Qual è la tua speranza principale?
“Oggi più che mai dobbiamo proteggere il diritto d’autore di fronte alla crescita dell’intelligenza artificiale”.

Parteciperai alla Fiera Internazionale del Libro di Torino confrontandoti con i tuoi colleghi italiani, tra cui Teresa Cremisi che lavora con te da molti anni. Qual è la tua opinione sull’editoria italiana?
«L’editoria italiana ha saputo preservare i suoi talenti anche se non dispone dello stesso numero di librerie che ha in Francia. L’importante è saper resistere all’invasione degli schermi. La nostra grande preoccupazione è non arrivare al pubblico giovane, in Italia come in altri Paesi europei”.

Nella collezione della Pléiade, che è il vostro Pantheon della letteratura mondiale, sono presenti diversi autori italiani. L’ultimo pubblicato è Dante, nel 2021, per l’anniversario, con la Divina Commedia, edizione bilingue curata da Carlo Ossola. Ci sono anche contemporanei come Pavese e Pasolini. Chi sarà il prossimo?
«Italo Calvino».

 
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