Fine vita, il governo entra in conflitto con l’Emilia Romagna puntando sul “no” di Zuppi. – .

La Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Salute hanno presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna contro la Regione, e in particolare contro la Direzione sanitaria Salute della Persona, per chiedere l’annullamento delle delibere del Consiglio che attuano il suicidio dal punto di vista medico assistito in Emilia Romagna. Meloni e Schillaci, dunque. L’annuncio a Bologna, però, è stato dato da Valentina Castaldini, consigliera regionale di Forza Italia e, fin da giovanissima, impegnata a portare nelle istituzioni la voce del cattolicesimo integralista. Le ragioni del ricorso starebbero nella “mancanza di potere dell’ente” sul tema e nella “contraddizione e illogicità” delle disposizioni introdotte dalla Regione nelle linee guida inviate alle aziende sanitarie.

Le carenze del governo e la risoluzione dell’Emilia Romagna

La reazione di Regione e Pd è stata, questa volta, molto decisa, anche grazie alla scadenza elettorale molto ravvicinata che potrebbe coinvolgere anche il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. “L’appello del Governo contro l’Emilia-Romagna sul fine vita – ha detto il deputato del PD Andrea De Maria – indica che l’esecutivo sceglie la strada sbagliata del conflitto istituzionale e, invece di agire per definire la legislazione nazionale, attacca chi cerca di coprire, a livello almeno in parte, un evidente vuoto normativo”.

E alla Regione è stato ricordato il dovere di intervenire. Sono stati richiamati i criteri inderogabili indicati dalla Corte Costituzionale per evitare ogni arbitrarietà, che la Regione ritiene di aver rispettato. Il paziente deve essere affetto da una patologia irreversibile, che provoca sofferenze fisiche o psicologiche che il paziente considera intollerabili, deve essere mantenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ed essere pienamente capace di prendere decisioni libere e informate”. In attesa di una legge di livello nazionale per un tema di così grande importanza e sensibilità – ha ricordato l’assessore alle Politiche della salute, Raffaele Donini – è stato confermato l’impegno a dare attuazione a quanto richiesto dall’Alta Corte”.

Con una seconda delibera volta a migliorare la prima uscita, la Regione ritiene di aver rafforzato le proprie motivazioni, concentrandosi su tutti i passaggi legali. “Ricordiamo – ha insistito Donini – che le Regioni sono chiamate ad applicare quanto stabilito dalla Corte. Era nostro dovere mettere il sistema sanitario nelle condizioni di assolvere al meglio a questo obbligo”. Del resto lo aveva richiesto anche il Ministero della Salute”.

Il percorso stabilito dalla Regione per il fine vita è tutt’altro che affrettato. Ha una durata di 42 giorni e nelle due delibere della Giunta e nelle istruzioni del Dipartimento della Sanità la richiesta di suicidio medicalmente assistito deve essere inviata, completa di documentazione, alla Direzione sanitaria di un’Azienda sanitaria locale che dispone di tre giorni per trasmetterlo alla Commissione di Valutazione d’Area Vasta. Questo dovrà effettuare una prima visita e valutare la legittimità della richiesta rispetto ai requisiti indicati dalla Corte Costituzionale. Poi ha venti giorni per concludere l’indagine e trasmetterla all’istituito Comitato regionale per l’etica clinica (Corec).

Il Comitato ha sette giorni di tempo per esprimere il proprio parere, in base al quale la Commissione di Valutazione redige la relazione finale e la trasmette, entro cinque giorni, al paziente o al suo delegato e al direttore dell’Azienda sanitaria locale competente. Se approvata, la procedura dovrà essere svolta – con personale volontario – entro e non oltre sette giorni dal ricevimento delle conclusioni della Commissione.

Una partita tutta politica

La Regione sente fortemente queste decisioni e risponde con chiarezza. Così Bonaccini: “Il limite è stato superato. Non solo vengono negati i diritti delle persone riconosciuti dalla Corte Costituzionale, ma si combatte una battaglia politica sulla pelle dei pazienti che si trovano in condizioni drammatiche. L’Emilia Romagna difenderà il proprio operato e soprattutto il diritto di un malato in fine vita a decidere da solo, senza dover chiedere il permesso al Governo e alla destra”.

Che aggiungere: Meloni e il suo Governo non disdegnano l’utilizzo di strumenti giudiziari in luogo della normale dialettica tra Stato, Regioni, Comuni – come insegna il brutto caso di Bari – e, per certi versi, i cittadini stessi, come il professor Canfora. Casi molto diversi, postura unica. Ma stavolta il boccone per i bolognesi e gli emiliani è davvero gustoso. Il cardinale Zuppi, presidente della Cei, ha preso a suo tempo posizione contro la prima delibera della Regione, c’è l’occasione per minare un comune sentimento tra il centrosinistra e l’attivissimo vescovo che ha finora isolato la destra ogni grande questione, dalla pace alla migrazione al lavoro.

Per Bonaccini la partita ha un valore strategico: non può e non vuole negare la rapidità, la saggezza e la laicità del servizio sanitario che è uno dei pilastri della Regione, ma la rottura con Zuppi avrebbe gravi conseguenze. Intanto arriva il “guaio” non nuovo dei consulenti anti-aborto negli ospedali. La Chiesa sembra più prudente, ma riconferma che un eventuale rifiuto attacca la parte della 194 che delineava strumenti per limitare il più possibile la pratica dell’aborto.

Un consiglio: la Regione, gli ospedali rispondono secondo regole e rigorosa autonomia costituzionale, ma il centrosinistra non si limita alle proprie risposte, lascia parlare le persone e i movimenti. Altrimenti il ​​confronto non emergerà dalle speculazioni elettorali e sarà mirato e fuorviante, come già appare. Anche le persone che soffrono delle condizioni di cui parliamo devono dire la loro.

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