Il libro dell’amore impossibile. La storia di Giulia Spinelli e Giovanni Battista Pergolesi – toscanalibri – .

Il libro dell’amore impossibile. La storia di Giulia Spinelli e Giovanni Battista Pergolesi – toscanalibri – .
Il libro dell’amore impossibile. La storia di Giulia Spinelli e Giovanni Battista Pergolesi – toscanalibri – .
Salti temporali (dagli anni Ottanta agli anni Trenta dell’Ottocento), alternanze di luoghi (Torino, Parigi, soprattutto Napoli), incroci di generi (romanzo, metaromanzo, autofiction, saggio). Questo è “Il libro dell’amore impossibile” di Giuseppe Culicchia, che, per evitare che il lettore si disorienti, avverte subito nelle prime pagine che questa è sì “la tragica storia di un amore impossibile”, ma che per entrare nel vivo della storia è necessario “procedere poco a poco” ” seguendo l’autore in divagazioni che non ritiene “proprio tali”. Ci vuole quindi un po’ per raggiungere Napoli – la Napoli che trasuda storia e storie, una magica commistione di sacro e profano – fino a Palazzo Zevallos Stigliano, in via Toledo, davanti a una tela ottocentesca che ritrae una ragazza” con il capo coperto da un velo, le mani giunte e gli occhi molto tristi”. Questo è Giulia Spinelli, sedicenne di nobili origini, così giovane e già condannato alla disperazione. Delusione per amore. Si innamorò del suo insegnante di musica, Giovanni Battista Pergolesi, amore che infatti era impossibile, perché non poteva vantarsi di stemmi nobiliari. I fratelli di Giulia erano stati molto espliciti: o la vicenda finiva o Pergolesi sarebbe stato ucciso. Per salvarlo sublima il suo amore diventando suora nel monastero di Santa Chiara. Esige però che durante la cerimonia dei voti sia lui a suonare l’organo. La leggenda narra che entrambi morirono per il dolore della loro separazione. Giulia solo un mese dopo essere entrata in clausura. Giovanni Battista un anno dopo, ma non senza aver portato a termine il suo celebre Stabat materia. Le ultime pagine della partitura mostrano la fatica, il dolore e la fretta di concludere la musica di quella preghiera il cui tormento avrebbe significato per il giovane compositore (morì a ventisei anni) una totale simbiosi con il proprio dolore. Anche Giuseppe Culicchia a volte sembra procedere per simbiosi, altre volte con studiato distacco e atteggiamento dialettico. Molti temi vengono presi a pretesto l’uno per l’altro: la musica, la fede, il cinema, la letteratura, la seducente Napoli. Il risultato (previsto?) è una lettura che, pagina dopo pagina, non potrà mai dirsi soddisfacente. Almeno finché, chiuso il libro, non ascolti di nuovo quella cosa sublime che è Stabat materia Di Giovanni Battista Draghi disse Pergolesi.

***

Era una sera d’estate, e la città si era svuotata, come accadeva spesso in quegli anni – quando la Grande Fabbrica chiudeva e i dipendenti tornavano ai luoghi d’origine o andavano in vacanza, o restavano a casa se non potevano permettersi né l’una né l’altra cosa. delle due opzioni – e in tasca avevo appena i soldi per andare al cinema. In una stanza del centro stavano proiettando Amedeo, il film di Miloš Forman dedicato a Wolfgang Amadeus Mozart. All’epoca non avevo alcuna dimestichezza, se così posso dire, con la musica classica: ero nel pieno del mio periodo spettinato o, se preferite, dello ska-punk e del mio amore per Wagner e Beethoven e Bach e Purcell e Handel e Bruckner, Monteverdi e Schubert dovevano ancora venire. L’unico brano di musica cosiddetta classica che conoscevo e adoravo era di Mozart: il secondo movimento Concerto per pianoforte e orchestra n. 21K.467. L’avevo ascoltato per la prima volta da bambino quando mi imbattei in un film dal titolo su una delle prime televisioni private Elvira Madigan, girato dal regista svedese Bo Widerberg e la cui protagonista, Pia Degermark, vinse la Palma d’Oro come migliore attrice nel 1967, film di cui mi innamorai e di cui quella canzone davvero sublime faceva da colonna sonora. E insomma, il ricordo a me caro di quel film, che tra l’altro raccontava la storia vera di un amore impossibile, fu l’unico motivo per cui quella sera andai al cinema a vedere il lungometraggio di Forman. Una volta acquistato il biglietto, mi sono seduto in teatro e ho aspettato. All’improvviso, le luci si spensero. Non sapevo che presto avrei incontrato Gesù.
Chi di voi ha visto Amedeo forse ricordiamo come a un certo punto Salieri, ascoltando la musica di Mozart, affermò che quella era la musica di Dio. Ebbene, come ho già detto, all’epoca non credevo in Dio. E quando molti anni dopo, ad un certo punto della mia vita, scrivo un romanzo dal titolo Il cuore e l’oscuritàMi sono imbattuto nel Nona sinfonia diretta da Wilhelm Furtwängler il 19 aprile 1942 e mi resi conto della grandezza di Ludwig van, non pensavo che quella fosse la musica di Dio. Era semplicemente Beethoven, poiché Bach è Bach e Purcell è Purcell e Monteverdi è Monteverdi e Wagner è Wagner e Bruckner è Bruckner. E una rosa è una rosa è una rosa. Così quella sera, in quel cinema, nella musica di Mozart ho sentito Mozart, non Dio. E così ho incontrato Gesù. Ma non negli appunti scritti di suo pugno da Wolfie, come sua moglie Constanze chiamava Wolfgang Amadeus, che si firmava come nelle lettere alla moglie.
Ma aspetta un momento. C’è differenza tra Dio e Gesù? C’è chi in passato ha dibattuto molto sulla questione, che in realtà è complessa e non del tutto chiara, e che ha visto posizioni diverse all’interno dello stesso cristianesimo, tra liti, scomuniche, concili e roghi.

[…]
Comunque. Forse avrei dovuto parlare di tutte queste cose a Gesù, quella sera che mi capitò di incontrarlo nel buio del cinema, all’età di vent’anni. Ma non potevo farlo. Non perché non si possa parlare con Gesù: Gesù non è Dio e, come riportano le Scritture, sapeva ascoltare. Se non gli parlavo era semplicemente perché Gesù apriva per primo la bocca, e io non potevo fare altro che ascoltarlo. Gesù, quando ti parla, non lo interrompi. Soprattutto quando ti parla come ha parlato con me quella sera. Con una voce di inimmaginabile bellezza. Una voce pura, dolcissima e allo stesso tempo dolorosa. Perché quali altre parole potrebbero essere più appropriate quando ci si riferisce a Gesù? Purezza. Dolcezza. Dolore.
Quella sera, nel buio di un cinema, Gesù mi parlò con purezza, dolcezza e dolore attraverso due frammenti dell’ Stabat materia di Giovanni Battista Draghi, detto Pergolesi: il Quando corpus morietur e ilAmen nella versione diretta da Sir Neville Mariner con il coro di bambini dell’Abbazia di Westminster. Quella sera Gesù mi parlò attraverso un organo che suonava una meravigliosa melodia accompagnata dalle voci di bambini capaci di cantare in modo sublime le parole di quelle canzoni composte a Napoli nel 1736 da Pergolesi quando aveva appena ventisei anni. Eccomi, Gesù, pensavo quella sera nel buio di quella stanza, ascoltandolo. Mi scusi.
Perdonami se dubito di Te.

[…]
Quando Gesù smise di parlare, il film ricominciò, anche se in verità non si era mai interrotto. Quando uscii dal cinema avevo ancora nelle orecchie la sua voce. Quando tornai a casa rimasi a lungo con gli occhi spalancati nel buio della mia stanza, senza riuscire a dormire.
Questo deve essere stato l’effetto che Gesù ha avuto, se hai avuto la fortuna di incontrarlo. Almeno questo è quello che pensavo quella notte.


[da Il libro dell’amore impossibile di Giuseppe Culicchia, HarperCollins, 2024]

 
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