“Babak, non ti rendi conto che queste vuote teorie dei tuoi anni universitari hanno rovinato tutto? Hanno solo fatto sì che Homa diventasse la moglie di quel drogato che l’ha sposata senza nemmeno conquistarla prima. È stata la malattia degli intellettuali della nostra generazione, oppure lei dice che ne soffrono anche gli studenti nati negli anni Novanta?
Sepolto a pancia in giùdi Aliyeh Ataei (traduzione di Giacomo Longhi e Harir Sherkat; Utopia Editore), è un’immersione onirica e ipnotica nell’ossessione e nella ricerca per le strade di Teheran. Un giovane ingegnere sull’orlo di una crisi di nervi si aggira per la capitale iraniana alla ricerca della sorella gemella. Mentre vaga, sentimenti contrastanti gli attraversano la mente. Ne soffre disordini mentali e fa uso di droghe. La moglie lo lascia perché non può darle un figlio e in lui emergono dubbi sulla sua personalità: un ego femminile sempre più ingombrante fai spazio dentro di te. E sarà proprio questo elemento, mentre vaga in una metropoli che avanza verso il domani a ritmi disumani, a farlo entrare nell’anima della sorella, verso un finale imprevedibile e commovente.
“All’alba il sole radioso sorgeva e splendeva nel cielo illuminando la città risvegliata di Phnom Penh. Una grande folla percorreva le strade e i marciapiedi, circolavano veicoli di ogni genere, facendo tremare la terra. C’era trambusto in casaathipadey Sena. La gente, sconvolta, corse alla ricerca di Sophat che scomparve durante la notte”.
“C’era una volta un coreano di nome Song Sang-in, dalla mente retta e dallo spirito sincero. Odiava le streghe con tutto il cuore e le considerava ingannatrici del popolo. Diceva: «Con le loro cosiddette preghiere divorano i beni del popolo. Non c’è limite alla follia e alla stravaganza che li accompagna. Questa loro dottrina è tutta una sciocchezza. Vorrei poter liberare la terra dalla loro esistenza ed eliminare i loro nomi per sempre.”
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